Il futuro sei tu
16 Luglio 2019
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Il futuro sei tu

Mercoledì 12 giugno. Apertura degli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione. Licenza media, per intenderci. Prima prova scritta, italiano. Fra le tracce, la terza, ossia la comprensione di un testo letterario, da integrare con un commento, è una poesia di Emily Dickinson.

“Se io potrò impedire

a un cuore di spezzarsi

non avrò vissuto invano.

Se allevierò il dolore di una vita

o guarirò una pena

o aiuterò un pettirosso caduto

a rientrare nel nido

non avrò vissuto invano”.

Nota, notissima. Un inno dolcissimo, di una semplicità disarmante, alla vita vissuta come servizio, anzi all’inutilità di una vita spesa nell’indifferenza al dolore del prossimo. La vita, afferma la Dickinson, ha senso solo se la metteremo al servizio di qualcuno, di quel qualcuno che di volta in volta, nelle piccole cose di ogni giorno (come nei grandi drammi personali e collettivi), ci troveremo davanti. La vita ha senso solo se la spenderemo nell’Amore.

I ragazzi cominciano a scrivere, le testoline che fino a qualche minuto prima si agitavano smaniose di ricevere la terna e facevano le ultime congetture, si piegano sui fogli, cala il silenzio in aula, un silenzio che per alcuni è lo smarrimento iniziale da foglio bianco, per altri è il principio di una fase progettuale in cui mettersi in ascolto di se stessi per tirar fuori una struttura, delle idee, i legami tra esse.

I fogli cominciano a prendere vita, il bianco diminuisce e il nero aumenta. Mentre i ragazzi, curvi sui loro banchi, improvvisamente sospesi tra il bambino che hai accolto tre anni fa e il ragazzo ormai più alto di te che ti prepari a salutare, mentre dunque i ragazzi si concentrano sulla loro prova, la prima degli esami di terza media, la prima dei primi esami della loro vita (perché la licenza media resta pur sempre il primo impatto con l’idea di esame, con le sue ansie, fatiche, paure, con i suoi sacrifici, con l’esigenza di pianificare un lavoro più lungo ed impegnativo del solito, e di gestire le emozioni di una performance insolita), mentre insomma lo scritto di italiano parte nel silenzio e nel caldo di giugno dell’aula, penso.

Ripercorro, in lunghi quarti d’ora, le gelide mattine d’inverno in cui si alternavano laboratori di storia, qualche rimprovero, risate sonore, e pause-caffé. Ripenso al percorso fatto insieme, agli errori commessi, alle notti passate a preparare una lezione o a correggere temi, mentre le voci della casa erano finalmente “a nanna” e potevo lavorare. Vedo dinanzi a me, sfumato, colorato, il futuro dei “miei” ragazzi, le sue mille sfaccettature, le mille richieste che già gli saranno arrivate dai loro giovani cuori in tumulto, e mi figuro in flash sparsi le loro vite di domani: papà, mamme, medici, albergatori, infermieri, tecnici, parrucchieri… quel che ciascuno oggi sogna o quel che poi la vita sarà? Spero, tifo, perché ognuno segua una strada di libertà e realizzazione, nutrita dall’impegno, dal sacrificio, dalla coerenza di un ideale, di un valore a cui ispirarsi a pena di rimanere isolati, ma fedeli alla propria coscienza.

Cos’avrò seminato, io, in questo oceano di vite, di vita? Quanti errori avrò commesso nell’arco di un altro triennio? Cosa ricorderanno delle mie parole, delle lezioni, delle fotocopie, delle spiegazioni, degli approfondimenti…

Forse qualcosa, forse niente. Forse il problema non è “far ricordare” delle cose ai ragazzi, ma fare in modo che i ragazzi ricordino di essere se stessi, allenarli all’uso della propria testa, svegliarli perché non dormano sotto l’effetto del sonno delle coscienze tanto caro al potere.

Fra le ragazze che hanno scelto la traccia che chiede di commentare la Dickinson, c’è A. China sul suo foglio, la lunga e vaporosa chioma bruna raccolta per comodità in una coda, lo sguardo vivo, curioso, deciso, la voce chiara, limpida, che ha portato sempre un grosso contributo ad ogni tipo di dibattito in classe, e la mano che oggi scivola con la penna sulla carta sperando di fermare tutte le idee galoppanti prima che si perdano. A. ad un certo punto alza lo sguardo, mi cerca. Mi avvicino. Sta per rispondere, idealmente, al mio flusso silenzioso di domande, di riflessioni, e non lo sa. Non lo so neanche io. “Professorè, mi date un consiglio? Ho scritto così, mi è venuto dal cuore”. Allungo lo sguardo sul foglio, il suo dito mi porta il segno: “Se io potrò oppormi ad un governo che respinge gli ultimi e che chiude i porti, per chiedere che li riapra, allora non avrò vissuto invano”.

“Posso scriverlo, professorè, o rischio di creare un problema?” Silenzio. Gli sguardi si toccano in un lungo, indescrivibile istante. Non riesco a risponderle subito, deglutisco, annuisco, accenno una carezza, le dico che certamente può scrivere questo, perché è il suo pensiero. Proseguo tra i banchi, e mi commuovo.

Penso a Salvini. Alla tragedia di una ragazza che si chiede, oggi, nel 2019, in Italia, se il suo pensiero libero, riportato su un pezzo di carta, “possa creare un problema”. Penso a Salvini, sì. Alla sua testarda, teatrale, cinica, blasfema semina dell’odio e della paura nei cuori della gente. E penso ad un’altra semina, tenace, silenziosa, quella con cui la scuola può rispondere alla minaccia della libertà di pensiero, alla demolizione dell’idea di cooperazione e di solidarietà in atto. Penso alla semina del pensiero critico, alla semina del bene comune, della solidarietà, dell’educazione della coscienza, del valore della cultura come conoscenza di sé e dell’altro da sé. Chi più conosce, meno ha paura.

Penso che A. due minuti fa, ha preso gentilmente a schiaffi Salvini, e ha vinto. Penso che A., forse, tra qualche mese avrà dimenticato tutte le mie parole, le lezioni, le fotocopie, le spiegazioni, gli approfondimenti ma avrà maturato e conservato nel suo zaino un’idea vincente del mondo, della società, della vita. Penso che una scuola dalla quale esce una A., a Salvini non piace per niente, perché in alto non si ama un popolo che pensa, e più lo si tiene nell’ignoranza, meglio è.

A., grazie. Perché il nostro lavoro è ingrato, malpagato e pieno di nodi che nessun ministro dell’istruzione affronta mai. Ma partorisce germogli come te, che in silenzio crescono, bevono acqua nelle radici, discreti, e poi all’improvviso fioriscono imperiosi, e ti ricordano che, come insegnante, pur con i tuoi limiti grandi, non hai operato invano.

A., grazie. Perché una coscienza così limpida e sincera, una parola così chiara, semplice, così giovane, è una speranza per tutto il nostro paese e ci fa avere fiducia che, prima o poi, le persone che alzano la testa saranno di più di quelle che oggi la piegano per viltà, per convenienza, per paura, per convinzione.

A., grazie.

In bocca al lupo per il tuo futuro. Quel futuro sei tu.☺

 

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