Gli acrobati del tempo
11 Luglio 2022
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Gli acrobati del tempo

Siamo sul punto di distruggere il nostro Pianeta, la Madre Terra, come siamo abituati da decenni a dire così… e lo facciamo come se ignorassimo cosa in tal caso succederebbe. Sul pianeta pende una condizione biosociale molto critica, prossima sicuramente ad una fine catastrofica della vita delle specie viventi (umana, vegetale, animale) e il costituzionalista Luigi Ferrajoli lo proclama a chiare lettere nel suo libro Per una Costituzione della Terra – L’umanità al bivio, a cui ho fatto cenno in articoli precedenti. Le ragioni della prossima inabitabilità del pianeta sono note da tempo: scioglimento dei ghiacci polari; inondazioni devastanti; desertificazione di immensi territori; consumo insensato e criminale delle limitate risorse del pianeta; sovrappopolazione umana; conflitti armati cruenti e distruttivi di civiltà storiche, di territori e delle speranze di vita di popolazioni che non meritano di essere messe nella condizione di indigenza, povertà, di desolazione materiale oltre che psicologica; scomparsa violenta, vale a dire “sterminio”, di molte specie animali e vegetali, tutti elementi, peraltro, da cui dipende la sopravvivenza complessiva del nostro pianeta. Ora il progetto di Costituzione della Terra (Raniero La Valle – Luigi Ferrajoli) per le ragioni di cui sopra così in premessa recita: “Noi popoli della Terra, che nel corso delle ultime generazioni abbiamo accumulato armi micidiali in grado di distruggere più volte l’umanità, abbiamo devastato l’ambiente naturale e messo in pericolo, con le nostre attività industriali, l’abitabilità del nostro pianeta; consapevoli della catastrofe ecologica che incombe sulla Terra (…), decisi a salvare la Terra e le generazioni future dai flagelli dello sviluppo insostenibile, delle guerre, dei dispotismi, della crescita della povertà e della fame (…), decisi a vivere insieme, nessuno escluso, in pace, senza armi mortali, né fame né muri ostili, a garantire un futuro all’umanità e alle altre specie viventi (…) promuoviamo un processo costituente della Federazione della Terra, aperto all’adesione di tutti i popoli (…)”.

Ma allora a questo punto ci chiediamo cosa siamo in grado di fare; quali prospettive ci riservi l’immediato futuro, che è proprio quello triste, desolato, che appena abbiamo descritto. Intanto, cerchiamo di fare un passo all’indietro, provando a capire se della prossima distruzione del Pianeta si parli abbastanza o poco, ossia se si sia davvero consapevoli dell’ estinzione prossima di tutte le specie viventi (umane, vegetali, animali).  Muoviamo i passi innanzitutto, come è giusto che sia, dall’universo giovanile, che in questi ultimi anni si sta adoperando a promuovere una rete complessiva tra i numerosi movimenti al mondo, tra cui Fridays for future e di cui  Greta Thunberg è una delle principali voci. In occasione della Conferenza delle Parti di Katowice nel mese di dicembre 2018, Greta Thunberg nel suo intervento, tra l’altro, così si esprimeva: “Se avrò dei bambini, probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro sotto gli occhi” (in Carla Benedetti, La letteratura ci salverà dall’estinzione, Einaudi, 2021). I giovani, dunque, non è vero che non abbiano consapevolezza di quanto di poco rassicurante loro aspetti, che non cerchino di mandare al macero la concezione attuale dello sviluppo che ha in sé la sfrontatezza insolente di distruggere la vita delle specie viventi sulla Terra. Ora noi ci chiediamo per quale ragione non si ascoltino anche le voci delle giovani generazioni, a metà tra supplici e indignate, e, di certo, al limite della incredulità. I giovani hanno di noi adulti una scarsa considerazione; eppure a noi non manca la capacità di capire il loro punto di vista e le pervicaci preoccupazioni per il loro futuro, come se si sentissero dei “profeti inascoltati”, e per dirla con il filosofo ebreo tedesco Gunther Anders come “acrobati del tempo”, e, di conseguenza, persone che non vengono né ascoltate né credute: Oggi, a parte due o tre acrobati del tempo, non c’è nessuno che sia capace di mettersi nei panni di chi sarà domani (per non parlare di quelli che domani non ci saranno più), e di anticipare il loro sguardo verso il passato (e, quindi, anche verso il nostro oggi!)”. Eppure ci sono scrittori, filosofi, scienziati, artisti che da anni denunciano, profetizzando questa prossima catastrofe planetaria – ossia il collasso biologico e sociale, che annuncia la fine del mondo – ma non vengono presi in considerazione, anzi sono come ostracizzati e messi da parte. Tra questi vorrei ricordare – a parte Kant, Leopardi, Melville, Tolstoi, Dostovieskji – oltre ad Gunther Anders, Ernesto De Martino, Antonio Moresco, Bruno Latour, Steven Hawking, Frederic Jameson (per il quale è più facile immaginare la fine del mondo che non quella del capitalismo), Richard Powers -, dicevo, vorrei porre l’accento su Pier Paolo Pasolini, il “corsaro” Pasolini. Lo scrittore e poeta di Casarsa della Delizia, infatti, ha denunciato nelle sue opere (principalmente in Scritti corsari e Lettere luterane, opere postume) le prime rappresentazioni della dolorosa mutazione antropologica provocata dalla civiltà dei consumi, descrivendo nello stesso tempo gli effetti catastrofici di un “potere” cruento, ferino, brutale, che lui ha definito col sintagma “Nuovo Potere”. Pur sapendo che non tutto quello da lui preconizzato sia effettivamente successo, per esempio, al posto della omologazione della piccola e media borghesia, abbiamo assistito (ed oggi amaramente lo verifichiamo) ad una netta e cruenta divaricazione tra pochi ricchi ed una massa sterminata di poveri che crescono sempre di più e ai quali si aggiungono le schiere enormi di migranti che fuggono dalle carestie, dalle guerre civili, dalle modificazioni del clima che sta desertificando intere regioni dell’Africa; tuttavia, lui è e  rimane un “profeta”, un “acro- bata del tempo” grazie soprattutto ad un film documentario, La rabbia, 1963. Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra? Per rispondere a questa domanda ho scritto questo film senza seguire un filo cronologico, e forse neanche logico, ma soltanto le mie ragioni politiche e il mio sentimento poetico”.

 

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