In queste settimane si sta assistendo ad una feroce e violenta discussione sui processi relativi alla gestione dei mass-media ed alla libertà di espressione. Un confronto che sta lacerando il Paese, ma che lascia un po’ in ombra la problematica connessa all’obiettività dell’informazione: quali notizie vengono date? Quante volte i mezzi di comunicazione si pongono sinceramente al servizio del bene comune? In quale misura televisioni e giornali risultano essere libere dal potere economico e non solo politico? Quante volte i diritti degli ultimi assurgono alla cronaca attraverso tempi e spazi sufficientemente ampi?
Per rispondere a queste domande è opportuno guardare ancora una volta alle severe critiche che don Lorenzo Milani rivolse nei confronti dei mass-media. Con molta acutezza il sacerdote osservò come questi strumenti tendessero a soffocare la capacità di pensiero del soggetto, rendendo inoltre tutti gli uomini somiglianti ed impersonali: “Il veleno dei mezzi moderni è nel correre incalzante. Lo spettatore è sempre guidato per mano a velocità vertiginosa (…). S’abitua a intendere fulmineamente e si disabitua a riflettere (…). Cine e televisione si propongono lo svago come fine supremo. Esistono quasi solo in funzione del divertimento di milioni d’uomini che vogliono perder tempo, vogliono distrarsi” (L. Milani, Esperienze Pastorali). L’accusa del sacerdote era però rivolta anche nei confronti dei giornali di partito e dei giornali cosiddetti indipendenti: “Io temo che la lettura dei giornali di parte (sia comunisti, sia cattolici, sia padronali) abbia rappresentato più un ostacolo che un vantaggio alla civilizzazione intellettuale e morale del nostro popolo (…). Il povero non intende il giornale, ma anche quei pochi che lo intendono come potranno istruirsi e civilizzarsi leggendo ciò che è stato scritto con un secondo fine? E quale è mai il giornale che scriva per il fine che in teoria gli sarebbe primario cioè informare e non invece per quello di influenzare in una data direzione? (…). A Firenze il giornale “indipendente” è la Nazione. È stato comprato recentemente dagli Zuccheri. Ora non è da credersi che gli Zuccheri (che lesinano l’aumento di una lira agli operai o la riduzione di una lira ai consumatori con la scusa che non ci rientrano) vogliono poi spendere 4 miliardi per comprare una testata di giornale (passivo) senza un preciso scopo.
Questo scopo è la lotta di classe (…). Lotta spietata e sanguinaria non meno di quella che si propone nei giornali di sinistra. Non si uccide solo con le falci e coi forconi, ma anche coi licenziamenti, con gli sfratti, coi prezzi alti, con le forze dell’ordine, col giustificare e lodare questi quattro istituti e col denigrare lo sciopero e le altre povere armi sindacali” (L. Milani, Esperienze Pastorali).
I giornalisti stessi venivano considerati come meri strumenti nelle mani di chi possedeva la proprietà della testata. Risulta in proposito interessante la testimonianza di un giornalista che con il suo collega incontrò don Milani a Barbiana: “Don Milani ci presentò agli scolari: “ecco”, disse, “vedete ragazzi? Questi due signori sono due giornalisti, cioè sono pagati per dire le bugie sui giornali”. La presi dal lato scherzoso “non sempre bugie, don Lorenzo, o almeno noi raccontiamo delle cose che ci vengono raccontate. Se poi sono bugie, nemmeno noi lo sappiamo” (…). “Guardi che ho i documenti”. “Che documenti ha, don Milani?”. “Ho una lettera autografa, me l’ha spedita x y (e disse il nome d’un giornalista fra i più famosi dei nostri tempi), in cui si dice che i giornalisti sono dei venduti al miglior offerente”. “Quel nostro collega, ribattei, parlerà del suo caso personale. Quanto a noi due non siamo né comprati né venduti. O meglio, se lo siamo noi, lo sono tutti coloro che lavorano sotto padrone in Italia e in tutto il mondo. Dipendiamo dai nostri giornali, i nostri giornali dipendono da chi possiede la proprietà della testata. Non ci sono misteri”. “Benissimo, abbiamo capito: i giornalisti scrivono quel che vogliono i loro padroni” (G. Riccioni, La stampa e don Milani).☺
a.miccoli@cgilmolise.it
In queste settimane si sta assistendo ad una feroce e violenta discussione sui processi relativi alla gestione dei mass-media ed alla libertà di espressione. Un confronto che sta lacerando il Paese, ma che lascia un po’ in ombra la problematica connessa all’obiettività dell’informazione: quali notizie vengono date? Quante volte i mezzi di comunicazione si pongono sinceramente al servizio del bene comune? In quale misura televisioni e giornali risultano essere libere dal potere economico e non solo politico? Quante volte i diritti degli ultimi assurgono alla cronaca attraverso tempi e spazi sufficientemente ampi?
