sinistra assente
14 Aprile 2010 Share

sinistra assente

 

Ci chiediamo se all’indomani dello sconvolgimento politico delle elezioni del 13-14 aprile 2008 e per il quale tutta intera la sinistra è stata spazzata via, sia il caso di fare qualche riflessione sulla scomparsa parlamentare delle forze politiche della sinistra, in particolare di Rifondazione comunista, condizione che neppure sotto il regime fascista degli anni Venti e Trenta si era verificata.

Le ragioni, secondo il nostro punto di vista, possono essere quasi totalmente ascrivibili alla sinistra stessa: facciamo qualche esempio essenziale, pensando alla politica nella sua complessività generale e riflettendo sul ruolo che nell’amministrazione comunale di Campobasso dovrebbe essere stato svolto dal cartello delle sinistre.

Il 20 ottobre 2007 il popolo della sinistra comunista, e non solo comunista,  è sceso in piazza S. Giovanni, a Roma, scandendo slogan nei quali esso chiedeva al governo Prodi – cioè a se stesso – di rispettare gli accordi elettorali nei quali un posto di rilievo occupa(va) la difesa del welfare state, ossia l’attenzione a quella politica economica e sociale che prendesse in seria considerazione le precarie e modeste condizioni di vita non solo dei cosiddetti “proletari” (= la classe lavoratrice dipendente nel suo complesso) ma anche di ampi segmenti del ceto medio-borghese, letteralmente in panne economica e difficilmente capace di arrivare a fine mese con gli stipendi da fame “europea”.

Ebbene, quella manifestazione, che per la sinistra radicale costituisce una tappa importante di per sé, in quanto ha rappresentato la capacità di portare in piazza più di un milione di persone appena sei mesi prima delle elezioni politiche di aprile 2008, quella manifestazione, dicevamo, è sicuramente da considerarsi un boomerang per la sinistra e per Rifondazione comunista in particolare.

La gente comune in quei giorni così si esprimeva: “come è possibile far parte di un governo nazionale e poi organizzare una manifestazione avversa alla sua governance? Non è questo episodio una specie di controsenso o di espressione patologica di un certo modo di far politica che rasenta la schizofrenia?..”.

E ciò indipendentemente dalle buone ragioni di chi, dentro i partiti, supponeva che tale iniziativa dovesse ulteriormente esortare il governo Prodi a non cedere sulla questione dello “stato sociale” di fronte alle forze moderate presenti nel governo, ma che ha finito con il danneggiare la coalizione, determinandone la paralisi e, di conseguenza, l’attivazione di forme parossistiche di litigiosità interpartitica.

Inoltre, senza andare troppo lontani, prendiamo in considerazione la legge Biagi, quella della precarietà o della flessibilità del lavoro, considerato per lo più un “instrumentum ad servitudinem” o un privilegio per quelli – peraltro una fortunata élite – che lo vedono letteralmente deprivato di quei significati di giustizia sociale e di dignità civile che la Carta Costituzionale gli assegna.

Ma possiamo, altresì, prendere in esame anche la legge della riforma scolastica, nota col nome di riforma “Moratti”, o, per concludere, la questione legata alla presenza delle forze armate italiane nel mondo, su cui la componente pacifista-verde, presente nel governo Prodi, premeva per l’unica soluzione dignitosa indicata dalla Costituzione repubblicana e delle indicazioni presenti sulla Carta delle Nazioni Unite.

Infine, che dire della sicurezza e del rapporto con le minoranze etnico-linguistiche presenti in Italia e collegate al fenomeno dell’immigrazione, anche clandestina, sulla quale la coalizione prodiana aveva un denominatore comune, ossia il rispetto per la persona?

La clandestinità degli immigrati non è una forma mentis accattona, come oggi i mass media o le fobie soverchianti lasciano intendere comunemente, ma l’espressione di una condizione sociale subalterna, affranta, indigente, frustrata, emarginata che merita tutta l’attenzione e la solidarietà possibile.

Non essere stati capaci di far rispettare questo e tanti altri punti del programma è stata una prova autolesionistica per le forze di sinistra che contavano di spingere il governo Prodi su un asse progressista, quando, invece, così non è stato…

A Campobasso

Allo stesso tempo non va sottaciuto il maldestro comportamento delle forze di centro-sinistra a Campobasso, là dove molto frequentemente queste hanno espresso il loro malumore nei confronti del sindaco Di Fabio, che ha costretto la sinistra radicale ad un continuo rincorrerlo non solo sull’applicazione di punti nodali del programma elettorale – come per esempio il bilancio partecipativo o il piano regolatore – ma anche su quello del rapporto (modesto e superficiale) con i cittadini e del rispetto della democrazia partecipata.

