“Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora… rientrerà nella proprietà dei suoi padri” (Lv 25,39-41).
Il libro del Levitico appare un testo arido perché povero di racconti e infarcito di codici rituali e giuridici relativi ai sacrifici, all’investitura dei sacerdoti e alle regole sul puro e l’impuro. Eppure esso è all’origine di comportamenti etici fondamentali e contiene passi chiave del patrimonio biblico: il tema dello Yom kippur (giorno dell’ espiazione), il comandamento dell’ amore al prossimo, la santità come modus vivendi e l’anno giubilare (da yobel, corno dell’ariete il cui suono sanciva l’inaugurazione di tale anno).
La santità qui non viene presentata come una qualità che il popolo o i sacerdoti devono acquisire, ma come una qualità creata da Dio nell’atto di guidare il suo popolo fuori dall’Egitto, per separarlo e liberarlo. È in questa cornice che si colloca l’anno giubilare. Inserito tra le prescrizioni del Codice di santità (cc. 17-25), esso è il cinquantesimo anno dopo un ciclo di sette volte sette anni. La sua istituzione rende evidente il fatto che la terra di Israele appartiene a Dio e impedisce che terreni e capitali siano appannaggio di pochi, causando l’impoverimento del popolo. Il giubileo si presenta come il coronamento di un processo volto a ristabilire l’ordine sociale (disgregato!) attraverso il ritorno all’origine. È esperienza di liberazione che riguarda: la terra, che non poteva essere lavorata e i cui frutti non potevano essere raccolti; i debitori e gli schiavi israeliti che potevano far ritorno presso la propria famiglia; i campi e le case che tornavano in possesso del proprietario originario. Il giubileo assicura in Israele una società fondata sulla famiglia e sui beni familiari ma è anche ciò che sogna per l’uomo il Dio generoso la cui santità è amore che tutto condivide e nulla trattiene.
Con l’occupazione della Palestina da parte di Tolomei, Seleucidi e Romani, il giubileo diventerà espressione della speranza escatologica che Gesù farà propria inaugurando un tempo favorevole, tempo del ritorno nella terra e di ricostruzione. Nel vangelo di Luca infatti egli si presenta come il giubileo incarnato che evangelizza i poveri e si consacra a restituire all’uomo la sua libertà. Perciò la Chiesa, trasferendo questo tempo su un piano spirituale, ne fa per i cristiani esperienza di liberazione dai debiti del peccato.
Se la terra è di Dio essa appartiene a tutti e Dio interviene continuamente con la sua parola a ricordare che tra gli uomini non deve regnare la sopraffazione ma la condivisione, che la povertà è uno dei fallimenti più grandi dell’umanità e che liberare è l’ imperativo impellente di chiunque ha ancora il coraggio di dirsi “umano”.
“Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora… rientrerà nella proprietà dei suoi padri” (Lv 25,39-41).
Il libro del Levitico appare un testo arido perché povero di racconti e infarcito di codici rituali e giuridici relativi ai sacrifici, all’investitura dei sacerdoti e alle regole sul puro e l’impuro. Eppure esso è all’origine di comportamenti etici fondamentali e contiene passi chiave del patrimonio biblico: il tema dello Yom kippur (giorno dell’ espiazione), il comandamento dell’ amore al prossimo, la santità come modus vivendi e l’anno giubilare (da yobel, corno dell’ariete il cui suono sanciva l’inaugurazione di tale anno).
La santità qui non viene presentata come una qualità che il popolo o i sacerdoti devono acquisire, ma come una qualità creata da Dio nell’atto di guidare il suo popolo fuori dall’Egitto, per separarlo e liberarlo. È in questa cornice che si colloca l’anno giubilare. Inserito tra le prescrizioni del Codice di santità (cc. 17-25), esso è il cinquantesimo anno dopo un ciclo di sette volte sette anni. La sua istituzione rende evidente il fatto che la terra di Israele appartiene a Dio e impedisce che terreni e capitali siano appannaggio di pochi, causando l’impoverimento del popolo. Il giubileo si presenta come il coronamento di un processo volto a ristabilire l’ordine sociale (disgregato!) attraverso il ritorno all’origine. È esperienza di liberazione che riguarda: la terra, che non poteva essere lavorata e i cui frutti non potevano essere raccolti; i debitori e gli schiavi israeliti che potevano far ritorno presso la propria famiglia; i campi e le case che tornavano in possesso del proprietario originario. Il giubileo assicura in Israele una società fondata sulla famiglia e sui beni familiari ma è anche ciò che sogna per l’uomo il Dio generoso la cui santità è amore che tutto condivide e nulla trattiene.
