coltivare il giardino di dio   di Silvio Malic
2 Febbraio 2013 Share

coltivare il giardino di dio di Silvio Malic

 

“Noi siamo qui sulla terra non a custodire un museo ma a coltivare un giardino fiorente di vita e riservato ad avvenire glorioso”, annotava nel suo diario  il card. Angelo Roncalli nel giorno in cui la salma di Pio XII veniva portata in S. Pietro, esprimendo la consapevolezza personale di quello che avrebbe dovuto essere il senso della presenza cristiana nel mondo. Eletto papa, Giovanni XXIII, nel discorso di apertura del Concilio, ribadiva in modo chiaro e fermo questo proposito racchiuso nel termine ecclesiale di un concilio pastorale. Intenzioni che però non avevano trovato espressione efficace nei documenti preparati dalla curia romana. Convinta che, di fronte agli errori del mondo moderno, fosse necessario, da parte del magistero supremo di un concilio giocato all’interno della chiesa, giungere a chiari pronunciamenti dottrinali, e, in sua difesa, a condannare gli errori più diffusi. Emergeva chiaro questo stile negli schemi su il deposito della fede, l’ordine morale, matrimonio e famiglia, l’ordine sociale, l’ordine internazionale. In altri documenti si intravvedeva qualche spiraglio come ad esempio in quello sull’apostolato dei laici. Nel primo periodo del Concilio, furono i padri stessi a maturare una personale nuova consapevolezza degli obiettivi del concilio, ricusando tutti i documenti preparatori per generale insoddisfazione. Questo primo periodo ha il merito di aver messo in luce tutte le dinamiche del concilio: il conflitto interno tra una stragrande maggioranza e uno zoccolo duro legato alla visione curiale e le potenzialità che l’assise era chiamata ad esprimere. Di qui il riordino di tutti i documenti e la necessità di uno, totalmente nuovo, che delineasse proprio il tema generale del rapporto chiesa mondo: era lo schema di lavoro XVII (divenuto XIII nell’ottobre del 1964) che si aggiungeva ai sedici in cui venivano accorpati tutti i 70 schemi del primo periodo. Papa Giovanni muore nel 1963, dopo aver promosso questo riordino di metodo e contenuto; gli succede Paolo VI che terrà dritta la barra sulla linea del predecessore, aggiungendo la tenacia volontà di limare lo scontro tra le parti in modo che i documenti conciliari avessero il massimo consenso del concilio. Ma la presenza delle due anime promotrici di una duplice narrazione fondativa e divergente, sia per quanto riguarda la chiesa sia per alcuni temi specifici, attraverserà tutto il concilio, il dopo concilio, e presenzia i nostri giorni.

In breve, pur nell’incompiutezza del discorso, su tre elementi di fondo si gioca il confronto della narrazione fondativa del nuovo e futuro percorso: la consapevolezza di sé della chiesa, con l’emergere e nascondimento della chiesa dei poveri, la narrazione circa la libertà religiosa e le relazioni con l’ebraismo e le altre religioni, e infine quella riguardo alla modernità.

1. La narrazione di sé della chiesa

Si svoltava dalla narrazione che la faceva avvertire forte e sicura nelle sue dimensioni giuridiche e istituzionali, sostanzialmente ininfluenti nell’esperienza personale del rapporto con Dio, per percepirla come fatto di esperienza vissuta, incentrata su Cristo, nella storia degli uomini di cui essa è parte in dialogo solidale: la chiesa è per il mondo, amica e solidale dell’unica famiglia umana per la cui redenzione essa esiste offrendo in dono l’evangelo di Gesù Cristo. Un buon gruppo di padri avrebbe voluto che si definisse evangelicamente chiesa dei poveri; il tema, accolto con ovazione, resterà presente ma molto sfumato nei documenti finali.

