Non in vernacolo, ha scelto così. Ma finalmente è tornato a scrivere di sé. Molti lo stavano aspettando perché, allo storico meticoloso, preferiscono il poeta, l’uomo a colloquio con se stesso e con i suoi affetti, teso alla ricerca della parola pescata nel cuore, con fatica e sollievo insieme. Dopo il lungo, meticoloso lavoro di studio sulla storia, il territorio e le tradizioni di Bojano (raccolto nei tre volumi di Bojano. Le radici), Michele Campanella ha pubblicato il suo ultimo Libro di storie (Tipolito Matese, Bojano, 2012). Un titolo che già parla da sé e ci fa entrare nelle mille pieghe della vita, quella di tutti i giorni, in cui si intrecciano – in un coro di voci e di emozioni – lo scorrere del tempo (paragonato spesso ad un treno), l’amore per la donna, la vecchiaia, la natura, la propria terra, l’attualità, i ricordi, il senso della vita, il peso dei tempi che cambiano inesorabilmente, lasciando dietro di sé il rimpianto del passato (Scenari cupi, Mamma, Contraddizioni, e molte altre). Spinte contrapposte, sentimenti contrastanti, luci ed ombre, serenità e tormento: proprio come nel cuore dell’uomo, in cui ciascun lettore può – aprendo Libro di storie – riconoscersi e trovare un pezzettino di sé, aiutato anche dagli scatti seducenti di Francesco Morgillo, Alessio Spina ed Emiddio Perrella e dai colori decisi delle tele di Dora Mazzuto, due giovani artisti bojanesi che hanno già impreziosito una precedente raccolta di Campanella (Momenti di luce), accompagnandola.
La natura ispira molte liriche della raccolta: la Luce di maggio si confonde col viso della donna amata (quasi a ricordare la metamorfosi di Ermione), accendendone i colori e le forme, in una primavera radiosa che illumina il cuore del poeta, come il Mare verde di maggio, che ricopre la montagna che sovrasta l’amata Bojano e “ti penetra dentro / portandoti la gioia della vita / che rinasce”; senso di appartenenza alla natura e amore per la propria terra e le proprie radici non possono che sovrapporsi ne La mia anima aleggia sul Biferno così come nell’Ode a Monteverde, “adagiato come un sogno” nel cuore del poeta, “borgo gentile, dolce e sorridente / che il sole bacia sempre dal mattino / caro compagno della vita mia”.
Un altro motivo ricorrente è la malinconia e quel sottile senso di inquietudine che si cela dietro ogni accadimento, e viene letto in controluce, tra le righe, anche in un momento di apparente spensieratezza. Il fascino dirompente di un tramonto di fuoco abbaglia, ma “non dona pace / perché nel mio cuore / rimane immutata / l’ansia del dopo / ch’è sempre più ignoto / e accende / tra dubbi, certezze e riluttanze / la dolce speranza”. Così come Il grande silenzio della sera reca serenità ma spinge al contempo il poeta ad interrogarsi sul senso della vita, che lo lascia talvolta sgomento. E, ancora, di fronte ai sogni e alle proprie aspirazioni (La chimera), l’uomo si ritrova sempre a dover fare i conti con quell’inafferrabile appagamento del desiderio che ricorda tanto la tensione leopardiana verso l’infi- nito, destinata a restare sempre delusa dalla finitezza umana.
L’amore, sì. Sempre sussurrato in toni pastello, circondato dalla discrezione e da un pudore antichi. La lirica che apre la raccolta è proprio una poesia d’amore: un fiore disseccato e ingiallito, conservato per anni tra le pagine di un Libro di storia, riporta alla mente del poeta una donna, un amore. Che non ha perso il suo posto e il suo valore nel cuore dell’amato.
