La povertà interna
5 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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La povertà interna

In un Paese allo sbando, che ancora fatica ad uscire dalla pesante crisi economica che lo attanaglia da anni, la sensazione è che i governanti abbiano perso il benché minimo legame con la realtà. Le cronache sono dominate dall’ennesimo braccio di ferro istituzionale, tra una maggioranza barricata dietro all’alibi di una scarsa governabilità e un’opposizione eterogenea, per non dire caotica, che si oppone all’ennesimo attacco ad una delle costituzioni più belle al mondo. I problemi del Belpaese, secondo il governo a guida Pd, passano tutti per la presunta ingovernabilità, che frenerebbe la spinta propulsivo-riformatrice del sindaco d’Italia. E come pensano di risolverli? Attraverso una revisione costituzionale pasticciata, che rimescola le carte e rende ancor più confuse le regole del gioco.

Ci sorprende, però, che nessuno spenda due parole sulla più lunga crisi sociale della storia repubblicana. Il mercato del lavoro, dimenticati i fausti degli anni ’70, sta vedendo retrocedere i lavoratori verso la condizione di schiavi, privi di alcun diritto. Ed è così che due giovani su tre – tra i 25 e i 35 anni – vivono ancora coi genitori, perché non possono permettersi di metter su famiglia. Il resto del totale, probabilmente, è rappresentato dai cervelli in fuga, in numero crescente. E come rispondono i nostri amministratori? Con grandi proclami di riforme. Non un euro investito in ricerca e innovazione, non un tentativo di restituire dignità alla popolazione con provvedimenti già diffusissimi nel resto del continente, come il reddito minimo garantito.

A lanciare l’allarme – e sola a tentare di porvi un argine – è la Caritas italiana. Negli ultimi anni, checché ne pensi il cittadino medio – male informato da media e propaganda dei partiti xenofobi – è cresciuta esponenzialmente la percentuale di cittadini italiani che si rivolgono all’assistenza diocesana. Nell’ultimo rapporto “sulle povertà e le risorse” della Caritas di Termoli- Larino, infatti, emerge come il 65% delle persone che hanno usufruito dei servizi Caritas sia rappresentato dagli italiani. In particolare, ciò che colpisce è che sono state proprio le famiglie con minori a subire le più pesanti flessioni del reddito. Se fino a qualche anno fa le famiglie con minori rappresentavano, per stile di vita e propensione al risparmio, una categoria protetta, ora sono proprio loro ad indebitarsi maggiormente. Perché? Per rispondere ai bisogni primari: la casa, l’alimentazione, l’istruzione obbligatoria e, non da ultimo, le spese mediche, con i ticket che crescono di pari passo con la fallimentare gestione della Sanità. Quelli che abbiamo incontrato in mensa, tenuta su con “miracoli quotidiani” da suor Angela e dalle sue cuoche, sono cittadini spesso insospettabili, i nostri vicini di casa, persone che non avrebbero mai pensato di rivolgersi ai servizi di assistenza e che, in prima istanza, devono superare un pesante contraccolpo psicologico.

Se è vero dunque che viviamo l’ emergenza profughi e che dobbiamo farci sentire in Europa affinché anche gli altri Paesi membri facciano la loro parte, stiamo completamente ignorando i nostri profughi, la disperazione che c’è nelle nostre città. Proprio in occasione di un incontro tra le Caritas europee, il vice-direttore della sezione termolese, Gianni Pinto, si è trovato a parlare con un collega austriaco e ci ha raccontato la singolare conversazione. Il collega d’oltralpe gli spiegava che a loro spettava il compito di far fronte alla povertà interna e a quella dei migranti, su mandato dello Stato. Riguardo ai profughi, in particolare, loro devono aiutarli nei primi mesi, nell’ottenere lo status di rifugiati, nell’inserirsi. Superata la fase di transizione, sarà poi il welfare nazionale a garantire loro gli 850€ al mese per i singoli, che crescono gradualmente per le coppie e, via via, a seconda del numero di figli. Finita questa spiegazione, si gira verso il povero Gianni, che ripensando alla situazione italiana era già arrossito, e gli chiede: “Mi hai parlato solo dei primi mesi, ma quando finisce il vostro compito, cosa fanno i migranti da voi?”. Gianni, sempre più rosso in volto, risponde: “Quello che fanno i cittadini italiani privi di reddito. Cercano di sopravvivere”.

Sta tutta qui la civiltà di un Paese. Come possiamo pensare di riscrivere la Costituzione, di attaccare gli ormai scarsi diritti dei lavoratori, di privatizzare selvaggiamente i servizi primari come la Sanità, se non riusciamo a garantire la dignità ai cittadini? Che senso ha parlare di grandi opere, di finti tagli dei costi della politica, se non ci rendiamo conto del dramma di milioni di famiglie? È vero, per fortuna c’è la Chiesa che ha ancora al centro della sua mission l’essere umano. Ma una classe politica che voglia essere credibile ed intraprendere riforme serie e strutturali, non può che partire col rispondere ad un popolo in sofferenza. Dei tecnicismi, semmai, ci occuperemo più avanti e, com’è giusto che sia, la Costituzione si potrebbe ammodernare tutti insieme, una volta pacificata una nazione in cui le disuguaglianze sono sempre più profonde. ☺

 

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