oltre le apparenze
27 Aprile 2010 Share

oltre le apparenze

 

Quando sentiamo alcuni racconti di cronaca o vediamo alcuni comportamenti, facciamo la scelta, inconsapevole il più delle volte, più corrispondente ai nostri pregiudizi, per cui automaticamente individuiamo dov’è il bene e dove il male. Nella bibbia c’è un episodio particolare in cui siamo messi di fronte al capovolgimento delle normali categorie di bene e male, verità e menzogna, perché i personaggi che incarnano i due poli opposti, si rivelano essere il contrario di quanto dovrebbero rappresentare. È un racconto minore, incastonato nelle storie dei patriarchi riportate nella Genesi: la vicenda di una donna, Tamar, nuora di Giuda, il capostipite della tribù da cui sorgerà la dinastia davidica e da cui discenderà Gesù Cristo.

La storia, narrata in Gn 38, è la seguente: Giuda, uno dei figli di Giacobbe, sceglie Tamar come moglie del suo primogenito, ma questi muore. In base alla legge del levirato, per cui se un uomo muore senza discendenza è il fratello che dovrà garantirla sposando la moglie del defunto, Tamar viene ceduta al secondo, Onan, che però non vuole dare la discendenza al fratello disperdendo il suo seme e guadagnandosi così una triste fama nella cultura giudeo-cristiana. Anche lui muore punito da Dio e Giuda, preoccupato per l’ultimo figlio, ancora piccolo, rimanda a casa Tamar promettendole falsamente di richiamarla quando il figlio fosse divenuto adulto. Passato del tempo, e visto che Giuda non mantiene la promessa, Tamar, che ha tenuto fede al suo ruolo di vedova, adotta uno stratagemma e si finge prostituta per adescare Giuda, che è rimasto vedovo a sua volta. Giuda ha un rapporto con lei senza riconoscerla perché ha il volto coperto e alla fine le lascia, dietro sua richiesta, alcuni effetti personali. Tamar resta incinta e quando lo riferiscono a Giuda, quest’ultimo ordina che la donna sia messa a morte. È a quel punto che Tamar, attraverso la prova degli oggetti che lui le aveva dato, rivela che la causa della gravidanza è proprio lui. Da quel furto d’amore nascono due gemelli e proprio uno di essi, Peres, sarà antenato di Davide e di Gesù. Giuda riconosce che Tamar, apparentemente in difetto, in realtà è stata più giusta di lui, in quanto ha adempiuto al compito di dare la discendenza al primo marito morto attraverso un suo parente prossimo.

La vicenda di Giuda e di Tamar permette di interrogarci su cosa sia il vero e cosa sia il falso, il bene e il male. Se partissimo dalla fine del racconto, i ruoli sembrerebbero ben definiti: Tamar, donna e vedova legata dall’obbligo di dare una discendenza al marito defunto, è in difetto perché incinta al di fuori di un legame riconosciuto. Giuda invece appare giusto, in quanto, per difendere l’onore dei figli defunti, applica la legge nei confronti di Tamar, ergendosi a giudice di una situazione che lui stesso ha causato, ingannando e rovinando così una donna che, non avendo figli, per quella cultura era considerata maledetta. Giuda ha pensato bene, all’inizio del racconto, di sbarazzarsi di quell’incomodo, considerandola causa della morte dei figli, mentre, come ci dice il racconto, essi sono morti per la loro malvagità (sempre restando all’interno di quella cultura). Da vittima Tamar è diventata accusata ed è stata liquidata con una falsa promessa, mentre Giuda ha continuato la sua vita di uomo d’onore, che poteva poi permettersi di emettere una sentenza di morte sulla vittima dei suoi calcoli.

Il racconto manifesta una grande profondità, in quanto gioca su due registri e sviluppa due dimensioni: una, apparente, di una donna che, sebbene sia legata ancora da un vincolo, si prostituisce e quindi merita la morte; e di un uomo che non è perfetto (va con una prostituta) ma che quando si tratta di applicare la legge non fa eccezioni. Vi è poi una dimensione più profonda, che presenta un duplice inganno: il primo, messo in atto da Giuda e di cui egli stesso rimane vittima in quanto emette una condanna non meritata, e l’altro, messo in atto da Tamar, finalizzato al compimento del bene, cioè dare una discendenza al proprio marito defunto e affermare la propria dignità di donna e madre.

 Il racconto capovolge i giudizi di valore, non in modo arbitrario, bensì tenendo fede ad un principio di fondo, cioè che una cosa non è buona perché appare buona ma perché è fatta per realizzare il bene di tutti coloro che sono coinvolti; perché non ci può essere un bene che possa implicare un effetto collaterale negativo. Se Giuda avesse capito com’erano davvero i suoi figli, non avrebbe così sbrigativamente considerato Tamar la causa della loro morte e avrebbe avuto il tempo per far crescere meglio il figlio che gli restava perché fosse un uomo migliore.

Tuttavia il racconto ci dice che c’è sempre la possibilità di aprire gli occhi, di rimettere in discussione le proprie convinzioni ed è per questo che Giuda si riscatta e diventa capostipite della tribù più importante: dal suo errore riconosciuto nasce una nuova storia, che riscatta il male commesso.

È quanto potremmo imparare anche noi oggi, a cominciare dalla chiesa, che in nome di un preteso buon nome da difendere ha spesso chiuso gli occhi su coloro che hanno sofferto, anche a causa dei silenzi ipocriti e assordanti della chiesa stessa. Riconoscere le vittime e ascoltare il loro grido è l’unica strada possibile per essere credibili e dare coraggio a un mondo che ha ancora disperatamente bisogno di Gesù Cristo.

Chissà che una autentica e coraggiosa conversione della chiesa non possa essere quel segno profetico necessario per la conversione anche di quelle istituzioni umane che pretendono di difendere valori come la libertà, la democrazia e la giustizia ma continuano ad opprimere e ingannare i deboli!☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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