Il corridoio adriatico
6 Gennaio 2015 Share

Il corridoio adriatico

È trascorso più di un secolo da quando Gaetano Salvemini scriveva sull’importanza strategica della dorsale adriatica, ma la questione meridionale si gioca ancora su quel fronte. Se il meridionalista vedeva, nel 1898, il versante adriatico come un “servo del Settentrione, con cui le comunicazioni vennero stabilite [ad hoc] per mezzo della linea Bari- Ancona- Bologna”, ora possiamo ribaltare la questione asserendo che proprio il ritardo infrastrutturale di quella tratta rappresenta un’occasione mancata nella riduzione del divario Nord-Sud (europei più che italiani). Ancora una volta, al centro del contendere c’è il Molise, regione eternamente combattuta tra un’erronea percezione di sé come terra di confine, marginale, e i saltuari colpi di reni che le fanno alzare la voce e difendere i propri interessi, a torto o a ragione. L’estenuante battaglia mediatica condotta dalla Gazzetta del Mezzogiorno per sciogliere il nodo di quei famigerati trentacinque chilometri di binario unico tra Termoli e Lesina, ha visto il direttore De Tomaso farsi mediatore tra ministeri, regioni e ferrovie, in un raro esempio di società civile che stimola una classe politica dormiente e affatto consapevole della crucialità di certi interventi. Forse, come sottolinea la Gazzetta, gli investimenti a lungo termine non fanno gola a chi è sprovvisto di una visione strategica, non garantendo un ritorno immediato in termini elettorali. Ma perché è così importante il rafforzamento della dorsale adriatica?

Gli obiettivi comunitari di avvicinare i cittadini europei e di abbattere le barriere che ancora si frappongono al completo sviluppo del mercato unico, passano per quelle che, a partire dagli anni Settanta, sono state definite Reti Transeuropee (TEN). Per capirne appieno la portata, prendiamo in prestito le parole del celebre presidente della Commissione Jacques Delors, che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 spiegava: “Si possono paragonare le esigenze di funzionamento del mercato interno con quelle di un organismo, che deve disporre di quattro componenti essenziali: una rete di circolazione sanguigna (le infrastrutture di trasporto), un sistema nervoso (le infrastrutture di telecomunicazione), un sistema muscolare (le infrastrutture energetiche), un sistema cerebrale (le infrastrutture di formazione), il cui insieme viene indicato come reti trans-europee”. In particolare, per quanto riguarda la “rete di circolazione sanguigna” (TEN-T), gli Stati membri vennero chiamati ad individuare delle infrastrutture strategiche prioritarie. Nel caso dell’Italia, il corridoio adriatico cedette il posto, nella programmazione craxiana, all’hub aeroportuale di Malpensa, in una logica tutta campanilista della madunina, che segnò verosimilmente l’origine dei mali della compagnia di bandiera Alitalia. La beffa oltre l’inganno. Decenni dopo, siamo ancora qui a fare i conti col ritardo economico-infrastrutturale del Mezzogiorno, con un sistema dei trasporti che ancora predilige, per mancanza di alternative, i percorsi su gomma inquinanti, e  con l’impossibilità di giocarci le carte di centri nevralgici nelle comunicazioni con i Balcani e il Medio-Oriente previste dal Corridoio Paneuropeo VIII (che, partendo dalla Puglia, attraversa Albania, Macedonia e Bulgaria fino al Mar Nero). A trarne vantaggio, sono ancora una volta Nord Italia e Nord Europa, passaggi obbligati per i traffici con l’Est, cancellando dalle carte geografiche le regioni adriatiche. La situazione attuale si può riassumere in un timido tentativo di intensificare il dialogo tra Puglia, Molise e Rete Ferroviaria Italiana (società controllata da Ferrovie dello Stato, che si occupa della gestione infrastrutturale), cercando un compromesso tra le richieste dei comuni rivieraschi molisani e l’obiettivo comune di ammodernamento della tratta. Cuore della tenzone una variante del progetto originario, che propone sostanzialmente di attraversare Campomarino con una galleria, per ridurre il probabile effetto di isolamento del Lido, che conseguirebbe dal raddoppio della strada ferrata se si seguisse l’attuale tracciato. Per realizzare l’alta capacità, sarebbe infatti necessario installare delle barriere sonore altissime, mentre la moltiplicazione dei convogli che vi transiterebbero ingabbierebbe letteralmente la zona a vocazione turistica, nonostante gli sforzi attuali per migliorarne l’accessibilità con la rotonda in programma. Tutte istanze più che legittime, purché si superi lo stallo dell’aggravio di spesa per la variante d’opera proposta.

Stimolato dall’esempio della Gazzetta del Mezzogiorno, il nascente Istituto Adriatico-ionico ha allora iniziato a sondare il terreno della mediazione, lanciando ad alcuni rappresentanti istituzionali una proposta: perché non cercare ulteriori finanziamenti nel Piano Juncker, che si propone di stimolare la crescita con fondi straordinari? Una prima risposta entusiasta è venuta da un autorevole membro del Comitato delle Regioni, che si è impegnato ad invitare i rappresentanti di Abruzzo, Marche, Puglia e Molise attorno ad un tavolo, già nei primi mesi del 2015. Anche nelle pagine de la fonte si è più volte sottolineata la necessità di superare egoismi e protagonismi per mettersi al servizio di interessi comuni. Fine ultimo: irrorare la neonata macroregione Adriatico-Ionica di una nuova linfa vitale, che potrebbe ribaltare i destini di uno scampolo d’Europa che è voluto restare ai margini, nonostante l’enorme potenzialità inespressa di crocevia strategico.☺

 

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