juan gerardi
13 Aprile 2010 Share

juan gerardi

 

Il libro che sta per essere pubblicato, edito da Altreconomia ed intitolato Il Vescovo che ruppe il silenzio rompe, a sua volta, un silenzio e dà corpo alla storia del pastore che ispirò la ricerca dei Consigli Pastorali parrocchiali sulle violenze subite dal popolo Guatemalteco, trasfuse nel famoso libro Nunca Mas (un sintetico profilo del vescovo Juan Gerardi lo abbiamo pubblicato sul numero di novembre 2007 con il titolo: Martire della verità).

Ho nutrito, da subito, una profonda ammirazione per la figura di questo Vescovo ausiliare che aveva anche il titolo di Presule di Guardialfiera, piccolo comune del Molise famoso per aver dato i natali allo scrittore Francesco Jovine. Don Juan visse per la giustizia e riuscì a dare, con metodo, la parola alla sofferenza subita dal suo popolo.

Questo libro vuole contribuire ad avviare una riflessione, in special modo all’interno della Chiesa, a partire dall’esperienza di quanti, animati da spirito profetico, si sono sforzati di percorrere i sentieri di Dio e racconta la storia di donne e uomini che dall’Eucaristia hanno ricevuto la spinta per incarnarsi nella storia e lottare per elevare la dignità umana, laddove questa veniva ridotta e quasi annullata.

 Quando Luca Martinelli, restando folgorato dalla bellezza dello scritto, che per caso aveva visto in una libreria del Guatemala, chiese a Renato Di Nicola, e quest’ultimo a me, se la traduzione del racconto sulla vita di Monsignor Juan Gerardi, poteva essere, in qualche misura, sostenuta, la risposta era già nel nostro cuore.

Rimasi, infatti, affascinato dal racconto che mi fecero di lui l’amico Renato Di Nicola e il mio compagno di viaggio Don Silvio Piccoli, responsabile, insieme a Emanuela Rampa, Antonio Cappiello, Giulia di Paola, Maria Sgariglia e Marilena Mattia, dell’associazione Fa.c.e.d. (famiglie contro l’emarginazione e la droga). Tutti hanno condiviso con me e  Monsignor Gianfranco De Luca, il sogno di scrivere sul “Vescovo che ruppe il silenzio” per diffonderne la storia ed il coraggio.

Quale potrebbe essere l’insegnamento “ad intra” e quali le considerazioni utili per i cristiani?

L’incontro, seppure indiretto, con un martire impegna i credenti ad un rispetto profondo. Il sangue innocente versato richiama alla mente concetti fondamentali per un cristiano quali: l’eucaristia, l’incarnazione e la dignità umana. Essi sono i tre pilastri di Dio; i tre sentieri che conducono all’unico grande progetto di Dio: la Pace. Con l’eucaristia Cristo ha elevato la dignità umana a dignità divina: il pane e il vino, frutto del lavoro dell’uomo, diventano corpo e sangue di Cristo. Con l’incarnazione Dio si fa uomo, da dignità divina assume quella umana per vivere accanto alla persona una storia nuova e per indicare una strada: quella della convivenza pacifica tra le persone e tra i popoli sulla base della carità nella giustizia. Così come l’economia si basa sull’energia, la scienza e l’etica, allo stesso modo, sotto un profilo non solo spirituale, la persona ha bisogno dell’eucaristia, che è l’energia, dell’incarna- zione, che è la scienza o il modo concreto in cui offre le sue capacità al servizio degli altri, della dignità umana che è il centro attorno al quale gravitano eucaristia e incarnazione. Non c’è eucaristia senza incarnazione, ma, forse, non c’è incarnazione senza eucaristia: l’una senza l’altra è priva di significato, di spinta profetica.

La scoperta più bella, che penso, abbia fatto anche Don Juan, è che chi persegue la difesa, il rispetto, la costruzione e l’elevazione della dignità umana, ha in sé, misteriosamente, l’essenza stessa dell’eucaristia e dell’incarnazione perché esse si basano sulla fede nella persona. Tutto ciò che muove Dio è la fede nella persona ed è la stessa fede che conduce, chi ha la passione nella “persona”, ad incontrarsi ed unirsi, misteriosamente, con Dio ed anelare quell’incontro che l’eucaristia suggella.

Quale potrebbe essere l’insegnamento “ad extra” e quali le considerazioni utili per tutti?

La strategia della paura che “punisce i poveri”, frutto di una filosofia neoliberista che nella sua declinazione individualista, anche oggi propugnata da più parti, minaccia i diritti umani fondamentali, viene da lontano. È la stessa che per decenni è stata sperimentata anche in America Latina e contro la quale Don Juan lottò con tutte le sue forze, educando la coscienza critica dei più vulnerabili.

In un’Italia in cui “la sofferenza diventa reato” e in cui i nuovi processi di privatizzazione di beni comuni, quali l’acqua, la scuola e la sanità rischiano di innescare processi di esclusione sociale ed economica, l’esempio e il coraggio di don Juan, uomo e pastore, possano ispirare le coscienze di chi ha responsabilità politiche, pubbliche, sociali, economiche ed ecclesiali e infondere, soprattutto nei giovani, il desiderio di “resistere” nel rispetto della non violenza.  ☺

*Associazione Fa.c.e.d. e responsabile della PSL della Diocesi di Termoli- Larino

adelellis@virgilio.it

 

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