Chi non ricorda i versi della famosa poesia del Carducci “…il verde melograno dai bei vermigli fior…”? È infatti un arbusto, il melograno, ricco di curiosità e simbologie. Lo ritroviamo anche in un detto popolare locale: “Or’je or’je murghenate / se mme vo’ bbene ’a ’nnammurate:/ šì e nno…šì e nno…”. Si tratta di versi recitati dai giovani, i quali, ansiosi di conoscere se il loro amore era corrisposto, staccavano una alla volta le infiorescenze, le spighette di un’erba infestante, il loglio (’a jógghie nel nostro dialetto). Se al distacco dell’ultima spighetta corrispondeva il sì, lui o lei era il più felice del mondo e l’ostentava a gran voce a tutti gli amici. Ci piace ricordare poi un antico rito turco, secondo il quale una sposa può prevedere il numero dei figli contando i semi che usciranno da una melagrana dopo che l’avrà lasciata cadere sul pavimento.
Nel XIV secolo questa pianta la si trovava con facilità nei giardini italiani tanto che Shakespeare fece dire alla famosa Giulietta: “… il giorno non è ancora vicino: ora l’usignolo e non l’allodola, quello che ti ha ferito col suo canto l’orecchio trepidante; esso canta tutte le notti su quel melograno…”. Anche le campagne romagnole, dove soleva passeggiare Giovanni Pascoli, ne erano piene: “… Siepi di melograno, fratte di tamerice, il palpito lontano d’una trebbiatrice…”.
Il melograno è una pianta di origine antichissima. Molto apprezzato fin da tempi remoti, è raffigurato in tombe egiziane di quattromila anni fa e nominato in papiri antichi, nell’Odissea e nell’Antico Testamento. Dalla Persia giunse in Europa e si naturalizzò nel bacino del Mediterraneo, dove tuttora cresce spontaneo. Era coltivato dai Fenici e i Romani, che, alludendo a questa sua origine cartaginese, lo chiamarono Malum unicum. Dall’VIII secolo gli Arabi lo portarono dal Marocco in Spagna dove ne diffusero la coltivazione. E la bella città di Granada prende il nome proprio dal frutto del melograno. Successivamente Linneo diede a questa pianta l’attuale nome scientifico Punica granatum. ’U murghenate è invece il termine dialettale con il quale vengono indicati, nel nostro paese, sia l’albero che il frutto del melograno.
Questa specie vegeta bene nelle aree a clima temperato-mite, ma può essere coltivato anche in zone relativamente fredde. La pianta, infatti, è in grado di resistere a temperature invernali di alcuni gradi sotto lo zero.
L’albero può raggiungere un’altezza massima di sei metri e può vivere anche fino a cento anni. I rami sono spinosi. I fiori possono essere singoli o riuniti in piccoli gruppi e sono caratterizzati da un calice a forma di campana, mentre i petali sono di un bellissimo colore scarlatto. Esistono due tipi di fiori: gli ermafroditi, quelli fertili, e gli staminiferi, senza pistillo, più piccoli che non danno origine al frutto ma vengono coltivati solo a scopo ornamentale. Il frutto è una bacca carnosa, denominata balausto. Da questo nome, di origine latina, e prima ancora greca, deriva il termine balaustro, che indica la colonnetta modellata a calice che forma la balaustrata.
I frutti, forieri di fortuna e abbondanza, vanno raccolti a piena maturità, quando il colore dell’epidermide è diventato giallo ocra e sono sparite le sfumature verdastri; solo in questo stadio gli arilli sono rossi e dolci. Per evitare però che le piogge provochino la spaccatura dei frutti, è consigliabile raccoglierli con un leggero anticipo; questi, infatti, completano la maturazione anche dopo essere stati staccati dalle piante. La melagrana manifesta una buona conservabilità se posta in un locale asciutto e ventilato dove la temperatura si aggiri tra i 5 e i 10° C.
Tutte le parti della pianta, in particolare la corteccia della radice, contengono principi astringenti e numerosi alcaloidi che hanno la proprietà di paralizzare per un certo tempo i vermi parassiti dell’intestino, compresa la tenia o verme solitario. Questa proprietà terapeutica della pianta era già nota duemila anni prima di Cristo. Catone lo citava come valido vermifugo e Ippocrate consigliava l’involucro del frutto contro la dissenteria.
