il regno della finanza  di Michele Tartaglia
31 Gennaio 2012 Share

il regno della finanza di Michele Tartaglia

 

Quando si riflette sul mondo contemporaneo, emerge chiara una consapevolezza: la nostra epoca si distingue nettamente da tutte le epoche storiche precedenti per una particolarità: la debolezza o addirittura l’impotenza delle istituzioni politiche in ordine alle decisioni che contano per gli esseri umani. Apparentemente tutto continua come prima, anzi, alcune istituzioni governative vantano ormai diversi secoli di vita, ma ci rendiamo conto in modo evidente con la crisi economica attuale che, per quanto possano essere prese decisioni e promulgate leggi di appianamento delle spese, non si riescono a tenere sotto controllo alcuni parametri che comportano di conseguenza un aumento esponenziale del debito pubblico degli stati e di interi continenti. È come se fosse in atto una partita di poker in cui si rilancia sempre di più la posta in gioco. I governi nazionali e le istituzioni sopranazionali si affannano a rincorrere gli speculatori, a tentare di arginare i danni delle loro mosse ma, in realtà, c’è qualcosa che sfugge e che è stato causato dallo stesso sistema economico-politico messo su con convinzione negli ultimi 250 anni, a partire dalle teorie economiche di Adam Smith fino al pensiero unico del capitalismo contemporaneo per il quale le merci vengono prima delle persone e addirittura la finanza ha sostituito l’economia reale. Oggi si è innescato un meccanismo perverso (paragonabile ai danni che stanno sfuggendo all’autore- golazione del sistema ambiente) in base al quale non si ha più un centro decisionale dei movimenti finanziari, i quali sono nelle mani di speculatori senza scrupoli ma anche senza cervello che proiettano nei grandi movimenti finanziari le patologie dei piccoli scommettitori e dei giocatori delle macchinette.

Alle gravi conseguenze di questa situazione ai limiti del controllo si può applicare, in una sorta di aggiornamento interpretativo della bibbia, quanto diceva Samuele a proposito dell’istituzione monarchica, in risposta al popolo di Israele che chiedeva a Dio un re: “Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine; li costringerà ad arare i suoi campi, a mietere le sue messi, ad apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Si farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li regalerà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi ministri. Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà”. (1 Sam 8,11-18). Parafrasando il profeta, possiamo leggervi tutte le conseguenze, amplificate per l’intero globo, dell’aver affidato il governo dell’umanità al libero mercato, per il quale tutto deve essere monetizzabile, dall’acqua ai candidati alle elezioni a presidente degli Stati Uniti e persino chi in teoria non è oggetto di elezione, come i monarchi, resistono nel tempo solo nella misura in cui possono diventare un’attra- zione turistica, come i panda e le orche degli zoo marini. Alle decime versate ai signorotti, ai diritti di ruberia garantiti ai re si sostituiscono gli obblighi dei mutui, la delocalizzazione minacciata dalle imprese verso gli operai che rivendicano il diritto a un lavoro dignitoso, la retorica della difesa della pace che maschera la disperata ricerca di lavoro di meridionali italiani, ispanici e neri americani che partono per terre esotiche a scaricare piombo intelligente mischiato a uranio “impove- rito”, ironicamente assimilato alle loro condizioni sociali di partenza. I semi e le colture diventano oggetto di brevetti gestiti dalle multinazionali, gli esseri umani sono ridotti non direttamente in schiavitù grazie all’ipocrisia delle leggi, ma costretti alla fuga dalla fame e quindi resi merci da scambiare tra diverse industrie della morte, fino ad approdare sui nostri lidi dove, come ultima beffa prima di ricominciare il giro delle fughe, in una sorta di gioco dell’oca planetario, vengono affidati ai centri di permanenza temporanei gestiti dalle nuove imprese fatte di ex volontari, vittime a loro volta di mancanza di lavoro vero e dignitoso.

Di fronte a tutto questo sistema ormai incontrollato, l’affermazione finale di Samuele sta a ricordarci che non possiamo semplicemente considerarci vittime inconsapevoli di un sistema che con il nostro silenzio e l’illusione di una vita comoda fatta di privilegi e poche domande sull’origine delle cose che rendono possibile il nostro stile di vita, abbiamo contribuito a far crescere e imporsi, prima che sui nostri beni, sulla nostra stessa anima.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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