alì l’afgano
31 Dicembre 2010 Share

alì l’afgano

 

Caro Alì,

sei arrivato in Molise, per caso, un giorno di novembre, preso dalla polizia, che ti ha trovato nascosto in un autotreno insieme ai tuoi amici e poi ricoverato per una peritonite urgente.

Da lì qualcuno ci ha chiamato e la comunità è diventata la tua casa per qualche giorno. All’ospedale sei stato accolto per la compilazione della scheda e l’indicazione della data di nascita che attribuiscono a tutti coloro che, come te, non conoscono la nostra lingua: l’1/1/1990 per far risultare la maggiore età e così potervi espellere.

Sei, in realtà,  per quella che chiamano, la legge italiana, un “clandestino” minorenne, con foglio di via, afgano. I tuoi occhi hanno visto cose che non immaginiamo e che potrebbero essere utili a far riflettere tanti italiani. Domandiamoci: perché investiamo risorse umane ed economiche così ingenti per andare a difendere il tuo popolo e poi quando vieni da noi ti cacciamo? Ha senso far morire i nostri soldati per un progetto di “aiuto umanitario” che poi si sbriciola rovinosamente dinanzi ad un ragazzo innamorato della vita come te? Nel reparto dell’ospedale ti sei fatto volere bene da tutti, ma in particolare da un medico che ti ha aiutato a raggiungere la Germania ove alcuni parenti ti aspettano. Non hai mai raggiunto la destinazione perché gli austriaci ti hanno rimandato indietro ed i poliziotti italiani, con la scusa della perquisizione, ti hanno rubato tutti i soldi che i volontari ti avevano donato per il viaggio. Dinanzi ad una cartina geografica, ad un fuoco, frugando nella mente alla ricerca di parole inglesi, siamo riusciti a capire perché sei arrivato da noi in fuga da quella polveriera afgana. Provieni proprio dalla roccaforte talebana, eri un pastore, ed i tuoi si sono rifugiati in Iran da dove sei partito per raggiungere la Turchia e poi, via mare, l’Italia, dove ti attendeva un autista al quale hai dato 1.500 euro, lo stesso che poi ti ha denunciato.

 Hai una voglia di vivere ed una genuina simpatia che fanno di te un allegro compagno, sempre in movimento, forse per non perdere l’abitudine a muoverti come facevi nelle desolate, sperdute ed impervie zone del tuo paese. Tu non chiedi nulla, ma hai raccontato dello spavento preso quando sei rimasto al Brennero senza soldi a causa di quei poliziotti italiani che hanno approfittato della loro posizione. Certo non c’è confronto tra quei militari che muoiono per il tuo popolo e quelli che ti hanno derubato, ma sono pur sempre italiani. Già… forse una parola vuota per un popolo che non si riconosce più nell’ospitalità e nell’accoglienza. Forse è amara questa constatazione, ma riesco facilmente a superarla guardando proprio come i ragazzi della comunità ti hanno accolto, scarti anch’essi di una umanità smarrita eppure fondamento di una nuova: quella delle “pietre scartate”.

È strano come il tuo popolo, Alì, viva soprattutto di droga e qui da noi lottiamo contro la droga. Cosa c’è tra noi e voi? Forse se ci parlassimo direttamente da poveri a poveri, da persona a persona, senza mediatori potenti ed interessati, forse riusciremo a comprenderci e impareremo che l’umanità è il frutto del guardarsi negli occhi, dello stringersi la mano, del mangiare insieme, del vivere e lasciar vivere. Senza queste regole le altre sono solo assurde espressioni di un potere che strumentalizza le nostre paure. Forza migranti! Possano le vostre battaglie risvegliare le nostre  coscienze e farci costruire una “cittadinanza mondiale” in cui ci sia posto anche per te, Alì. Ti consegnerò queste parole come auspicio per il tuo nuovo tentativo di andare in Germania. Un giorno qualcuno te le leggerà e ricorderai che in questa terra c’è un popolo veramente italiano: il popolo dell’ospitalità. ☺

adelellis@virgilio.it

 

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