la dilapidazione dei valori
2 Marzo 2011 Share

la dilapidazione dei valori

 

L’uomo, preso dall’ansia della sua esistenza, soffocato da una emancipazione virtuale, costretto ad un consumo esasperante, si domanda: “Come posso restare me stesso, mentre tutto cambia attorno a me?”. Ecco una delle possibili domande che gran parte della letteratura e del cinema “ricicla”, formulandola fino all’ossessione e alla nevrosi, ed emerge sconcertante la dilapidazione dei valori. L’avarizia sta scomparendo dalla nostra società, ovvero il denaro non è più adorato per se stesso, perché esso stesso è diventato virtuale. Heidegger ha formulato la verità di questa seduzione, che è lo strumento favorito dalla società dei consumi, cioè: “appena il desiderio è soddisfatto da un oggetto bramato, subito si orienta verso un altro oggetto, di modo che ogni acquisizione è una breve pausa sulla via di altre acquisizioni”. L’uomo si rende prigioniero di un ciclo indefinito e spossante, cioè si attiva il processo dell’appacificazione tentatrice: ogni appagamento rilancia un nuovo desiderio e… la pubblicità nonché i produttori di denaro ci guazzano.

Nasce una mitologia sociale da cui sono esclusi il lavoro, il sacrificio, il dolore, la sofferenza e la morte; questi vengono rappresentati nei film, teleromanzi, fiction ed altro, solo perché funzionali al prodotto da vendere. Pubblicità e mass media presentano uomini e donne in una eternità di giovinezza e di bellezza. Ovvero, viene rappresentata un’etica della sterilità, come la definisce Junger, cioè una cultura dell’improduttivo. Già Hegel lo chiamava “il falso infinito del desiderio”. L’uomo è preda di una curiosità e di bisogni senza fine, fascinato dall’immagine e dal suono, incapace di riposo e di meditazione: ecco il consumatore tipo! Al limite, la sua vita si dissolve in una moltitudine di vite possibili, sfiorate, saggiate, ma mai condotte a termine. La civiltà dei consumi è una reale dilapidazione di valori e di cose, sfugge alla percezione dell’homo sapiens, perché distratto dall’insapiente ed accattivante mondo virtuale del tubo catodico e dei suoi consimili.

L’ingombro e l’intasamento minacciano non soltanto il traffico, ma anche l’informazione e la vita quotidiana delle persone. La penuria dava valore agli oggetti; l’abbondanza finisce con il toglier loro ogni significato. Finanche il linguaggio, nonostante l’aumentata capacità di comunicazione favorita dall’apprendimento di più lingue, si svuota di senso: parole, parole, parole vuote… si ha un cumulo di oggetti e suoni che non essendo orientati a una finalità superiore, perdono di senso e sopraggiunge con frastuono il franamento religioso, ossia l’abbandono della ricerca di quell’oltre delle cose che non oscura la vita delle persone.

La società attuale addirittura è sostanzialmente aperta, tollerante, eclettica. Dice Malraux che “le diverse culture si staccano dai popoli che le hanno sprigionate e vanno a finire in un museo ecumenico”; è vero, piuttosto, che l’Occidente si erige a cultura universale e si appropria di tutte le conquiste degli altri popoli, rendendole “inerti” alla vista di visitatori a pagamento. L’anticlericalismo si indebolisce e l’ateismo cessa di essere aggressivo e provocante, forse perché entrambi hanno perso il senso dell’“oltre”. Il cattolico, che tradizionalmente si preoccupava di convertire e di battezzare, non trova più né pagani, né barbari, perché è lui, piuttosto, che riceve il battesimo tiepido del benessere e dell’amabile tolleranza e il Natale, commemorazione della nascita di Gesù nella povertà, è diventato l’apoteosi dell’abbondanza, con buona pace di quei ricchi epuloni che avevano poche probabilità di accedere al regno del Padre e di quei cammelli diventati utili per portare a passeggio il ricco epulone e non certo per tentare di infilarsi nelle crune impossibili degli aghi. L’articolazione ed il tessuto connettivo tra il naturale e il soprannaturale saltano: il popolo cristiano, soprattutto Cattolico, si sta diluendo nella società dei consumi. La povertà è diventato un problema periferico e la religione, tutte le religioni, si confermano un olio lubrificante gli ingranaggi della società consumistica e del sistema di potere ad esso funzionale. Anche la classe operaia del mondo occidentale si è aggregata agli sfruttatori del "terzo e quarto mondo", rivendicando ed impossessandosi di povere briciole dell’ine -vitabile crisi che il sistema include in se stesso. Tutti “quegli altri” che hanno espresso una logica differente, sono diventati, spesso, troppo spesso, funzionali al recinto del profitto. La nascita degli “Stati”, avrebbe dovuto immettere un equilibrio tra forze, ovvero tra classi, che formavano l’insieme della società; invece, ha espresso una oligarchia monarchica, espressa democraticamente da un popolo che aspira a diventare ricco e potente come i potenti in carica. Il sogno democratico ha reso possibile il sogno che anch’io posso diventare “re” se mi cerco o compro il consenso.

 Ma un altro mondo è possibile, ed è vero, ma questo comporta un modello di società che non esiste se non all’interno di piccoli gruppi o di quei pezzi di umanità che sono rimasti ai margini. La speranza di un mondo nuovo alberga nei diseredati del mondo, nell’intelligenza di quanti sperano oltre ogni speranza, nei cuori di coloro che non rinunciano a se stessi, ai propri sogni, ai propri amici per un pugno di monete, fossero anche trenta denari. E forse in quanti, della loro formazione, fanno una formazione lunga tutta una vita. ☺

polsmile@tin.it

 

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