La buccia coriacea del frutto è ricca di tannino e i decotti e gli infusi vengono usati contro la dissenteria. Dalla buccia, messa a macerare in acqua con limatura di ferro, si ottiene un discreto inchiostro nero, mentre dal fiore, messo a macerare con allume, si può ottenere l’inchiostro rosso. Sempre con la buccia si può tingere la lana e ottenere varie gradazioni di giallo, di verde muschio e di grigio, aggiungendo per queste due ultime colorazioni rispettivamente un po’ di acqua di solfato di rame e un po’ di solfato di ferro. I colori si fissano tutti molto bene proprio per il tannino contenuto nella buccia.
Con i fiori e la buccia si preparano infusi astringenti utili per gargarismi e sciacqui orali, poiché hanno il potere di rinforzare le gengive e prevenire la piorrea.
Dai chicchi delle melagrane si ottengono delle bevande come il vino di melagrana, molto apprezzato già dai Romani. In Spagna con il frutto si prepara un noto sciroppo, la granatina, una bibita genuina, sana e dissetante, di cui si riporta la ricetta, insieme a quella di altre bevande e di un secondo, piuttosto insolito, a base di carne.
Tacchinella alla melagrana
Pulire una tacchina giovane, salare e pepare, porre all’interno un pezzo di burro, un rametto di rosmarino, quattro bacche di ginepro e uno spicchietto d’aglio. Mettere a fuoco con olio e burro e dopo poco bagnare con un bicchiere di vino bianco. Mettere quindi in forno dove continuerà la cottura per due ore, bagnando di tanto in tanto con il succo di una o due melagrane. Intanto tritare finissime le frattaglie, rosolarle con olio, sale e pepe e il succo di un’altra melagrana. A cottura ultimata tagliare la tacchinella a pezzi e disporla sul piatto da portata, unire il fondo di cottura alla salsetta con le frattaglie, mescolare bene su fuoco lento, aggiungere il succo di mezzo limone e versare sui pezzi di tacchina cospargendo tutto con i chicchi di un’ultima melagrana, prima di servire.
Liquore di melagrana
Sgranare, in un vaso di vetro con chiusura, alcune melagrane fino a riempire di chicchi la terza parte. Coprire con la grappa e lasciar riposare due mesi. Servire il liquore con i chicchi.
Sciroppo di melagrana
Sbucciare i frutti e liberare gli arilli eliminando la pellicola bianca, che è amara. Porre gli arilli sopra un setaccio e spremerli con la mano; raccogliere il succo in un recipiente sottostante e lasciarlo fermentare per 24 ore perché si divida dalla parte gelatinosa. Colare bene con un telo pulito e mettere al fuoco con zucchero (mezzo chilogrammo di zucchero per ogni chilo di frutti). Bollire per venti minuti e conservare in bottiglie o in vasi di vetro lo sciroppo ottenuto.
Granatina
Spremere i chicchi di melagrana e a 400 g di succo limpido unire 700 g di zucchero; lasciar riposare agitando di tanto in tanto finché tutto lo zucchero sia sciolto. Si conserva in vasi con chiusura e si usa allungando con acqua fresca e ghiaccio tritato.
giannotti.gildo@gmail.com
Chi non ricorda i versi della famosa poesia del Carducci “…il verde melograno dai bei vermigli fior…”? È infatti un arbusto, il melograno, ricco di curiosità e simbologie. Lo ritroviamo anche in un detto popolare locale: “Or’je or’je murghenate / se mme vo’ bbene ’a ’nnammurate:/ šì e nno…šì e nno…”. Si tratta di versi recitati dai giovani, i quali, ansiosi di conoscere se il loro amore era corrisposto, staccavano una alla volta le infiorescenze, le spighette di un’erba infestante, il loglio (’a jógghie nel nostro dialetto). Se al distacco dell’ultima spighetta corrispondeva il sì, lui o lei era il più felice del mondo e l’ostentava a gran voce a tutti gli amici. Ci piace ricordare poi un antico rito turco, secondo il quale una sposa può prevedere il numero dei figli contando i semi che usciranno da una melagrana dopo che l’avrà lasciata cadere sul pavimento.
Nel XIV secolo questa pianta la si trovava con facilità nei giardini italiani tanto che Shakespeare fece dire alla famosa Giulietta: “… il giorno non è ancora vicino: ora l’usignolo e non l’allodola, quello che ti ha ferito col suo canto l’orecchio trepidante; esso canta tutte le notti su quel melograno…”. Anche le campagne romagnole, dove soleva passeggiare Giovanni Pascoli, ne erano piene: “… Siepi di melograno, fratte di tamerice, il palpito lontano d’una trebbiatrice…”.
