la conquista delle 150 ore
16 Aprile 2010 Share

la conquista delle 150 ore

 

Nel complesso ed articolato panorama dell’educazione degli adulti, il rinnovo del contratto metalmeccanico del 1969 segnò una tappa fondamentale nel riconoscimento del diritto allo studio; per la prima volta, nella storia dell’Italia repubblicana, uomini e donne si videro garantire nuovi spazi di alfabetizzazione  attraverso l’istituto delle 150 ore.

Un diritto di cittadinanza che oggi non sempre risulta essere esigibile: nei fatti l’assolutizzazione del commercio internazionale ha indotto le imprese a snellire l’organico ed a introdurre, nel contempo, condizioni occupazionali più flessibili, come ad esempio i contratti a termine e il lavoro a somministrazione. Una dinamica che, nel rispondere a fattori di esclusivo interesse economico-finanziario, ha consentito una drastica diminuzione delle spese legate ai salari, ma anche una profonda frammentazione della realtà lavorativa: questa, assorbita e permeata completamente dai processi di globalizzazione, risulta ormai divisa tra una ristretta élite di lavoratori, assunti a tempo indeterminato e garantita, e un cospicuo gruppo di cittadini, in gran parte poco tutelati e impegnati per lo più in lavori precari. Un insieme di persone e di sensibilità che divengono attori e protagonisti  di un  processo di esclusione sociale e professionale di vasta portata. Una sofferenza alla quale va anche aggiunto il disagio di tutti coloro che risultano lavorare senza alcun contratto formalizzato: nella sua specificità il lavoro sommerso investe in Italia 4 milioni di uomini e di donne. Cittadini italiani e stranieri ai quali vengono negati i fondamentali diritti sanciti dalla normativa vigente e dai contratti collettivi di lavoro: di riflesso ogni agevolazione, dalla maternità alla malattia, dai congedi parentali a quelli concernenti il diritto allo studio, cessano di esistere dinanzi ad una dimensione di vera e propria illegalità. Ne consegue una forma di disarticolazione sociale e civile, resa ancora più complessa dalle problematiche congiunte alla forte precarizzazione del mercato del lavoro.

Si è così venuto a determinare un processo di dolorosa instabilità economica e psicologica: uno squilibrio che, nel corso degli ultimi anni, a fronte soprattutto delle spinte neo-liberiste e della globalizzazione dei mercati, ha fortemente rinforzato la frantumazione della realtà sociale e lavorativa. Il tutto in nome di una competitività, che non ha comunque reso il Paese più attivo e dinamico; permangono, al contrario, gravi deficit di ordine sociale, culturale ed economico. Molti dati, di tipo statistico, evidenziano una Nazione con livelli di scolarizzazione bassi rispetto a quelli registrati dal Nord-Europa e dagli Stati Uniti; va inoltre evidenziato il fragile rapporto che intercorre tra gli adulti ed il mondo della formazione: un deficit, questo, reso ancora più grave dai dati particolarmente negativi del Sud e dallo scarso coinvolgimento delle fasce sociali più deboli e meno secolarizzate.

Più in generale, il riconoscimento del diritto di cittadinanza trova ulteriori ostacoli nella scarsa diffusione dei processi di orientamento scolastico e professionale. Un limite alla crescita civile ulteriormente rinforzato dai fattori di analfabetismo di ritorno e dalla fragilità del rapporto instaurato con il mondo dell’informazione stampata e dei libri.

Nella sua complessa articolazione la povertà dei saperi assume un rilievo negativo, soprattutto per quei cittadini e per quei lavoratori che, a causa del loro modesto livello di istruzione, saranno costretti a registrare un continuo e progressivo impoverimento delle proprie conoscenze di base. Il che, oggettivamente, limita di molto la capacità di leggere e gestire i rapidi e molteplici mutamenti che investono la società contemporanea. Ma accanto ai soggetti scarsamente alfabetizzati, in considerazione dello sviluppo storico-sociale del proprio tempo, vanno anche aggiunti tutti coloro che, pur essendo in possesso del diploma, risultano ugualmente investiti da gravi forme di analfabetismo funzionale: queste sono date soprattutto dalle difficoltà espressive,  ma anche dalla mancanza di una valida conoscenza delle lingue, dell’informatica e dei principali aspetti giuridici che regolano la società e il mondo del lavoro.

Per molti cittadini si pone insomma la necessità di acquisire una maggiore alfabetizzazione che, sia essa di natura professionale, scolastica o universitaria, impone in primo luogo la costruzione di una progettualità formativa, capace di favorire l’accesso ai vari livelli di conoscenza: dal recupero del sapere di base all'interazione con i percorsi della formazione professionale, dall'accesso agli istituti superiori  allo sviluppo dell'istruzione a distanza.

Ma si tratta anche di offrire l’opportunità di leggere e studiare al di fuori degli organismi scolastici ed universitari: si valuti, ad esempio, l’importanza di avere a disposizione teatri, biblioteche, centri culturali, centri di ricerca, associazioni. Tutte strutture che, soprattutto nel Mezzogiorno, risultano essere scarsamente diffuse: il che, nei fatti, rende ancora più difficile avvicinare i soggetti verso dimensioni sociali e culturali capaci di garantire una più elevata crescita civile e personale.

Tutti i cittadini dovrebbero inoltre poter contare, in forma continuativa, su un valido ed efficiente servizio di orientamento: strumento necessario per guidare i soggetti verso la modifica della propria situazione professionale e culturale.

Agenzie per l’impiego, scuole, università, istituti specializzati e sindacati, sono chiamati a sensibilizzare i cittadini, rispetto all'importanza di ricercare nuovi percorsi di formazione e nuove opportunità di crescita.

   Un processo dinamico e complesso che impone di rivedere continuamente i saperi acquisiti entro un’ottica di educazione permanente: ogni singola persona deve esser posta nelle condizioni di far propria la capacità di inserirsi da protagonista nella vita sociale e in quella produttiva. Giacché la possibilità di conoscere e di scegliere deve costituire la base per evitare atteggiamenti tanto passivi e alienanti, da escludere la persona da quel processo di sviluppo e di prevenzione, inteso come unico mezzo per sconfiggere l’emarginazione dei lavoratori e dei cittadini più deboli; non si può in alcun modo prescindere da interventi tesi a valorizzare il cittadino adulto nella sua dimensione affettiva, psicologica e professionale.

 Un insieme di bisogni per i quali, negli anni '70 lavoratori e studenti seppero lottare rispetto ad un Paese arretrato nelle sue strutture sociali ed educative, e che, anche all’interno di un mercato internazionale sempre più competitivo e deregolamentato, non devono mai perdere il diritto di essere dignitosamente rappresentati.  ☺

  a.miccoli@cgilmolise.it

 

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