Ciao babbo
23 Marzo 2018
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Ciao babbo

Ciao Babbo, che non ci siamo abbracciati mai perché l’affetto era intenso quanto il pudore e poi il padre è padre. Sul tuo letto di dolore ti sei aggrappato a me per lenire la tua pena e io, stringendoti appena, mi sono sentita forte, non volevo lasciarti più.

Ora che non sei qui, avverto il peso leggero delle tue braccia, e nelle mani le tue mani energiche e cordiali, le mani di un uomo che affida e si affida.

Ciao Babbo dei mille silenzi il cui unico sotteso erano la discrezione e l’amore indiscusso per noi figli: ci hai accolto come siamo, senza pretese di altro, perché sapevi, sai, che si è tutti un certo talento e un certo carattere, una somma di desideri contrastanti e debolezze, poco di cui scandalizzarsi.

Ora che non sei qui, cerco nel vento la tua voce grave e rassicurante, ascolto l’eco dei tuoi “Tutto bene?” “Cari saluti!” “Buone cose!” “Vivissimi complimenti!”.

Ciao Babbo, che la tua debolezza era la tua forza e noi non sempre l’abbiamo capito: perché ingenuamente non calcolavi la convenienza, rispettavi e credevi e basta, e così, vivendo, non additandoci esempi lontani, ci hai insegnato il valore dell’umiltà e dell’onestà.

Ciao Babbo, per cui la cifra della vera cultura è la semplicità e perciò, compreso ed attento, tutti ascoltavi e parlavi a tutti, dal mezzadro al professore, e con la stessa cura scartabellavi il vocabolario e zappettavi o ti cimentavi in uno dei tuoi mitici innesti.

Ciao Babbo, maestro di mille bambini, ultimi e primi i tuoi adorati nipoti: mai che non ti abbiamo sentito tessere le lodi di ognuno, perché era studioso o ingegnoso o buono o lavoratore o sorridente o birbantello ma sveglio; per tutti segnavi una buona stella, indicavi una speranza, tu che, pur tanto serioso, insegnavi il gioco per istruire e per primo ti divertivi.

Ora che non sei qui manca un bambino in casa, e la gioia dei bambini è senza pari.

Ciao Babbo della radiolina accesa ovunque, degli scrittori russi e dell’America Latina, del campionato e del Milan, del Corriere e dei vecchi western, delle cene coi cugini, coi tuoi, coi nostri amici, perché non c’era differenza: mai avrei voluto scrivere a te di te, avrei preferito stizzirmi, come quando ti vedevo intento a fotocopiare pochi esemplari dei miei modesti articoli, per distribuirli orgoglioso ai confidenti più cari.

Ora che non sei qui ho perso il mio lettore più fedele e le parole mi paiono vuote e vane. Eppure so che tu mi guidi da lato e con la tua sobria presenza mi sussurri: “Mi raccomando!”. Di nuovo non posso, non voglio tradirti.

 

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