Il melograno è una pianta di origine antichissima. Molto apprezzato fin da tempi remoti, è raffigurato in tombe egiziane di quattromila anni fa e nominato in papiri antichi, nell’Odissea e nell’Antico Testamento. Dalla Persia giunse in Europa e si naturalizzò nel bacino del Mediterraneo, dove tuttora cresce spontaneo. Era coltivato dai Fenici e i Romani, che, alludendo a questa sua origine cartaginese, lo chiamarono Malum unicum. Dall’VIII secolo gli Arabi lo portarono dal Marocco in Spagna dove ne diffusero la coltivazione. E la bella città di Granada prende il nome proprio dal frutto del melograno. Successivamente Linneo diede a questa pianta l’attuale nome scientifico Punica granatum. ’U murghenate è invece il termine dialettale con il quale vengono indicati, nel nostro paese, sia l’albero che il frutto del melograno.
Questa specie vegeta bene nelle aree a clima temperato-mite, ma può essere coltivato anche in zone relativamente fredde. La pianta, infatti, è in grado di resistere a temperature invernali di alcuni gradi sotto lo zero.
L’albero può raggiungere un’altezza massima di sei metri e può vivere anche fino a cento anni. I rami sono spinosi. I fiori possono essere singoli o riuniti in piccoli gruppi e sono caratterizzati da un calice a forma di campana, mentre i petali sono di un bellissimo colore scarlatto. Esistono due tipi di fiori: gli ermafroditi, quelli fertili, e gli staminiferi, senza pistillo, più piccoli che non danno origine al frutto ma vengono coltivati solo a scopo ornamentale. Il frutto è una bacca carnosa, denominata balausto. Da questo nome, di origine latina, e prima ancora greca, deriva il termine balaustro, che indica la colonnetta modellata a calice che forma la balaustrata.
I frutti, forieri di fortuna e abbondanza, vanno raccolti a piena maturità, quando il colore dell’epidermide è diventato giallo ocra e sono sparite le sfumature verdastri; solo in questo stadio gli arilli sono rossi e dolci. Per evitare però che le piogge provochino la spaccatura dei frutti, è consigliabile raccoglierli con un leggero anticipo; questi, infatti, completano la maturazione anche dopo essere stati staccati dalle piante. La melagrana manifesta una buona conservabilità se posta in un locale asciutto e ventilato dove la temperatura si aggiri tra i 5 e i 10° C.
Tutte le parti della pianta, in particolare la corteccia della radice, contengono principi astringenti e numerosi alcaloidi che hanno la proprietà di paralizzare per un certo tempo i vermi parassiti dell’intestino, compresa la tenia o verme solitario. Questa proprietà terapeutica della pianta era già nota duemila anni prima di Cristo. Catone lo citava come valido vermifugo e Ippocrate consigliava l’involucro del frutto contro la dissenteria.
La buccia coriacea del frutto è ricca di tannino e i decotti e gli infusi vengono usati contro la dissenteria. Dalla buccia, messa a macerare in acqua con limatura di ferro, si ottiene un discreto inchiostro nero, mentre dal fiore, messo a macerare con allume, si può ottenere l’inchiostro rosso. Sempre con la buccia si può tingere la lana e ottenere varie gradazioni di giallo, di verde muschio e di grigio, aggiungendo per queste due ultime colorazioni rispettivamente un po’ di acqua di solfato di rame e un po’ di solfato di ferro. I colori si fissano tutti molto bene proprio per il tannino contenuto nella buccia.
Con i fiori e la buccia si preparano infusi astringenti utili per gargarismi e sciacqui orali, poiché hanno il potere di rinforzare le gengive e prevenire la piorrea.
Dai chicchi delle melagrane si ottengono delle bevande come il vino di melagrana, molto apprezzato già dai Romani. In Spagna con il frutto si prepara un noto sciroppo, la granatina, una bibita genuina, sana e dissetante, di cui si riporta la ricetta, insieme a quella di altre bevande e di un secondo, piuttosto insolito, a base di carne.
Tacchinella alla melagrana
Pulire una tacchina giovane, salare e pepare, porre all’interno un pezzo di burro, un rametto di rosmarino, quattro bacche di ginepro e uno spicchietto d’aglio. Mettere a fuoco con olio e burro e dopo poco bagnare con un bicchiere di vino bianco. Mettere quindi in forno dove continuerà la cottura per due ore, bagnando di tanto in tanto con il succo di una o due melagrane. Intanto tritare finissime le frattaglie, rosolarle con olio, sale e pepe e il succo di un’altra melagrana. A cottura ultimata tagliare la tacchinella a pezzi e disporla sul piatto da portata, unire il fondo di cottura alla salsetta con le frattaglie, mescolare bene su fuoco lento, aggiungere il succo di mezzo limone e versare sui pezzi di tacchina cospargendo tutto con i chicchi di un’ultima melagrana, prima di servire.
