astrea
13 Aprile 2010 Share

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Ha mai abitato la Giustizia sulla terra?

Ne Le opere e i giorni il poeta greco Esiodo narra di un’età dell’oro, governata da Saturno e abitata da uomini liberi da ogni preoccupazione e al riparo da ogni problema; essi non conoscevano la vecchiaia e si dedicavano unicamente a feste e banchetti; non erano costretti a lavorare, erano in pace e tutti indistintamente godevano dei frutti abbondantemente concessi dalla terra.

Gli dèi e gli uomini vivevano insieme, in piena armonia, e Astrea, dea della Giustizia, insegnava a questi ultimi i suoi precetti. Guerra e sete di potere non appartenevano a quel mondo che non aveva sino ad allora sperimentato né violenza, né rapina, né sopraffazione, e di conseguenza né giudici, né tribunali.

Secondo il racconto di Esiodo, l’età di Saturno non durò a lungo: la situazione mutò radicalmente quando Zeus, per divenire re dell’Olimpo, detronizzò il padre con la violenza. Non si trattò di un semplice avvicendamento al vertice, ma di una rottura dell’armonia precedente e dell’irrompere improvviso della malvagità nei rapporti umani. Rotto il sacro patto tra le divinità, si inaugurò la terribile età del ferro e, da lì, la caduta divenne inarrestabile anche tra gli uomini.

A nulla valse l’infaticabile opera di Astrea per ripristinare gli antichi valori. Gli animi, guastati dall’avidità e dalle lusinghe del potere, si facevano beffe della sua lezione, e progressivamente sprofondavano nel dolore e nella fatica.

È sempre il mito a narrarci che la dea, inorridita e disgustata, fuggì via dalla Terra e, avvolto lo splendido corpo in candidi veli, si rifugiò in cielo, trasformata in una costellazione dello Zodiaco.

Il concetto di giustizia riproposto dal racconto mitico arriva inalterato sino a noi: giustizia come punto di riferimento, principio fondante dello stare insieme. Mai figura mitologica fu rappresentata in modo così sfuggente, caratterizzata quasi esclusivamente dall’azione di abbandonare la terra dei mortali. Astrea, testimonia anche il poeta Ovidio, “lascia, ultima degli dèi, la terra madida di sangue”: la giustizia sembra non appartenere alla realtà del mondo, se ne racconta la fuga oppure se ne desidera ardentemente il ritorno.

In uno dei suoi componimenti pastorali, la IV Ecloga delle Bucoliche, un altro poeta dell’età di Augusto, Virgilio, si augura che la giovane Astrea, e con lei il regno di Saturno, tornino ad abitare la terra, e perciò costruisce una miracolosa utopia annunziando la nascita di un fanciullo divino, e con lui un’epoca d’oro che presto si sarebbe manifestata.

Precorreva forse, il poeta, l’avvento di un fanciullo che di lì a poco avrebbe, con la forza della sua innocenza, posto fine alla corruzione del mondo e instaurato nuovamente il regno della Giustizia?

Il desiderio di una umanità finalmente pacificata attraversava senza dubbio l’animo di Virgilio, interprete del bisogno di pace dei suoi contemporanei, stanchi delle guerre e degli odi fratricidi che avevano sconvolto la Roma del I secolo a. C.

E oggi? Quando si dice che non c’è più giustizia ci si riferisce all’assenza del principio fondamentale della convivenza, alla mancanza di un’aspirazione, di un fine cui dovrebbe tendere la persona per se stessa e per gli altri.

Ancora una volta Astrea fugge lontano dall’umanità. ☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

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