Sia che si tratti di componimenti brevi, segnati da versi corti, spezzati, tesi ad isolare singole parole, sia che si tratti di uno stile più “narrativo” e disteso in versi lunghi e strofe ampie, la poesia di Michele Campanella fa sempre ricorso ad una evidente musicalità, ottenuta – piuttosto che con la rima (rara) -, mediante allitterazioni, consonanze e assonanze, che costruiscono un gioco sapiente di suoni. ☺
gadelis@libero.it
Non in vernacolo, ha scelto così. Ma finalmente è tornato a scrivere di sé. Molti lo stavano aspettando perché, allo storico meticoloso, preferiscono il poeta, l’uomo a colloquio con se stesso e con i suoi affetti, teso alla ricerca della parola pescata nel cuore, con fatica e sollievo insieme. Dopo il lungo, meticoloso lavoro di studio sulla storia, il territorio e le tradizioni di Bojano (raccolto nei tre volumi di Bojano. Le radici), Michele Campanella ha pubblicato il suo ultimo Libro di storie (Tipolito Matese, Bojano, 2012). Un titolo che già parla da sé e ci fa entrare nelle mille pieghe della vita, quella di tutti i giorni, in cui si intrecciano – in un coro di voci e di emozioni – lo scorrere del tempo (paragonato spesso ad un treno), l’amore per la donna, la vecchiaia, la natura, la propria terra, l’attualità, i ricordi, il senso della vita, il peso dei tempi che cambiano inesorabilmente, lasciando dietro di sé il rimpianto del passato (Scenari cupi, Mamma, Contraddizioni, e molte altre). Spinte contrapposte, sentimenti contrastanti, luci ed ombre, serenità e tormento: proprio come nel cuore dell’uomo, in cui ciascun lettore può – aprendo Libro di storie – riconoscersi e trovare un pezzettino di sé, aiutato anche dagli scatti seducenti di Francesco Morgillo, Alessio Spina ed Emiddio Perrella e dai colori decisi delle tele di Dora Mazzuto, due giovani artisti bojanesi che hanno già impreziosito una precedente raccolta di Campanella (Momenti di luce), accompagnandola.
La natura ispira molte liriche della raccolta: la Luce di maggio si confonde col viso della donna amata (quasi a ricordare la metamorfosi di Ermione), accendendone i colori e le forme, in una primavera radiosa che illumina il cuore del poeta, come il Mare verde di maggio, che ricopre la montagna che sovrasta l’amata Bojano e “ti penetra dentro / portandoti la gioia della vita / che rinasce”; senso di appartenenza alla natura e amore per la propria terra e le proprie radici non possono che sovrapporsi ne La mia anima aleggia sul Biferno così come nell’Ode a Monteverde, “adagiato come un sogno” nel cuore del poeta, “borgo gentile, dolce e sorridente / che il sole bacia sempre dal mattino / caro compagno della vita mia”.
Un altro motivo ricorrente è la malinconia e quel sottile senso di inquietudine che si cela dietro ogni accadimento, e viene letto in controluce, tra le righe, anche in un momento di apparente spensieratezza. Il fascino dirompente di un tramonto di fuoco abbaglia, ma “non dona pace / perché nel mio cuore / rimane immutata / l’ansia del dopo / ch’è sempre più ignoto / e accende / tra dubbi, certezze e riluttanze / la dolce speranza”. Così come Il grande silenzio della sera reca serenità ma spinge al contempo il poeta ad interrogarsi sul senso della vita, che lo lascia talvolta sgomento. E, ancora, di fronte ai sogni e alle proprie aspirazioni (La chimera), l’uomo si ritrova sempre a dover fare i conti con quell’inafferrabile appagamento del desiderio che ricorda tanto la tensione leopardiana verso l’infi- nito, destinata a restare sempre delusa dalla finitezza umana.
L’amore, sì. Sempre sussurrato in toni pastello, circondato dalla discrezione e da un pudore antichi. La lirica che apre la raccolta è proprio una poesia d’amore: un fiore disseccato e ingiallito, conservato per anni tra le pagine di un Libro di storia, riporta alla mente del poeta una donna, un amore. Che non ha perso il suo posto e il suo valore nel cuore dell’amato.