Liquore di melagrana
Sgranare, in un vaso di vetro con chiusura, alcune melagrane fino a riempire di chicchi la terza parte. Coprire con la grappa e lasciar riposare due mesi. Servire il liquore con i chicchi.
Sciroppo di melagrana
Sbucciare i frutti e liberare gli arilli eliminando la pellicola bianca, che è amara. Porre gli arilli sopra un setaccio e spremerli con la mano; raccogliere il succo in un recipiente sottostante e lasciarlo fermentare per 24 ore perché si divida dalla parte gelatinosa. Colare bene con un telo pulito e mettere al fuoco con zucchero (mezzo chilogrammo di zucchero per ogni chilo di frutti). Bollire per venti minuti e conservare in bottiglie o in vasi di vetro lo sciroppo ottenuto.
Granatina
Spremere i chicchi di melagrana e a 400 g di succo limpido unire 700 g di zucchero; lasciar riposare agitando di tanto in tanto finché tutto lo zucchero sia sciolto. Si conserva in vasi con chiusura e si usa allungando con acqua fresca e ghiaccio tritato.
Chi non ricorda i versi della famosa poesia del Carducci “…il verde melograno dai bei vermigli fior…”? È infatti un arbusto, il melograno, ricco di curiosità e simbologie. Lo ritroviamo anche in un detto popolare locale: “Or’je or’je murghenate / se mme vo’ bbene ’a ’nnammurate:/ šì e nno…šì e nno…”. Si tratta di versi recitati dai giovani, i quali, ansiosi di conoscere se il loro amore era corrisposto, staccavano una alla volta le infiorescenze, le spighette di un’erba infestante, il loglio (’a jógghie nel nostro dialetto). Se al distacco dell’ultima spighetta corrispondeva il sì, lui o lei era il più felice del mondo e l’ostentava a gran voce a tutti gli amici. Ci piace ricordare poi un antico rito turco, secondo il quale una sposa può prevedere il numero dei figli contando i semi che usciranno da una melagrana dopo che l’avrà lasciata cadere sul pavimento.
Nel XIV secolo questa pianta la si trovava con facilità nei giardini italiani tanto che Shakespeare fece dire alla famosa Giulietta: “… il giorno non è ancora vicino: ora l’usignolo e non l’allodola, quello che ti ha ferito col suo canto l’orecchio trepidante; esso canta tutte le notti su quel melograno…”. Anche le campagne romagnole, dove soleva passeggiare Giovanni Pascoli, ne erano piene: “… Siepi di melograno, fratte di tamerice, il palpito lontano d’una trebbiatrice…”.
Il melograno è una pianta di origine antichissima. Molto apprezzato fin da tempi remoti, è raffigurato in tombe egiziane di quattromila anni fa e nominato in papiri antichi, nell’Odissea e nell’Antico Testamento. Dalla Persia giunse in Europa e si naturalizzò nel bacino del Mediterraneo, dove tuttora cresce spontaneo. Era coltivato dai Fenici e i Romani, che, alludendo a questa sua origine cartaginese, lo chiamarono Malum unicum. Dall’VIII secolo gli Arabi lo portarono dal Marocco in Spagna dove ne diffusero la coltivazione. E la bella città di Granada prende il nome proprio dal frutto del melograno. Successivamente Linneo diede a questa pianta l’attuale nome scientifico Punica granatum. ’U murghenate è invece il termine dialettale con il quale vengono indicati, nel nostro paese, sia l’albero che il frutto del melograno.
Questa specie vegeta bene nelle aree a clima temperato-mite, ma può essere coltivato anche in zone relativamente fredde. La pianta, infatti, è in grado di resistere a temperature invernali di alcuni gradi sotto lo zero.
L’albero può raggiungere un’altezza massima di sei metri e può vivere anche fino a cento anni. I rami sono spinosi. I fiori possono essere singoli o riuniti in piccoli gruppi e sono caratterizzati da un calice a forma di campana, mentre i petali sono di un bellissimo colore scarlatto. Esistono due tipi di fiori: gli ermafroditi, quelli fertili, e gli staminiferi, senza pistillo, più piccoli che non danno origine al frutto ma vengono coltivati solo a scopo ornamentale. Il frutto è una bacca carnosa, denominata balausto. Da questo nome, di origine latina, e prima ancora greca, deriva il termine balaustro, che indica la colonnetta modellata a calice che forma la balaustrata.
