il berlusconismo e grillo   di Famiano Crucianelli
30 Marzo 2013 Share

il berlusconismo e grillo di Famiano Crucianelli

 

Mi limito ad esprimere una grande soddisfazione per i nuovi due presidenti del Parlamento e mi riservo di tornare su questi delicati e decisivi passaggi politico-istitu-zionali, quando la nebbia sarà meno densa. Ho, comunque, il forte  dubbio che le due rondini appena in volo alla camera e al senato, avranno una grande difficoltà ad annunciare la Primavera.

Ringrazio Pier Franco Schiavone per aver scelto di scrivere polemicamente sui miei due ultimi articoli (vedi pag. 22, ndr), non solo perché, diversamente dalla moda corrente, considero importante la discussione, ma anche perché mi permette di riprendere questioni che considero fondamentali. In primo luogo Berlusconi, la destra e il nostro paese. Insisto sulla necessità di non rimuovere il rischio strategico rappresentato dal Berlusconismo, non perché ignori il malessere profondo della società italiana, o perché non mi fossi avveduto per tempo dell’arrivo ampiamente annunciato di Grillo, ma perché sono convinto che una destra plebea, populista e tendenzialmente sovversiva sia il problema dei problemi. Il risultato elettorale ne è una evidente testimonianza: per poche decine di migliaia di voti Berlusconi non ha ottenuto un risultato straordinario. E sono certo che se la situazione economica e sociale italiana dovesse continuare a marcire, alla fine non avremmo una vittoria né di Grillo, né del centro-sinistra, ma ancora una volta della destra d’ispirazione berlusconiana. Questo è possibile non per le virtù taumaturgiche del cavaliere, ma perché una parte importante della società italiana è malata e Berlusconi con grande efficacia moltiplica i nostri mali antichi e recenti.

Schiavone giustamente afferma che lui non è né ruffiano, né ladro e come lui tanti altri. Bisogna però chiedersi, perché sotto le bandiere dell’illegalità, della demagogia berlusconiana e dell’egoismo sociale si siano ritrovati milioni e milioni di italiani. L’analisi ci rinvia al nostro risorgimento incompiuto, al gattopardismo storico delle classi dirigenti, alla funzione ambigua e doppia della Chiesa, al fascismo che così grande consenso ebbe nel nostro paese e, infine, alla dispersione, in questi ultimi decenni per responsabilità fondamentale dei partiti, di un vero patrimonio democratico. Un patrimonio grande, ma fragile; non è un caso che la denuncia di Enrico Berlinguer nei primi anni ‘80 sulla degenerazione morale del sistema restò un grido solitario. La realtà è che l’Italia avrebbe bisogno di una vera rivoluzione nonviolenta capace di dare sostanza alle parole eguaglianza, democrazia, libertà e di innestare nella nostra cultura profonda un nuovo e responsabile sentimento civico.

Per queste ragioni guardo al “grillismo” con interesse e preoccupazione. Con interesse, perché Grillo ha trasformato in “massa critica” il malessere profondo del paese; con interesse, perché nei programmi ritrovo contenuti propri della sinistra più radicale: dalla partecipazione operaia al governo delle imprese alla difesa dei beni comuni, dal pacifismo integrale alla democrazia diretta, e tanto altro. Con preoccupazione, perché come in altri passaggi della nostra vita nazionale il rischio è quello di perdere una grande opportunità per il cambiamento. Riemerge un vizio antico dell’estremismo e del qualunquismo: considerare questi ultimi decenni della nostra storia come una lunga notte della Repubblica nella quale, come diceva Schelling, tutte le vacche sono nere. Si ripete: “I partiti sono stati e sono tutti uguali, i sindacati sono tutti da rottamare, i politici sono tutti politicanti, non vi è distinzione fra fascismo e antifascismo, fra destra e sinistra, fra berlusconiani e antiberlusconiani, fra il procuratore antimafia Pietro Grasso e l’inquisito per mafia senatore Schifani”. Inseguendo questo “mantra” si arriva rapidamente alla paralisi e alla morte della politica e inesorabilmente il destino passa nelle mani della destra e delle forze reazionarie. Oggi Grillo ha la possibilità di condizionare, e molto, programmi di governo, una nuova classe dirigente e una nuova etica pubblica. Si può rifiutare l’opportunità di una rivoluzione dolce del sistema, ma allora Grillo deve dire con chiarezza quale l’obiettivo finale e quali gli strumenti rivoluzionari. Non siamo in un’operetta teatrale, ripetere che l’obiettivo è il 100 per cento dei parlamentari è semplicemente un non senso e una foglia di fico.  

Concludo con una nota strettamente personale: Schiavone nel suo intervento mi mette nel mazzo di quanti in questi decenni a sinistra hanno comandato e non raramente hanno contribuito a inquinare la politica; anche lui non sfugge alla logica delle “vacche tutte nere in una notte buia”. Nella mia lunga vita politica e istituzionale, come possono testimoniare i tanti amici e compagni molisani, non ho mai partecipato al baratto fra posti di potere e convinzioni politiche, fra etica pubblica e interesse privato: la mia è stata per grande parte una posizione e una battaglia di minoranza. Non perché minoritario, ma perché sin dai movimenti della fine degli anni ‘60 mi sono parsi chiari i lati oscuri non solo del sistema, ma della stessa sinistra tradizionale. Comunque, anche per meglio conoscere le vicende non raramente oscurate e manipolate della sinistra consiglio la lettura dell’ultimo libro di e su Lucio Magri : Alla ricerca di un altro comunismo.☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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