Per rispondere a queste domande è opportuno guardare ancora una volta alle severe critiche che don Lorenzo Milani rivolse nei confronti dei mass-media. Con molta acutezza il sacerdote osservò come questi strumenti tendessero a soffocare la capacità di pensiero del soggetto, rendendo inoltre tutti gli uomini somiglianti ed impersonali: “Il veleno dei mezzi moderni è nel correre incalzante. Lo spettatore è sempre guidato per mano a velocità vertiginosa (…). S’abitua a intendere fulmineamente e si disabitua a riflettere (…). Cine e televisione si propongono lo svago come fine supremo. Esistono quasi solo in funzione del divertimento di milioni d’uomini che vogliono perder tempo, vogliono distrarsi” (L. Milani, Esperienze Pastorali). L’accusa del sacerdote era però rivolta anche nei confronti dei giornali di partito e dei giornali cosiddetti indipendenti: “Io temo che la lettura dei giornali di parte (sia comunisti, sia cattolici, sia padronali) abbia rappresentato più un ostacolo che un vantaggio alla civilizzazione intellettuale e morale del nostro popolo (…). Il povero non intende il giornale, ma anche quei pochi che lo intendono come potranno istruirsi e civilizzarsi leggendo ciò che è stato scritto con un secondo fine? E quale è mai il giornale che scriva per il fine che in teoria gli sarebbe primario cioè informare e non invece per quello di influenzare in una data direzione? (…). A Firenze il giornale “indipendente” è la Nazione. È stato comprato recentemente dagli Zuccheri. Ora non è da credersi che gli Zuccheri (che lesinano l’aumento di una lira agli operai o la riduzione di una lira ai consumatori con la scusa che non ci rientrano) vogliono poi spendere 4 miliardi per comprare una testata di giornale (passivo) senza un preciso scopo.
Questo scopo è la lotta di classe (…). Lotta spietata e sanguinaria non meno di quella che si propone nei giornali di sinistra. Non si uccide solo con le falci e coi forconi, ma anche coi licenziamenti, con gli sfratti, coi prezzi alti, con le forze dell’ordine, col giustificare e lodare questi quattro istituti e col denigrare lo sciopero e le altre povere armi sindacali” (L. Milani, Esperienze Pastorali).
I giornalisti stessi venivano considerati come meri strumenti nelle mani di chi possedeva la proprietà della testata. Risulta in proposito interessante la testimonianza di un giornalista che con il suo collega incontrò don Milani a Barbiana: “Don Milani ci presentò agli scolari: “ecco”, disse, “vedete ragazzi? Questi due signori sono due giornalisti, cioè sono pagati per dire le bugie sui giornali”. La presi dal lato scherzoso “non sempre bugie, don Lorenzo, o almeno noi raccontiamo delle cose che ci vengono raccontate. Se poi sono bugie, nemmeno noi lo sappiamo” (…). “Guardi che ho i documenti”. “Che documenti ha, don Milani?”. “Ho una lettera autografa, me l’ha spedita x y (e disse il nome d’un giornalista fra i più famosi dei nostri tempi), in cui si dice che i giornalisti sono dei venduti al miglior offerente”. “Quel nostro collega, ribattei, parlerà del suo caso personale. Quanto a noi due non siamo né comprati né venduti. O meglio, se lo siamo noi, lo sono tutti coloro che lavorano sotto padrone in Italia e in tutto il mondo. Dipendiamo dai nostri giornali, i nostri giornali dipendono da chi possiede la proprietà della testata. Non ci sono misteri”. “Benissimo, abbiamo capito: i giornalisti scrivono quel che vogliono i loro padroni” (G. Riccioni, La stampa e don Milani).☺
In queste settimane si sta assistendo ad una feroce e violenta discussione sui processi relativi alla gestione dei mass-media ed alla libertà di espressione. Un confronto che sta lacerando il Paese, ma che lascia un po’ in ombra la problematica connessa all’obiettività dell’informazione: quali notizie vengono date? Quante volte i mezzi di comunicazione si pongono sinceramente al servizio del bene comune? In quale misura televisioni e giornali risultano essere libere dal potere economico e non solo politico? Quante volte i diritti degli ultimi assurgono alla cronaca attraverso tempi e spazi sufficientemente ampi?
