Mito è un racconto che riferisce un evento importante che si immagina accaduto prima di ogni determinazione storica; il significato di questa narrazione non è limitato nel tempo e nello spazio, ma ha un valore universale per ogni fase dell’esperienza umana; è perciò in grado di fornirci categorie di interpretazione del presente.
Un interrogativo appassionante che il modo greco ci consegna riguarda il rapporto fra la divinità e l’uomo. Se ne ricava la visione di un mondo in cui gli uomini agiscono esclusivamente per volere divino, in cui non c’è spazio per la libertà umana. L’essere umano appare quasi sempre eterodeterminato, non avendo la possibilità di autodirigersi, consapevole com’è che alla volontà degli dèi è difficile sottrarsi. Perché, se vi si sottrae, incorre nell’ira della divinità offesa e sa che verrà punito.
Avviene così sin dalla creazione…
Vi fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Il momento della nascita giunse per le creature terrestri quando gli Dei ne fecero il calco mescolando terra e fuoco. Ma prima di portarle alla luce, Zeus raccomandò ai Titani, Epimeteo e Prometeo, di distribuire a ciascun essere facoltà naturali secondo la convenienza. I due semidèi decisero perciò di comune accordo di occuparsi il primo della distribuzione, il secondo del controllo. Detto fatto, Epimeteo si pose al lavoro: ad alcuni assegna la forza senza però la velocità; ad altri un corpo piccolo ma ali per fuggire; altri ancora li avvolge con folto pelame e dure pelli per difenderli dal freddo e proteggerli dalle intemperie delle stagioni di Zeus; ad altri fornisce zoccoli ed unghie. Lavora instancabilmente Epimeteo, ma non si avvede, ahimé, di aver incautamente consumato, in favore degli esseri privi di ragione, tutte le facoltà naturali a sua disposizione. E ora non sa come fare per trarsi d’imbarazzo: gli rimane dinanzi l’uomo, sguarnito di tutto! Nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi, ormai vicino il giorno in cui anche lui sarebbe dovuto uscire dalla terra alla luce.
Prometeo, sopraggiunto a controllare la “distribuzione”, rimprovera Epimeteo per non aver sapientemente assegnato i doni di cui disponeva. E avendo a cuore la salvezza dell’uomo, il Titano, sfidando le leggi severe dell’Olimpo, ruba ad Efesto il sapere tecnico, insieme con il fuoco.
Come prevedibile, Zeus si adira profondamente. Non gradisce che un semidio, e con lui l’uomo, possa sfuggire al suo controllo. Perciò procura agli umani uno splendido malanno. Ordina ad Efesto, il dio fabbro, di forgiare un fantoccio che assomigli ad una dea immortale. Lo scultore si mette al lavoro e confeziona il simulacro di una fanciulla straordinariamente bella. Concorrono alla realizzazione di questo manichino anche Atena e Afrodite che la rivestono di una candida tunica e di gioielli che ne esaltino il fascino e la bellezza. Nel momento in cui viene riversato su di lei il bagliore della seduzione, Ermes stesso le infonde la voce di un essere umano. Il suo nome sarà Pandora “tutti i doni” o “tutto un dono” ad indicare che ciascuna divinità dell’Olimpo si pregia di lasciare in lei traccia di sé: Afrodite un po’ del suo fascino e della sua civetteria, Atena qualche tratto d’intelletto, Era qualche suggerimento per diventare una buona moglie. Zeus ammira soddisfatto il capolavoro e, non volendo peccare di mancanza di generosità, porge anch’egli in dono alla fanciulla un vaso meraviglioso, ermeticamente chiuso.
Ultimo atto. Zeus ordina a Pandora di non aprire il coperchio. Ma in assenza dello sposo Epimeteo, recatosi al lavoro nei campi, Zeus in persona consente alla giovane donna di sollevare il pesante coperchio dell’orcio. In un attimo tutti i mali fuoriescono dal contenitore e si disperdono nell’universo: fatica, vecchiaia, dolore, malattia, lutto, morte… Sul fondo rimane solo la speranza. Forse un rimorso o un ripensamento di Zeus Olimpio? O inizia a profilarsi la possibilità di un futuro nel quale l’individuo cominci lentamente a credere nella sua capacità di autodirigersi?
