i monaci in birmania
17 Aprile 2010 Share

i monaci in birmania

 

Si tratta di un avvenimento storico che ci riporta a momenti ciclici in cui il cambiamento non lo producono le bombe e le rivoluzioni violente ma la testimonianza pacifica ma attiva di individui e popoli. Un insegnamento che rilancia la speranza che un mondo diverso è sempre possibile.

Monaci buddisti che rompono il silenzio mondiale su oppressione, stragi, corruttele di ogni genere e azzeramento di ogni diritto umano che deriva dal diritto primo alla libertà. In un mondo in cui le decisioni “ultime” dovrebbero essere assunte da organismi internazionali che per missione sono chiamati a tutelare quei diritti e che di frequente sono essi stessi pilotati dai potenti della terra, accade qualcosa di inatteso, di imprevedibile.

Non succedeva da tempo che uomini che aderiscono ad una confessione religiosa fortemente segnata dal misticismo che si concilia con la solitudine e il godimento spirituale del “Nirvana”, scendessero tra la gente per le strade e, cosa non certo prevedibile in uno stato a regime militare, tra i più malvagi, contagiassero un popolo intero nella lotta per la libertà e la democrazia.

E con i monaci una testimone di alto spessore che paga con l’esilio, con la detenzione e la reclusione a domicilio il suo impegno per la liberazione del suo popolo e la rivendicazione senza riserve di una strategia pacifista: Aug San Suu Kyi. Donna per di più, in un contesto in cui è il maschio ad avere preponderanza nei ruoli ad ogni livello e quindi il potere di onnipotenza.

Scrive Gandhi nella sua autobiografia: “Considero la donna l’incarnazione della tolleranza… se sospetta del marito e  se ne rimane zitta, ma se è suo marito a sospettare di lei, allora è rovinata”.

Ebbene una donna birmana e monaci della stessa terra stravolgono una situazione che si trascinava da anni e di cui né  l’ONU, né quant’altri avevano il diritto dovere di intervenire per porre fine ad un regime disumano, si erano fatti carico. Ora è frastuono di condanne e di interventi diretti a convincere la dittatura di Rangoon che è ora di porre fine al regime. E la stampa, sempre silente anch’essa, è lì a inneggiare giorno dopo giorno.

Una lezione che ci richiama a responsabilità, a uscire dai nostri caldi focolari domestici e circoli di chiacchiere, quando intorno a noi c’è urgenza di testimoniare a difesa della libertà e della democrazia.

Attualità che ci riguarda.

Noi ci stiamo forse accomodando a quella che un autorevole studioso del nostro mondo (Z. Bauman) definisce “la società liquida”, all’interno della quale le persone si raccolgono in “sciami” e non in gruppi che tessono relazioni per leggere la realtà, per conoscersi, condividere, collaborare, assumersi responsabilità e lottare anche nella prospettiva concreta di rilanciare il senso di comunità e farsi difensori di diritti e di democrazia.

Forse, senza accorgercene, siamo divenuti noi stessi clienti di una cultura che ci ha resi schiavi dell’auditel che gioca i suoi interessi (che appartegono a pochi gruppi eletti) sull’individualismo e il consumismo, che ancora non infesta le terre di quello che con poco apprezzamento e qualche tono anche compassionevole definiamo “terzo mondo”.

In tema di emergenza democratica e di difesa dei diritti, dai monaci della Birmania viene rilanciato il messaggio di un dovere primario, spettante a noi occidentali di porre fine alla deriva rinunciataria all’impegno comunitario, che faccia di “sciami” gruppi solidali capaci di assumersi responsabilità e volontà di azione su questioni che riguardano la democrazia, al tramonto anche da noi, e temi di portata universale. Ma tale impegno va assunto a partire dal nostro territorio e non può più ridursi alle semplici piazzate clamorose o, ancor meno, al comodo rassegnarsi nel campo della quiete che ci siamo assicurata nel club, nella parrocchia, nell’associazione autoreferenziale. Per poi lamentarci che i partiti sono ridotti a lobby e schiamazzare con Grillo che pure un qualche allarme lo ha sollevato. Ma che, come i tanti “girotondi”, chissà se produrrà risultati in terra arida.

La credibilità non riguarda solo chi governa, ma anche e ancor più chi si lascia governare. Senza fornire chiare e anche scomode testimonianze di presenza attiva. ☺

le.leone@tiscali.it

 

 

 

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