I molisani e l’europa
30 Ottobre 2014 Share

I molisani e l’europa

Di una cosa siamo tutti certi: il nostro destino è saldamente ancorato a quello dell’Unione Europea. Lo sanno bene gli euroscettici che si dimenano per svincolarsi dai trattati europei e quelli che  pensano di abbandonare la moneta unica. A costoro bisognerebbe chiarire la specificità della nostra condizione di italiani. Siamo agganciati ad un paracadute che a volte non ci piace e che non sempre va nella direzione giusta, ma se rompiamo i nostri legami con quel paracadute siamo destinati a precipitare nel vuoto. Lo sanno altrettanto bene quegli europeisti convinti che si sforzano di capire come si possa governare meglio il paracadute europeo al fine di indirizzarlo verso una meta ambìta e sicura per l’intero vecchio continente.

Per economia di tempo e di spazio inquadriamo il nostro ragionamento negli ultimi due decenni e precisamente in quelli successivi al primo gennaio 1993, quando, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, è nata l’Unione Europea con una nuova fondamentale novità rispetto alla CEE: la dimensione politica. Su questa specificità dell’Unione è stato possibile attivare processi di rafforzamento della coesione socio-economica e di allargamento ai paesi dell’est e del sud Europa. Sarebbe inutilmente impietoso sottolineare come molte delle aspettative suscitate dal Trattato di Maastricht siano state disattese o apertamente tradite e come da quei fallimenti siano nati molti dei problemi che abbiamo di fronte come italiani e come europei. Ma su due punti bisogna parlare con chiarezza:

– non si vara una moneta unica come l’euro se non si assume l’obiettivo strategico di realizzare istituzioni europee di tipo federale che abbiano poteri decisivi anche in materia fiscale, di bilancio e di sviluppo socio-economico;

– non si disegnano i nuovi confini dell’Unione lasciando un buco nero nel bizzoso cuore balcanico dell’Europa, senza perdere la faccia e rischiare di innescare molteplici dinamiche degenerative.

A Maastricht si è provveduto a disegnare un’Unione europea concepita per stare da protagonista sulla scena del dopo-muro di Berlino e per svolgere un ruolo di prima grandezza nella nuova dimensione dell’economia globalizzata. L’Euro e l’ingresso nell’Unione di paesi che vanno dall’Estonia alla Bulgaria sono tra i frutti maturati su quell’albero di Maastricht che ora in molti vogliono, inopinatamente e irresponsabilmente, sradicare. E non sono solo gli euroscettici a muoversi in tal senso. Lo fanno i rigoristi dogmatici alla Merkel e lo fanno i populisti, anche nostrani, che vorrebbero aumentare la spesa pubblica per continuare a comprare, con il danaro pubblico,  il consenso elettorale.

Il rigorismo aprioristico criticato ultimamente anche dall’ex vice-cancelliere tedesco Joschka Fischer e la ritrosia a cancellare le inefficienze e gli sprechi della pubblica amministrazione coesistono e rischiano di mandare in tilt l’Europa. Contenere e qualificare la spesa pubblica sono imperativi inderogabili, investire su una nuova idea di sviluppo e sull’occupazione come fondamentale diritto di cittadinanza europea, anche attraverso la ridistribuzione del lavoro che c’è, sono la nuova frontiera. Si tratta ora di capire se esiste qualcuno, in Europa, in Italia e, perché no, in Molise, disposto a battersi per la nuova frontiera. Sulla nuova frontiera si collocano certamente coloro che chiedono all’Unione Europea di reperire risorse fresche e aggiuntive, attraverso una carbon tax europea e una tassa sulle transazioni finanziarie, per destinarle ad un nuovo tipo di sviluppo e alla crescita di un’occupazione qualificata. Sono sulla nuova frontiera anche coloro che comprendono fino in fondo il pericolo derivante dal tenere in standby buona parte dei Balcani rispetto all’integrazione europea.

C’è da capire, a questo punto, se i molisani sono pronti a condividere l’Iniziativa dei Cittadini Europei  denominata “New Deal 4 Europe”, sostenendola con un altissimo numero di firme e battendosi successivamente per evitare che le stesse restino lettera morta e se, nella loro qualità di dirimpettai di realtà come Bosnia-Erzegovina, Serbia/ Kossovo, Montenegro, FYROM e Albania, vogliono dire di no alle pratiche dilatorie che si stanno mettendo in atto per rallentare l’ingresso dell’intera area balcanica nell’Unione Europea.

È semplicemente sconvolgente che il nuovo presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, invece di dirci in che modo e in quali tempi pensa di cancellare il buco nero dei Balcani, si premuri di assicurarci che nessuna scelta conclusiva sarà fatta, in questo campo, nei prossimi 5 anni. In questo caso il Molise potrebbe non limitarsi ad unirsi agli altri, come sarebbe utile fare per “New Deal 4 Europe”, ma potrebbe assumere e guidare un’iniziativa volta a ricordare a tutti, a partire da Juncker, che sull’idea di un’Europa impegnata per la coesione socio economica e l’inclusione di tutti i paesi del vecchio continente non si torna indietro.

Il Molise “Regione d’Europa” non può essere soltanto una connotazione geopolitica, ma comporta il preciso dovere di svolgere un ruolo attivo e coraggioso nel processo di costruzione europea. ☺

 

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