Con l’occupazione della Palestina da parte di Tolomei, Seleucidi e Romani, il giubileo diventerà espressione della speranza escatologica che Gesù farà propria inaugurando un tempo favorevole, tempo del ritorno nella terra e di ricostruzione. Nel vangelo di Luca infatti egli si presenta come il giubileo incarnato che evangelizza i poveri e si consacra a restituire all’uomo la sua libertà. Perciò la Chiesa, trasferendo questo tempo su un piano spirituale, ne fa per i cristiani esperienza di liberazione dai debiti del peccato.
Se la terra è di Dio essa appartiene a tutti e Dio interviene continuamente con la sua parola a ricordare che tra gli uomini non deve regnare la sopraffazione ma la condivisione, che la povertà è uno dei fallimenti più grandi dell’umanità e che liberare è l’ imperativo impellente di chiunque ha ancora il coraggio di dirsi “umano”.
Con i libri della Genesi e dell’Esodo, già presentati i mesi scorsi, abbiamo cominciato a dare uno sguardo veloce, ma non superficiale, ai 73 libri che compongono la bibbia. Non la si può ignorare perché, oltre ad essere un meraviglioso libro di fede per i credenti, in essa affondano anche le radici della nostra cultura.
“Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora… rientrerà nella proprietà dei suoi padri” (Lv 25,39-41).
Il libro del Levitico appare un testo arido perché povero di racconti e infarcito di codici rituali e giuridici relativi ai sacrifici, all’investitura dei sacerdoti e alle regole sul puro e l’impuro. Eppure esso è all’origine di comportamenti etici fondamentali e contiene passi chiave del patrimonio biblico: il tema dello Yom kippur (giorno dell’ espiazione), il comandamento dell’ amore al prossimo, la santità come modus vivendi e l’anno giubilare (da yobel, corno dell’ariete il cui suono sanciva l’inaugurazione di tale anno).
La santità qui non viene presentata come una qualità che il popolo o i sacerdoti devono acquisire, ma come una qualità creata da Dio nell’atto di guidare il suo popolo fuori dall’Egitto, per separarlo e liberarlo. È in questa cornice che si colloca l’anno giubilare. Inserito tra le prescrizioni del Codice di santità (cc. 17-25), esso è il cinquantesimo anno dopo un ciclo di sette volte sette anni. La sua istituzione rende evidente il fatto che la terra di Israele appartiene a Dio e impedisce che terreni e capitali siano appannaggio di pochi, causando l’impoverimento del popolo. Il giubileo si presenta come il coronamento di un processo volto a ristabilire l’ordine sociale (disgregato!) attraverso il ritorno all’origine. È esperienza di liberazione che riguarda: la terra, che non poteva essere lavorata e i cui frutti non potevano essere raccolti; i debitori e gli schiavi israeliti che potevano far ritorno presso la propria famiglia; i campi e le case che tornavano in possesso del proprietario originario. Il giubileo assicura in Israele una società fondata sulla famiglia e sui beni familiari ma è anche ciò che sogna per l’uomo il Dio generoso la cui santità è amore che tutto condivide e nulla trattiene.
Con l’occupazione della Palestina da parte di Tolomei, Seleucidi e Romani, il giubileo diventerà espressione della speranza escatologica che Gesù farà propria inaugurando un tempo favorevole, tempo del ritorno nella terra e di ricostruzione. Nel vangelo di Luca infatti egli si presenta come il giubileo incarnato che evangelizza i poveri e si consacra a restituire all’uomo la sua libertà. Perciò la Chiesa, trasferendo questo tempo su un piano spirituale, ne fa per i cristiani esperienza di liberazione dai debiti del peccato.
Se la terra è di Dio essa appartiene a tutti e Dio interviene continuamente con la sua parola a ricordare che tra gli uomini non deve regnare la sopraffazione ma la condivisione, che la povertà è uno dei fallimenti più grandi dell’umanità e che liberare è l’ imperativo impellente di chiunque ha ancora il coraggio di dirsi “umano”.
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