la mafia e lo stato
1 Ottobre 2011 Share

la mafia e lo stato

 

Le mafie – le organizzazioni criminali, assoluti controllori della finanza e dunque oggi della politica – ma anche la cultura mafiosa (la mafiosità) che esprime silenzio, complicità, omertà, accettazione delle violenze gratuite che si sostituiscono alla civile convivenza solidale e rispettosa – le mafie, dicevamo, si sono impossessate dello Stato e della democrazia, svuotandola, se non distruggendola, e ciò già a ridosso degli anni ottanta del XX secolo (yuppismo, rampantismo, arrivismo carrieristico, individualismo sfrenato ed abnorme, almeno rispetto alla effervescente weltanschaung antagonistica ed alternativa degli Anni Sessanta e Settanta. craxismo).

Ad un padrino – antico rappresentante della vecchia D.C. – se n’è sostituito subito un altro, dal 1994; questi all’appa- renza è un burattinaio ma nella sostanza è egli stesso una marionetta, manovrata, apertamente controllata e sotto ricatto (da ricordare l’incendio del teatro Odeon a Milano nel 2009). Per sintesi estrema – e ci rendiamo conto che l’operazione documentaria è frammentaria  e non esauriente – proponiamo alcune date e particolari vicende che ci sembrano necessarie per la ricostruzione del quadro storico che ha determinato la captatio in vincla, ossia la dismissione e perciò la sparizione di ciò che è caratteristico ed essenziale di uno Stato per dirsi democratico, pluralistico, solidale specialmente con i ceti non abbienti.

– 1993: arresto a Palermo di Salvatore Riina, latitante da 23 anni; richiesta di autorizzazione a procedere contro Andreotti nell’ambito delle indagini sulla morte di Mino Pecorelli; la mafia a Palermo uccide don Giuseppe Puglisi, sacerdote impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata; Silvio Berlusconi, presidente della Fininvest, annuncia di appoggiare il partito Msi di Fini, scendendo in campo personalmente per impedire la vittoria delle sinistre, dei comunisti.

– 1994 – il 19 marzo viene ucciso dalla camorra nella sacrestia della sua chiesa a Casal di Principe don Peppino Diana, educatore di giovani boy scout ed acre avversario della camorra casertana. Il 20 marzo, a Mogadiscio, vengono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, giornalisti che lavoravano ad un’inchiesta, molto scottante, sul traffico internazionale illegale delle armi e dei rifiuti tossici e radioattivi. Primo governo Berlusconi e rinvio a giudizio di Giulio Andreotti per concorso in associazione mafiosa. Durante il vertice ONU sulla criminalità, che si sta svolgendo a Napoli, Berlusconi, presidente del Consiglio, riceve un avviso di garanzia (nell’ambito, per l’appunto, delle indagini sulla corruzione della guardia di finanza).

A questo punto c’è un episodio che deve essere ricordato (Nando Dalla Chiesa, La convergenza – Mafia e politica nella seconda repubblica, Edizioni Melampo, Milano, 2010, pp. 104-105) e che  riguarda un esponente rilevante della ‘ndrangheta, Giuseppe Piromalli, della famiglia più influente della piana di Gioia Tauro, che a ridosso del voto del 1994 invita i suoi amici a votare Forza Italia di Berlusconi. Secondo Nando Dalla Chiesa, in questo inquietante episodio mafioso si può cogliere il germe di una trattativa fra lo Stato e la mafia (le mafie) e con questo stiamo avvicinandoci al cuore del problema. Gli altri elementi che favoriscono una lettura di questo tipo sono le stragi di Firenze – Via dei Georgofili -, di Milano, di Roma – l’attentato fallito a Maurizio Costanzo – e quello che sarebbe stato più grave allo stadio Olimpico dove si giocava la partita di serie A fra la Lazio e l’Udinese.

Da una parte c’è il gotha della mafia (delle mafie) che pur dietro alle gabbie e quindi nelle prigioni controlla lo Stato con la sua violenza e la sua prepotente illegalità malavitosa; da un’altra parte compare nitida l’immagine della “borghesia” mafiosa, quella dei colletti bianchi che appoggia le mafie da dietro le quinte nella politica, nella finanza, nella quotidianità con il proprio silenzio complice. La cessazione delle stragi del biennio 1992-1993 viene motivata dalla volontà del vertice mafioso di condurre una trattativa con lo Stato, che appare indifeso e in balia completa dell’attacco  stragista.

La trattativa, di cui si sta occupando ancora la Procura di Palermo, sarebbe (stata) dunque avallata da entrambi i fronti per contrapposti ma convergenti interessi strategici. La prova della trattativa è il cosiddetto “papello”, che contiene le richieste improcrastinabili dei vertici delle mafie,  la cui tessitura è una campagna dura contro la magistratura, né più né meno di quella che da 20 anni circa sta conducendo la marionetta nazionale. Il “papello” data il mese di luglio del 1993; dunque,  l’anno delle stragi “eccellenti”. Ecco i punti che denunciano, nell’ordine, l’uso strumentale dell’avviso di garanzia allo scopo di eliminare l’avversario politico; l’uso illegale della custodia cautelare; la minaccia della sua applicazione allo scopo di ottenere confessioni; la manipolazione del capo d’accusa; l’uso illegale del segreto istruttorio; l’accettazione da parte del gip (giudice delle indagini preliminari) delle indicazioni del pubblico ministero; travisamento del compito istituzionale del tribunale della Libertà e della Cassazione; commistione della fase delle indagini preliminari con il giudizio e la condanna;  il pubblico ministero  che seleziona i bersagli da colpire e gli scopi da raggiungere; manipolazione delle regole operative per territorio e per materia.

Le affinità contigue fra il papello mafioso e il programma sulla giustizia del nuovo soggetto politico sono visibili e tali da suggerire una serie di rilievi importanti e necessari per comprendere il corso della politica italiota e azzurra!!! ☺

bar.novelli@micso.net

 

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