seguire la rotta   di Michele Tartaglia
2 Settembre 2012 Share

seguire la rotta di Michele Tartaglia

 

Leggendo in modo affrettato la storia del popolo di Israele nella bibbia, si ha l’impressione che, nonostante le molte infedeltà, la forma religiosa istituita sul Sinai sia stata quella dominante. In realtà la bibbia ci fa capire che l’applicazione della Torah non è avvenuta se non a causa dell’esilio. C’è un evento, tuttavia, che segna un vero e proprio spartiacque nella storia religiosa di Israele: il ritrovamento del libro della Legge ai tempi del re Giosia (fine VII secolo a.C.), poco prima della fine del regno di Giuda, raccontato in 2 Re 22-23, come l’evento che ha caratterizzato il regno di uno dei pochi re fedeli a Dio. Il fatto è questo: il re ordina di restaurare il tempio e, durante i lavori, viene ritrovato un rotolo della Legge di Mosè di cui non si sapeva l’esistenza e che riportava le norme originarie date sul Sinai e mai attuate. Il re capisce che tutte le vicende negative del popolo sono causate dalla non applicazione di quelle leggi. Il re Giosia, quindi, rinnova l’alleanza con Dio a nome del popolo e attua tutti i comandi scritti nella Legge, soprattutto quelli contro l’idolatria, vero peccato costante nella storia del popolo. Il racconto termina dicendo che ormai la riforma è tardiva e il popolo non scamperà all’esilio; tuttavia proprio questa riforma sarà la base per la rinascita dopo l’esilio, quando la Legge di Mosè sarà l’unico riferimento identitario costitutivo di Israele il quale potrà sopravvivere nei secoli anche senza terra ed è in questo clima religioso più etico e spirituale che si innesterà la fede di Gesù e dei suoi discepoli che porterà alla nascita del cristianesimo.

Il racconto ci dice due cose importanti anche per la nostra situazione ecclesiale attuale: innanzitutto ci ricorda che l’identità di una comunità non necessariamente significa fedeltà ai valori fondanti, come il popolo di Israele ha potuto per secoli ignorare la Legge di Mosè pur ritenendosi, come spesso hanno ironizzato i profeti, depositario della benedizione di Dio. Di conseguenza, e questa è l’altra cosa importante, la fedeltà autentica può richiedere un cambio radicale di rotta per essere conformi all’ideale originario.

Un evento del genere, nella storia del cristianesimo, è avvenuto recentemente con il Concilio Vaticano II, durante il quale la chiesa cattolica ha avuto modo di riscoprire quella Tradizione sepolta sotto le incrostazioni del pensiero teologico del II millennio e soprattutto ha respirato una libertà di spirito che mancava dai tempi della cosiddetta conversione dell’impero romano, ai tempi di Costantino. Come Giosia si rese conto che dall’inizio della monarchia era stato tradito l’ideale originario del popolo, basato sulla giustizia, così la chiesa si è resa conto che lungo la storia ha troppo ceduto ai compromessi e ha cercato troppo spesso di assicurarsi il potere anziché vivere quello spirito di servizio a cui l’aveva consegnata Gesù Cristo. È vero, c’è stata una storia di santità in questo lungo tempo, come c’è stata durante la storia della monarchia di Israele quando alcuni re santi e molti profeti hanno istintivamente vissuto lo spirito della Torah e denunciato i capi che lo tradivano, ma una comunità che tutta insieme e istituzionalmente si considerasse in ascolto obbediente della Parola di Dio, senza distinzione tra popolo e gerarchia e che sentisse l’urgenza di mettere sullo stesso piano la verità e la carità, l’insegnamento e la testimonianza, non si era mai data con questa consapevolezza, come è avvenuto nei documenti del Concilio. Possiamo quindi considerare proprio quest’ultimo Concilio, come il momento in cui la Chiesa rilegge un Vangelo ritrovato nel suo significato originario, quando un papa straordinario come Giovanni XXIII mette mano al restauro del Tempio di Dio, cioè la chiesa che stipula di nuovo l’alleanza con Gesù Cristo, impegnandosi a vivere fino in fondo quel comandamento nuovo che Gesù le ha affidato.

La riforma è avvenuta troppo tardi, come ci ricorda il racconto biblico, per potere evitare l’esilio (la secolarizzazione e la fine dell’egemonia cristiana nella società) ma questo esilio non è stato sterile per la rinascita di un nuovo modo di essere fedeli a Dio, anche senza la terra della gestione del potere e dell’economia. Anche il Concilio, purtroppo, ha rischiato di essere rimesso nella soffitta del tempio e oggi, a cinquanta anni dal suo inizio forse si ha la possibilità di rileggerlo per seguire la rotta che esso ci ha indicato oppure può esserci la tentazione di seppellirlo definitivamente sotto una colata di parole inutili di commento e di distinguo che servono a rimandare quella riforma reale della chiesa che il Concilio auspicava. Non dimentichiamo, infatti, che appena l’anno prossimo un altro anniversario, molto ambiguo ci attende: i 1700 anni dall’editto di Costantino: quale di questi eventi segnerà il prossimo futuro della chiesa?☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

 

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