Agli occhi dei cittadini più accorti le due crisi di governo sono apparse come un “capriccio” del sindaco, che ha spinto la maggioranza consiliare su una china para-presidenzialistica e quindi non democratica con piena responsabilità degli stessi consiglieri e delle forze partitiche che compongono  la maggioranza consiliare.

L’igiene complessiva della città lascia a desiderare, così come è arduo per i cittadini comuni poter godere di una semplice passeggiata per le vie della città, in quanto queste sono sempre, oltre misura e limiti di tolleranza, intasate dalle macchine all’interno di un traffico caotico e disordinato.

Tali responsabilità, anche se ci coinvolgono da vicino, non vanno taciute, anzi debbono essere espresse in modo chiaro ed in equivoco.

In effetti, le circostanze per lasciare la maggioranza di governo a Campobasso ci sono state a partire dall’insoddisfacente questione della SEA – la società che gestisce i parcheggi a la raccolta dell’immondizia nella città capoluogo e che è preposta allo sgombero della neve, d’inverno – ; oppure dalla questione dell’assegnazione degli alloggi abitativi che mettono in risalto un bisogno ed una richiesta estesi, dignitosi, cui vanno offerte risposte concrete e tempestive; infine, ad arrivare alle tematiche collegate agli LSU, i cosiddetti “lavoratori socialmente utili”, che a Campobasso da quasi due decenni attendono di essere inquadrati stabilmente nell’ambito della pianta organica del comune capoluogo di regione.

Questi temi non sono stati affrontati con la necessaria urgenza dal sindaco della città, come viene testimoniato dalla perenne crisi progressiva che fa vacillare costantemente l’equilibrio assessorile e di governo cittadino.

Infine, un’altra nota, non marginale, viene rappresentata dalla presenza di un numero abnorme di assessori e di delegati sindacali, per cui si pone il problema sia relativo ad un piano, progettualmente possibile, di risparmio finanziario sia anche di una imperiosa e non sempre tollerabile presenza del sindaco che in questo modo esprime una forma di controllo accentuata e non prevista rispetto a quanto è stato programmato in campagna elettorale (la centralità dei partiti e del consiglio come strumenti di idee e di democrazia partecipata).

Orbene, se i partiti dell’Arcobaleno si sono lasciati sorprendere dal sindaco su questi nodi essenziali; se i singoli partiti di sinistra sono apparsi furbescamente attendisti e non chiaramente protesi alla caduta – al momento opportuno circa un anno fa – della giunta Di Fabio, allora vuol dire che parte cospicua di responsabilità dell’abbandono degli elettori di sinistra va anche ascritta ai singoli partiti che compongono l’asse cosiddetto radicale.

 

Inoltre, non possiamo negare che l’“ammucchiata” elettoralistica ha finito con lo scompaginare il quadro di riferimento a sinistra per quanti erano abituati a sostenere la sinistra nel suo complesso e Rifondazione nello specifico.

Che fare?

Diremmo che non è difficile dare una risposta: non bisogna perdere tempo a leccarsi le ferite ma umilmente riprendere ad immaginare qualcosa di condivisibile, che sia diverso da quanto è stato fatto finora; ma soprattutto quello che conta è che i cittadini abbiano la sensazione che i partiti, e tra questi Rifondazione comunista, siano fra la gente a condividere le angosce, le insicurezze, i timori di una età storica che penalizza i più emarginati, i poveri, le donne, gli anziani, i malati, i clandestini che sono uomini come noi e che meritano tutta la considerazione immaginabile per un uomo: con questa gente dobbiamo riprendere a camminare ed il sentiero in questo modo sarà naturalmente illuminato…

Noi possiamo immaginare che, anche attraverso il periodico la fonte,  si possano incontrare tutte le persone di buona volontà attorno ad alcuni temi essenziali quali la solidarietà verso i cosiddetti “clandestini”, persone dignitose come possiamo esserlo tutti ma che esprimono una sofferenza probabilmente maggiore della nostra; quali la condizione dello status di emarginazione di quanti nel lavoro trovano non uno sbocco sociale di realizzazione e di dignità ma di insicurezza anche psicologica; quali la pace con il rifiuto vero delle missioni militari italiane all’estero.

Su questi punti, ma su quanto ciascuno di noi può esprimere all’interno di questa concezione solidale della vita, perché non pensare di vederci attraverso un appuntamento, magari di sabato sera, che per molti è la serata della distrazione istituzionalizzata, nella villa antistante il comune del capoluogo regionale, con in mano fiaccole, per testimoniare la volontà di essere presenti fra la gente in modo diverso e di concepire i rapporti con gli altri forse anche sulla base della dottrina cristiana o  della solidarietà marxista o di un semplice concetto laico, ma eticamente profondo, dell’esistenza? ☺

bar.novelli@micso.net

 

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