la pittura del seicento
25 Febbraio 2010 Share

la pittura del seicento

Uno Stile

Movimento, energia e tensione sono tra le caratteristiche principali dell’ Arte Barocca; forte contrasto tra luce e ombra accentuano l’effetto drammatico di dipinti, sculture e opere architettoniche. Nei quadri, negli affreschi, nei rilievi e nelle statue barocche vi sono spesso elementi che suggeriscono una proiezione verso lo spazio circostante, indistinto e infinito, grazie anche alla resa volumetrica e prospettica. La tendenza naturalistica è un’altra componente fondamentale dell’ Arte Barocca; le figure umane non sono stereotipi, bensì individui, ognuno ben caratterizzato. Gli artisti di questo periodo sono affascinati dagli intimi meccanismi della mente e dalle convulse passioni dell’anima che vollero ritrarre. Attraverso le caratteristiche fisiognomiche dei loro soggetti. Un senso di intensa spiritualità è presente in molte opere, in particolare nelle estasi, martirii di santi o apparizioni miracolose, soprattutto ad opera di artisti di paesi cattolici come l’Italia e la Spagna. L’intensità, l’immediatezza, la cura per il dettaglio dell’Arte Barocca ne fanno tuttora uno degli stili più coinvolgenti per lo spettatore in tutto l’arco dell’arte occidentale.

Cavaliere Massimo

Massimo Stanzione (1585 – 1656) detto il “Cavaliere”, ritornato a Napoli da Roma, con negli occhi e nella mente da un lato la lezione degli emiliani, dall’altro gli esempi di caravaggisti francesi fautori di un illuminismo temperato dai colori chiari, è il maestro incontrastato della pittura barocca napoletana.

La sua voce si farà sempre più sicura nell’area partenopea, testimone descrittivo dei sentimenti familiari, della dolcezza, delle raffinatezze sontuose e dei colori luminosi e brillanti. Il linguaggio figurativo, aulico e raffinato, diventerà accessibile a tutti per il tono calmo e pacato che declinerà nei termini di una ritrovata classicità e di una nuova intensità espressiva, svolta con una spontanea vena aneddotica ed espressiva.

Non una pittura aggressiva caravaggesca con note cupe e strazianti del colore, bensì una pittura appassionata, che vuol toccare il cuore, anche con le accentuazioni patetiche. In pochi anni diventerà capo-scuola di una generazione di pittori, un coagulo di giovani artisti, maestro per antonomasia, il Guido Reni partenopeo, dominatore della scena artistica napoletana; eclettico, dotato di una vasta cultura figurativa, egli preleverà da altri autori quanto basta, senza contrarre, come tutti i grandi, debito alcuno. A Roma, per la sua maestria, ottenne in breve tempo il titolo di “Eques”, qualifica con la quale amerà fregiarsi quasi sempre nelle sue tele firmate.

Pittore del tratturo

Francesco Guarino (Solofra 1611 – Gravina 1651) appartenente ad una famiglia di artisti, si reca a Napoli a “studiar” pittura nella bottega di Massimo Stanzione. Subisce il fascino del maestro, accostandosi alla morbidezza degli emiliani e aderisce alle cadenze compositive in maniera originale rendendo fini e luminosi la ricerca degli incarnati, dei paesaggi, delle composizioni architettoniche in illusione prospettica.

La bottega dello Stanzione è un punto di riferimento del mercato decorativo delle chiese, al cui splendore tanto tenevano i numerosi ordini religiosi presenti a Napoli che, in piena epoca controriformista, volevano glorificare una religione trionfante attraverso la grandiosità delle opere d’arte, illustranti l’aspetto esteriore della fede. Il Guarino nel periodo partenopeo non ha committenze, ma verrà apprezzato dalla famiglia degli Orsini, che da lì a poco darà un Papa, Benedetto XIII; preferendo circondarsi di santi e storie sacre, il Guarino fu apprezzato per la capacità di conferire fasto austero alle storie con il lusso dei colori brillanti e pacato timbro accademico. Le opere giovanili nella Collegiata di S. Michele a Solofra e il percorso sinuoso della maniera da Napoli a Gravina fanno del Guarino l’uomo che ha vissuto con “voracità del provinciale”, che niente vorrà lasciarsi sfuggire delle novità del suo tempo. Poco prima della sua prematura, drammatica morte, dovuta a una bizzarra storia di sesso e sangue, il Guarino dipinse la Madonna del Suffragio per la chiesa del Purgatorio a Gravina: il mistero dipinto nel racconto, quasi testamento del pittore.

S. Benedetto libera un ossesso

La tela,”S. Benedetto libera l’ossesso”, del 1643, nella chiesa di S. Antonio Abate in Campobasso è l’espressione già matura dell’opera del Guarino, ormai lanciato dagli Orsini a pittore di corte. Lo sfondo architettonico in prospettiva dell’Abbazia di Montecassino di impianto caravaggesco, disegno e drammaticità, e la spiritualità e ieraticità del Santo, descritto in un’atmosfera di concitato terrore dai contrasti cromatici e plasticità intrisa di crudo realismo. Il Braccio del Santo che ìntima la liberazione, lo spasmo dell’ossesso, la raccapricciante forma del demonio formano una linea che idealmente divide la scena, lasciando intendere la quiete della liberazione come pacificazione dello spirito. Le note cupe e strazianti del colore che si alternano nei personaggi che assistono alla scena, danno all’opera una modulazione corale intrisa di naturale concretezza emotiva. ☺

jacobuccig@gmail.com

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