Sia che si tratti di componimenti brevi, segnati da versi corti, spezzati, tesi ad isolare singole parole, sia che si tratti di uno stile più “narrativo” e disteso in versi lunghi e strofe ampie, la poesia di Michele Campanella fa sempre ricorso ad una evidente musicalità, ottenuta – piuttosto che con la rima (rara) -, mediante allitterazioni, consonanze e assonanze, che costruiscono un gioco sapiente di suoni. ☺
Non in vernacolo, ha scelto così. Ma finalmente è tornato a scrivere di sé. Molti lo stavano aspettando perché, allo storico meticoloso, preferiscono il poeta, l’uomo a colloquio con se stesso e con i suoi affetti, teso alla ricerca della parola pescata nel cuore, con fatica e sollievo insieme. Dopo il lungo, meticoloso lavoro di studio sulla storia, il territorio e le tradizioni di Bojano (raccolto nei tre volumi di Bojano. Le radici), Michele Campanella ha pubblicato il suo ultimo Libro di storie (Tipolito Matese, Bojano, 2012). Un titolo che già parla da sé e ci fa entrare nelle mille pieghe della vita, quella di tutti i giorni, in cui si intrecciano – in un coro di voci e di emozioni – lo scorrere del tempo (paragonato spesso ad un treno), l’amore per la donna, la vecchiaia, la natura, la propria terra, l’attualità, i ricordi, il senso della vita, il peso dei tempi che cambiano inesorabilmente, lasciando dietro di sé il rimpianto del passato (Scenari cupi, Mamma, Contraddizioni, e molte altre). Spinte contrapposte, sentimenti contrastanti, luci ed ombre, serenità e tormento: proprio come nel cuore dell’uomo, in cui ciascun lettore può – aprendo Libro di storie – riconoscersi e trovare un pezzettino di sé, aiutato anche dagli scatti seducenti di Francesco Morgillo, Alessio Spina ed Emiddio Perrella e dai colori decisi delle tele di Dora Mazzuto, due giovani artisti bojanesi che hanno già impreziosito una precedente raccolta di Campanella (Momenti di luce), accompagnandola.
La natura ispira molte liriche della raccolta: la Luce di maggio si confonde col viso della donna amata (quasi a ricordare la metamorfosi di Ermione), accendendone i colori e le forme, in una primavera radiosa che illumina il cuore del poeta, come il Mare verde di maggio, che ricopre la montagna che sovrasta l’amata Bojano e “ti penetra dentro / portandoti la gioia della vita / che rinasce”; senso di appartenenza alla natura e amore per la propria terra e le proprie radici non possono che sovrapporsi ne La mia anima aleggia sul Biferno così come nell’Ode a Monteverde, “adagiato come un sogno” nel cuore del poeta, “borgo gentile, dolce e sorridente / che il sole bacia sempre dal mattino / caro compagno della vita mia”.
Un altro motivo ricorrente è la malinconia e quel sottile senso di inquietudine che si cela dietro ogni accadimento, e viene letto in controluce, tra le righe, anche in un momento di apparente spensieratezza. Il fascino dirompente di un tramonto di fuoco abbaglia, ma “non dona pace / perché nel mio cuore / rimane immutata / l’ansia del dopo / ch’è sempre più ignoto / e accende / tra dubbi, certezze e riluttanze / la dolce speranza”. Così come Il grande silenzio della sera reca serenità ma spinge al contempo il poeta ad interrogarsi sul senso della vita, che lo lascia talvolta sgomento. E, ancora, di fronte ai sogni e alle proprie aspirazioni (La chimera), l’uomo si ritrova sempre a dover fare i conti con quell’inafferrabile appagamento del desiderio che ricorda tanto la tensione leopardiana verso l’infi- nito, destinata a restare sempre delusa dalla finitezza umana.
L’amore, sì. Sempre sussurrato in toni pastello, circondato dalla discrezione e da un pudore antichi. La lirica che apre la raccolta è proprio una poesia d’amore: un fiore disseccato e ingiallito, conservato per anni tra le pagine di un Libro di storia, riporta alla mente del poeta una donna, un amore. Che non ha perso il suo posto e il suo valore nel cuore dell’amato.
Sia che si tratti di componimenti brevi, segnati da versi corti, spezzati, tesi ad isolare singole parole, sia che si tratti di uno stile più “narrativo” e disteso in versi lunghi e strofe ampie, la poesia di Michele Campanella fa sempre ricorso ad una evidente musicalità, ottenuta – piuttosto che con la rima (rara) -, mediante allitterazioni, consonanze e assonanze, che costruiscono un gioco sapiente di suoni. ☺
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