Se la speranza diventa per l’uomo l’unica opportunità per sopportare tutto il peso della nuova condizione, può anche rappresentare allora lo strumento nuovo che apre la strada al processo di emancipazione della coscienza. ☺
annama.mastropietro@tiscali.it
Mito è un racconto che riferisce un evento importante che si immagina accaduto prima di ogni determinazione storica; il significato di questa narrazione non è limitato nel tempo e nello spazio, ma ha un valore universale per ogni fase dell’esperienza umana; è perciò in grado di fornirci categorie di interpretazione del presente.
Un interrogativo appassionante che il modo greco ci consegna riguarda il rapporto fra la divinità e l’uomo. Se ne ricava la visione di un mondo in cui gli uomini agiscono esclusivamente per volere divino, in cui non c’è spazio per la libertà umana. L’essere umano appare quasi sempre eterodeterminato, non avendo la possibilità di autodirigersi, consapevole com’è che alla volontà degli dèi è difficile sottrarsi. Perché, se vi si sottrae, incorre nell’ira della divinità offesa e sa che verrà punito.
Avviene così sin dalla creazione…
Vi fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Il momento della nascita giunse per le creature terrestri quando gli Dei ne fecero il calco mescolando terra e fuoco. Ma prima di portarle alla luce, Zeus raccomandò ai Titani, Epimeteo e Prometeo, di distribuire a ciascun essere facoltà naturali secondo la convenienza. I due semidèi decisero perciò di comune accordo di occuparsi il primo della distribuzione, il secondo del controllo. Detto fatto, Epimeteo si pose al lavoro: ad alcuni assegna la forza senza però la velocità; ad altri un corpo piccolo ma ali per fuggire; altri ancora li avvolge con folto pelame e dure pelli per difenderli dal freddo e proteggerli dalle intemperie delle stagioni di Zeus; ad altri fornisce zoccoli ed unghie. Lavora instancabilmente Epimeteo, ma non si avvede, ahimé, di aver incautamente consumato, in favore degli esseri privi di ragione, tutte le facoltà naturali a sua disposizione. E ora non sa come fare per trarsi d’imbarazzo: gli rimane dinanzi l’uomo, sguarnito di tutto! Nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi, ormai vicino il giorno in cui anche lui sarebbe dovuto uscire dalla terra alla luce.
Prometeo, sopraggiunto a controllare la “distribuzione”, rimprovera Epimeteo per non aver sapientemente assegnato i doni di cui disponeva. E avendo a cuore la salvezza dell’uomo, il Titano, sfidando le leggi severe dell’Olimpo, ruba ad Efesto il sapere tecnico, insieme con il fuoco.
Come prevedibile, Zeus si adira profondamente. Non gradisce che un semidio, e con lui l’uomo, possa sfuggire al suo controllo. Perciò procura agli umani uno splendido malanno. Ordina ad Efesto, il dio fabbro, di forgiare un fantoccio che assomigli ad una dea immortale. Lo scultore si mette al lavoro e confeziona il simulacro di una fanciulla straordinariamente bella. Concorrono alla realizzazione di questo manichino anche Atena e Afrodite che la rivestono di una candida tunica e di gioielli che ne esaltino il fascino e la bellezza. Nel momento in cui viene riversato su di lei il bagliore della seduzione, Ermes stesso le infonde la voce di un essere umano. Il suo nome sarà Pandora “tutti i doni” o “tutto un dono” ad indicare che ciascuna divinità dell’Olimpo si pregia di lasciare in lei traccia di sé: Afrodite un po’ del suo fascino e della sua civetteria, Atena qualche tratto d’intelletto, Era qualche suggerimento per diventare una buona moglie. Zeus ammira soddisfatto il capolavoro e, non volendo peccare di mancanza di generosità, porge anch’egli in dono alla fanciulla un vaso meraviglioso, ermeticamente chiuso.
Ultimo atto. Zeus ordina a Pandora di non aprire il coperchio. Ma in assenza dello sposo Epimeteo, recatosi al lavoro nei campi, Zeus in persona consente alla giovane donna di sollevare il pesante coperchio dell’orcio. In un attimo tutti i mali fuoriescono dal contenitore e si disperdono nell’universo: fatica, vecchiaia, dolore, malattia, lutto, morte… Sul fondo rimane solo la speranza. Forse un rimorso o un ripensamento di Zeus Olimpio? O inizia a profilarsi la possibilità di un futuro nel quale l’individuo cominci lentamente a credere nella sua capacità di autodirigersi?
