Il coraggio di gridare
18 Aprile 2010 Share

Il coraggio di gridare

 

C’è un profeta nell’Antico Testamento che deve la sua fortuna a un solo oracolo: quello secondo cui il messia atteso nascerà a Betlemme. Stiamo parlando di Michea, profeta contemporaneo di Isaia, che però aveva in mente ben altre cose rispetto alla nascita di un messia lontano nel tempo, soprattutto riguardanti la corruzione contemporanea e generalizzata del regno di Giuda, che coinvolgeva diversi soggetti della società civile. E’ solo in questa prospettiva che, un po’ utopisticamente, sogna il re ideale, che deve nascere a Betlemme come a dire: ricominciamo daccapo, facciamo finta che non ci sia mai stata un’istituzione monarchica che in nome di Dio (oggi diremmo: in nome del popolo) ha commesso un gran numero di porcate!

Ecco un assaggio di quanto Michea pensa di questa gente: “Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell’alba lo compiono, perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità” (2,1-2). E ancora: “Ascoltate voi governanti della casa d’Israele: non spetta forse a voi conoscere la giustizia? Nemici del bene e amanti del male, voi strappate al popolo la pelle di dosso e la carne dalle ossa” (cfr. 3,1-2). In tutto questo ci si aspetterebbe che almeno dall’istanza critica della profezia nasca un movimento di denuncia; invece no, anche quelli che dovrebbero denunciare i delitti si sono venduti ai potenti di turno, cercando di ricavarne almeno una fetta di torta, anzi costituiscono delle lobby di pressione per favorire i propri interessi, soprattutto in termini di ritorno economico e di immagine: “Così dice il Signore contro i profeti che fanno traviare il mio popolo, che annunziano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano guerra. Quindi per voi sarà notte invece di visioni, tenebre per voi invece di responsi” (3,5-6).

E’ stato facile per noi cristiani che abbiamo letto Michea attraverso Matteo, ridurre il suo messaggio a un portentoso oracolo sulla nascita di Gesù. L’idea di Matteo, di quel Matteo che ha registrato il discorso della montagna di Gesù, magna charta del cristianesimo, è stata invece proprio quella di indicare che Gesù è l’esatto contrario di ogni tipo di potere che cerca di spacciarsi come voluto da Dio attraverso il tacito o compiacente avallo di quelli che si presentano come suoi rappresentanti in terra. La scomodità di Gesù è stata, infatti, quella di denunciare in nome di Dio la tracotanza del potere politico e religioso del suo tempo che non a caso ha fatto fronte comune per emarginare prima e liquidare poi quello scomodo profeta vagabondo. I primi discepoli di Gesù hanno seguito pienamente l’orma del loro Signore, come ci testimonia la difficoltà con cui i cristiani hanno vissuto nell’impero romano. Poi sono arrivati Costantino e i suoi successori i quali, da buoni politici, hanno cercato di individuare il punto debole della nuova religione, seguendo l’adagio secondo cui “ogni uomo ha un prezzo”; quindi, con qualche titolo e prebenda hanno convertito al nuovo credo imperiale i seguaci del Nazareno Crocifisso.

Ilario di Poitiers (IV secolo), un non allineato come Michea, in un’opera scritta contro l’imperatore Costantino, diceva: “Combattiamo contro un nemico insidioso, un nemico che lusinga… non ferisce la schiena ma carezza il ventre; non confisca i beni per darci vita, ma ci arricchisce per darci morte; non ci spinge verso la libertà imprigionandoci, ma verso la schiavitù onorandoci nel suo palazzo; non colpisce i fianchi, ma prende possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l’anima con l’oro”.

Come si vede, nulla di nuovo sotto il sole! Ma come ci sono i profittatori del sistema che opprime i deboli, ci sarà anche oggi un Michea, un Ilario, un Gesù che, rischiando in prima persona, avrà il coraggio di gridare l’ipocrisia di questi atei devoti e dei loro cappellani di corte? ☺

 

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