Per rispondere a queste domande è opportuno guardare ancora una volta alle severe critiche che don Lorenzo Milani rivolse nei confronti dei mass-media. Con molta acutezza il sacerdote osservò come questi strumenti tendessero a soffocare la capacità di pensiero del soggetto, rendendo inoltre tutti gli uomini somiglianti ed impersonali: “Il veleno dei mezzi moderni è nel correre incalzante. Lo spettatore è sempre guidato per mano a velocità vertiginosa (…). S’abitua a intendere fulmineamente e si disabitua a riflettere (…). Cine e televisione si propongono lo svago come fine supremo. Esistono quasi solo in funzione del divertimento di milioni d’uomini che vogliono perder tempo, vogliono distrarsi” (L. Milani, Esperienze Pastorali). L’accusa del sacerdote era però rivolta anche nei confronti dei giornali di partito e dei giornali cosiddetti indipendenti: “Io temo che la lettura dei giornali di parte (sia comunisti, sia cattolici, sia padronali) abbia rappresentato più un ostacolo che un vantaggio alla civilizzazione intellettuale e morale del nostro popolo (…). Il povero non intende il giornale, ma anche quei pochi che lo intendono come potranno istruirsi e civilizzarsi leggendo ciò che è stato scritto con un secondo fine? E quale è mai il giornale che scriva per il fine che in teoria gli sarebbe primario cioè informare e non invece per quello di influenzare in una data direzione? (…). A Firenze il giornale “indipendente” è la Nazione. È stato comprato recentemente dagli Zuccheri. Ora non è da credersi che gli Zuccheri (che lesinano l’aumento di una lira agli operai o la riduzione di una lira ai consumatori con la scusa che non ci rientrano) vogliono poi spendere 4 miliardi per comprare una testata di giornale (passivo) senza un preciso scopo.
Questo scopo è la lotta di classe (…). Lotta spietata e sanguinaria non meno di quella che si propone nei giornali di sinistra. Non si uccide solo con le falci e coi forconi, ma anche coi licenziamenti, con gli sfratti, coi prezzi alti, con le forze dell’ordine, col giustificare e lodare questi quattro istituti e col denigrare lo sciopero e le altre povere armi sindacali” (L. Milani, Esperienze Pastorali).
I giornalisti stessi venivano considerati come meri strumenti nelle mani di chi possedeva la proprietà della testata. Risulta in proposito interessante la testimonianza di un giornalista che con il suo collega incontrò don Milani a Barbiana: “Don Milani ci presentò agli scolari: “ecco”, disse, “vedete ragazzi? Questi due signori sono due giornalisti, cioè sono pagati per dire le bugie sui giornali”. La presi dal lato scherzoso “non sempre bugie, don Lorenzo, o almeno noi raccontiamo delle cose che ci vengono raccontate. Se poi sono bugie, nemmeno noi lo sappiamo” (…). “Guardi che ho i documenti”. “Che documenti ha, don Milani?”. “Ho una lettera autografa, me l’ha spedita x y (e disse il nome d’un giornalista fra i più famosi dei nostri tempi), in cui si dice che i giornalisti sono dei venduti al miglior offerente”. “Quel nostro collega, ribattei, parlerà del suo caso personale. Quanto a noi due non siamo né comprati né venduti. O meglio, se lo siamo noi, lo sono tutti coloro che lavorano sotto padrone in Italia e in tutto il mondo. Dipendiamo dai nostri giornali, i nostri giornali dipendono da chi possiede la proprietà della testata. Non ci sono misteri”. “Benissimo, abbiamo capito: i giornalisti scrivono quel che vogliono i loro padroni” (G. Riccioni, La stampa e don Milani).☺
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