Se la speranza diventa per l’uomo l’unica opportunità per sopportare tutto il peso della nuova condizione, può anche rappresentare allora lo strumento nuovo che apre la strada al processo di emancipazione della coscienza. ☺
Mito è un racconto che riferisce un evento importante che si immagina accaduto prima di ogni determinazione storica; il significato di questa narrazione non è limitato nel tempo e nello spazio, ma ha un valore universale per ogni fase dell’esperienza umana; è perciò in grado di fornirci categorie di interpretazione del presente.
Un interrogativo appassionante che il modo greco ci consegna riguarda il rapporto fra la divinità e l’uomo. Se ne ricava la visione di un mondo in cui gli uomini agiscono esclusivamente per volere divino, in cui non c’è spazio per la libertà umana. L’essere umano appare quasi sempre eterodeterminato, non avendo la possibilità di autodirigersi, consapevole com’è che alla volontà degli dèi è difficile sottrarsi. Perché, se vi si sottrae, incorre nell’ira della divinità offesa e sa che verrà punito.
Avviene così sin dalla creazione…
Vi fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Il momento della nascita giunse per le creature terrestri quando gli Dei ne fecero il calco mescolando terra e fuoco. Ma prima di portarle alla luce, Zeus raccomandò ai Titani, Epimeteo e Prometeo, di distribuire a ciascun essere facoltà naturali secondo la convenienza. I due semidèi decisero perciò di comune accordo di occuparsi il primo della distribuzione, il secondo del controllo. Detto fatto, Epimeteo si pose al lavoro: ad alcuni assegna la forza senza però la velocità; ad altri un corpo piccolo ma ali per fuggire; altri ancora li avvolge con folto pelame e dure pelli per difenderli dal freddo e proteggerli dalle intemperie delle stagioni di Zeus; ad altri fornisce zoccoli ed unghie. Lavora instancabilmente Epimeteo, ma non si avvede, ahimé, di aver incautamente consumato, in favore degli esseri privi di ragione, tutte le facoltà naturali a sua disposizione. E ora non sa come fare per trarsi d’imbarazzo: gli rimane dinanzi l’uomo, sguarnito di tutto! Nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi, ormai vicino il giorno in cui anche lui sarebbe dovuto uscire dalla terra alla luce.
Prometeo, sopraggiunto a controllare la “distribuzione”, rimprovera Epimeteo per non aver sapientemente assegnato i doni di cui disponeva. E avendo a cuore la salvezza dell’uomo, il Titano, sfidando le leggi severe dell’Olimpo, ruba ad Efesto il sapere tecnico, insieme con il fuoco.
Come prevedibile, Zeus si adira profondamente. Non gradisce che un semidio, e con lui l’uomo, possa sfuggire al suo controllo. Perciò procura agli umani uno splendido malanno. Ordina ad Efesto, il dio fabbro, di forgiare un fantoccio che assomigli ad una dea immortale. Lo scultore si mette al lavoro e confeziona il simulacro di una fanciulla straordinariamente bella. Concorrono alla realizzazione di questo manichino anche Atena e Afrodite che la rivestono di una candida tunica e di gioielli che ne esaltino il fascino e la bellezza. Nel momento in cui viene riversato su di lei il bagliore della seduzione, Ermes stesso le infonde la voce di un essere umano. Il suo nome sarà Pandora “tutti i doni” o “tutto un dono” ad indicare che ciascuna divinità dell’Olimpo si pregia di lasciare in lei traccia di sé: Afrodite un po’ del suo fascino e della sua civetteria, Atena qualche tratto d’intelletto, Era qualche suggerimento per diventare una buona moglie. Zeus ammira soddisfatto il capolavoro e, non volendo peccare di mancanza di generosità, porge anch’egli in dono alla fanciulla un vaso meraviglioso, ermeticamente chiuso.
Ultimo atto. Zeus ordina a Pandora di non aprire il coperchio. Ma in assenza dello sposo Epimeteo, recatosi al lavoro nei campi, Zeus in persona consente alla giovane donna di sollevare il pesante coperchio dell’orcio. In un attimo tutti i mali fuoriescono dal contenitore e si disperdono nell’universo: fatica, vecchiaia, dolore, malattia, lutto, morte… Sul fondo rimane solo la speranza. Forse un rimorso o un ripensamento di Zeus Olimpio? O inizia a profilarsi la possibilità di un futuro nel quale l’individuo cominci lentamente a credere nella sua capacità di autodirigersi?
Se la speranza diventa per l’uomo l’unica opportunità per sopportare tutto il peso della nuova condizione, può anche rappresentare allora lo strumento nuovo che apre la strada al processo di emancipazione della coscienza. ☺
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