I frutti, forieri di fortuna e abbondanza, vanno raccolti a piena maturità, quando il colore dell’epidermide è diventato giallo ocra e sono sparite le sfumature verdastri; solo in questo stadio gli arilli sono rossi e dolci. Per evitare però che le piogge provochino la spaccatura dei frutti, è consigliabile raccoglierli con un leggero anticipo; questi, infatti, completano la maturazione anche dopo essere stati staccati dalle piante. La melagrana manifesta una buona conservabilità se posta in un locale asciutto e ventilato dove la temperatura si aggiri tra i 5 e i 10° C.
Tutte le parti della pianta, in particolare la corteccia della radice, contengono principi astringenti e numerosi alcaloidi che hanno la proprietà di paralizzare per un certo tempo i vermi parassiti dell’intestino, compresa la tenia o verme solitario. Questa proprietà terapeutica della pianta era già nota duemila anni prima di Cristo. Catone lo citava come valido vermifugo e Ippocrate consigliava l’involucro del frutto contro la dissenteria.
La buccia coriacea del frutto è ricca di tannino e i decotti e gli infusi vengono usati contro la dissenteria. Dalla buccia, messa a macerare in acqua con limatura di ferro, si ottiene un discreto inchiostro nero, mentre dal fiore, messo a macerare con allume, si può ottenere l’inchiostro rosso. Sempre con la buccia si può tingere la lana e ottenere varie gradazioni di giallo, di verde muschio e di grigio, aggiungendo per queste due ultime colorazioni rispettivamente un po’ di acqua di solfato di rame e un po’ di solfato di ferro. I colori si fissano tutti molto bene proprio per il tannino contenuto nella buccia.
Con i fiori e la buccia si preparano infusi astringenti utili per gargarismi e sciacqui orali, poiché hanno il potere di rinforzare le gengive e prevenire la piorrea.
Dai chicchi delle melagrane si ottengono delle bevande come il vino di melagrana, molto apprezzato già dai Romani. In Spagna con il frutto si prepara un noto sciroppo, la granatina, una bibita genuina, sana e dissetante, di cui si riporta la ricetta, insieme a quella di altre bevande e di un secondo, piuttosto insolito, a base di carne.
Tacchinella alla melagrana
Pulire una tacchina giovane, salare e pepare, porre all’interno un pezzo di burro, un rametto di rosmarino, quattro bacche di ginepro e uno spicchietto d’aglio. Mettere a fuoco con olio e burro e dopo poco bagnare con un bicchiere di vino bianco. Mettere quindi in forno dove continuerà la cottura per due ore, bagnando di tanto in tanto con il succo di una o due melagrane. Intanto tritare finissime le frattaglie, rosolarle con olio, sale e pepe e il succo di un’altra melagrana. A cottura ultimata tagliare la tacchinella a pezzi e disporla sul piatto da portata, unire il fondo di cottura alla salsetta con le frattaglie, mescolare bene su fuoco lento, aggiungere il succo di mezzo limone e versare sui pezzi di tacchina cospargendo tutto con i chicchi di un’ultima melagrana, prima di servire.
Liquore di melagrana
Sgranare, in un vaso di vetro con chiusura, alcune melagrane fino a riempire di chicchi la terza parte. Coprire con la grappa e lasciar riposare due mesi. Servire il liquore con i chicchi.
Sciroppo di melagrana
Sbucciare i frutti e liberare gli arilli eliminando la pellicola bianca, che è amara. Porre gli arilli sopra un setaccio e spremerli con la mano; raccogliere il succo in un recipiente sottostante e lasciarlo fermentare per 24 ore perché si divida dalla parte gelatinosa. Colare bene con un telo pulito e mettere al fuoco con zucchero (mezzo chilogrammo di zucchero per ogni chilo di frutti). Bollire per venti minuti e conservare in bottiglie o in vasi di vetro lo sciroppo ottenuto.
Granatina
Spremere i chicchi di melagrana e a 400 g di succo limpido unire 700 g di zucchero; lasciar riposare agitando di tanto in tanto finché tutto lo zucchero sia sciolto. Si conserva in vasi con chiusura e si usa allungando con acqua fresca e ghiaccio tritato.
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