2. La libertà religiosa

e le altre narrazioni religiose

 Su questi temi il Vaticano II segna un punto di non ritorno: lo sguardo nuovo della chiesa sugli altri in quanto tali e soprattutto in quanto religiosi, mettendo a fuoco ciò che li accomuna a noi o ciò che è suscettibile di diventare comune con noi. Due icone per dire in sintesi. Giovanni Paolo II in visita alla Sinagoga di Roma ad incontrare i fratelli maggiori: una tappa del dopo concilio proveniente dal gesto di papa Giovanni che cancellava “i perfidi giudei” nella preghiera del venerdì santo già dal 1959 e dalla tenacia dei padri e di Paolo VI  a voler cancellare l’accusa di “deicidio” per gli ebrei che fino alla fine un gruppo di padri voleva inserire nel testo conciliare. Una seconda icona: Assisi, 16 ottobre 1986, evento che non si lascia inquadrare nelle teologie delle religioni allora esistenti. Quel gesto non fu propriamente un colloquio fra le religioni ma un incontro religioso tra le religioni. Hanno pregato in unità di tempo, di luogo, e per lo stesso scopo, – la pace – nei canoni, riti e contenuti della tradizione religiosa di ognuno. Un gesto che rimane unico: significò la pace senza remore tra le religioni. Ognuno fu se stesso e il vescovo di Roma organizzò e garantì lo spazio perché ognuno fosse se stesso; non abdicazione alla propria verità ma testimonianza come essa fosse capace di accogliere l’altro. Proprio ciò che è più tipicamente specifico per ognuno, la preghiera, non per questo era fatta senza l’altro o accanto all’altro ma con l’altro: la differenza religiosa celebrata in comune come prassi di pace. Non si dimentichi però che solo il documento Nostra Aetate sulle religioni nella votazione collegiale del 1964 riportò 1651 sì, 99 contrari e 242 favorevoli con proposte di modifiche e alla fine nel 1965, a modifiche non avvenute, riportò 1763 sì, 10 voti nulli e 250 no, il più alto numero di voti contrari di tutte le approvazioni conciliari.

3. La narrazione della modernità

Si ritorna al punto di partenza: l’ideale della riforma come papa Giovanni l’intendeva, tema sempre presente nella chiesa di tutti i tempi (ecclesia semper reformanda), proiettata non ad un passato da custodire soltanto, ma verso il futuro da vivere; il deposito della fede non in maniera astratta ma come nutrimento vivo della fede. L’autentica dottrina è la Bibbia ascoltata nella vita della chiesa e nel tempo della storia nella quale Dio interpella i credenti. Presuppone ed esige una visione positiva della storia come luogo in cui cogliere l’appello di Dio, (i segni dei tempi), dissentendo dai profeti di sventura che ne annunziano eventi sempre infausti.

La nuova stagione della storia chiesa si è aperta certamente con i primi cento giorni del pontificato di Giovanni XXIII che, eletto il 28 ottobre 1958, annunciò il nuovo concilio ecumenico il 25 gennaio 1959. La nuova stagione è iniziata ma, se nell’anno le stagioni sono quattro, nella storia umana sono molto di più e non cicliche. Solo la storia concreta mostrerà in che misura la chiesa possegga le energie del suo periodo fondativo. Come allora l’accoglimento della narrazione di Gesù di Nazaret creò dentro e con la narrazione abramitica una differenza che possiamo intuire nell’animo di Paolo il quale migrò dalla variante rabbinica della narrazione ebraica tradizionale alla variante messianica di Gesù di Nazaret.

L’antica chiesa occidentale avrà la capacità di liberarsi delle contraddizioni congiunte alle vantate ricchezze accumulate nei secoli di un passato glorioso e, di fronte ai nuovi popoli – quelli entrati nella chiesa sono già popolo superiore alla chiesa matrice – come Pietro, abbandonando le proprie certezze, dir loro: “non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo dono: nel nome di Gesù Messia, il Nazareno, cammina”? ☺

 

 

 

 

 

 

 

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