Ricomincio da zero
5 Maggio 2017
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Ricomincio da zero

Mi risulta molto difficile scrivere, forse perché mi sono svuotata, o forse perché sono troppo piena e non riesco a canalizzare i miei pensieri.

Mi sento un’apolide, catapultata in una terra che non mi appartiene e a cui non appartengo, dalla quale cerco di discostarmi provando a rimanere un’estranea, perché non mi va di immischiarmi con la rigidità del pensiero e delle tradizioni, non sento di avere qualcosa in comune con la gente che spia i fatti di tutti da dietro le persiane, non mi va di far parte di quest’Italia saccente e mafiosa, di persone che cercano di mostrare a tutti i costi il proprio sapere nozionistico che non trova alcuna applicazione critica nella realtà, né tantomeno ho voglia di confondermi con l’ignoranza spietata, pericolosa.

Mi chiedo quale sia il modo per sopravvivere in mezzo a questo frastuono e un imperativo ritorna: sii l’esempio che vuoi vedere nel mondo. Per ora l’unica cosa che mi riesce meglio è difendermi, alla ricerca di una strategia per uscirne. Ricomincio da qui, ricomincio da zero. Sola di una solitudine che illumina e che allo stesso tempo squarcia il cuore, alla ricerca di un ruolo, di un motivo per vivere visto che tutti i miei progetti sembrano svaniti. Quando lo sconforto diventa insopportabile mi viene in mente Thoreau: l’unico modo per essere veramente liberi è essere pronti al cambiamento, capaci di lasciare tutti e tutto, capaci di lasciar andare i propri sogni e i propri progetti e scoprirne di nuovi. L’unico modo per far sì che il cambiamento non si trasformi in sofferenza è non resistergli. Allora scavo nel mio passato e nei miei ideali per lasciare un segno, per provare a essere un dono per questa terra che mi ha donato la vita.

Avevo una zia giovane e bella, libera e vera, aperta e accogliente… ci portava al mare, e quando andavamo al mare portavamo con noi le borse termiche piene di cose che ci preparava mia nonna, pizza, insalata di riso, frutta che raccoglieva il nonno… poi in spiaggia passavano i venditori ambulanti e mia zia offriva sempre loro da bere e da mangiare… e loro bevevano e mangiavano, perché avevano sete e avevano fame. Qualche anno fa a Santa Croce di domenica veniva un ragazzo che suonava la fisarmonica, chiedeva dei soldi che doveva consegnare a qualcuno, ma noi gli davamo da mangiare, perché aveva fame. E mia mamma comprava sempre un panino a dei ragazzi che chiedevano l’elemosina, perché avevano fame. A casa mia, dei miei nonni, delle mie zie, c’è sempre stato spazio per piatti in più, per gente di tutti i tipi. Le mie cellule sono impregnate di questi insegnamenti e mi sento male quando adesso, qui, esco dal negozio col carrello della spesa e fuori ci sono delle persone che attendono un’offerta, mi sento così ipocrita a tornare a casa e a cercare di vivere la giornata come se niente fosse, mi sento arrabbiata quando la gente si gira dall’altra parte, magari anche borbottando qualche insulto razzista. Così, spontaneamente, apro le buste ripetendo i gesti che ho visto fare tante volte. Di certo non basta questo, ma un semplice gesto può essere da stimolo per quanti passano indifferenti o con la bocca piena di insulti.

Mi allontano e mi volto indietro: colui che ti ringrazia chiamandoti sorella sta mangiando, perché aveva fame.☺

 

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