l’arca di noè  di Michele Tartaglia
29 Agosto 2011 Share

l’arca di noè di Michele Tartaglia

 

La vicenda del diluvio, come ci è raccontata dalla bibbia, contiene in sé un’ambiguità: da un lato esso è presentato come punizione divina per un’umanità corrotta dal dilagare incontenibile della violenza, dall’altro è un momento di speranza, espresso dall’arca che contiene i semi di vita conservata per una rinascita, insegnamento anche per chi, in un mondo travolto dal non senso, è spinto a ritagliarsi degli spazi di sopravvivenza. Il racconto biblico dice che di alcune specie è rimasta una sola coppia, come a dire che a volte ciò che si può salvare è ridotto ai minimi termini; tuttavia la sapiente lettura dei segni dei tempi, come ha fatto Noè, permette di partire anche da poche cose ben conservate all’interno di quell’arca che può essere interpretata come la propria testimonianza che, per galleggiare, ha bisogno di  non avere falle, di essere ricoperta dal bitume della coerenza, senza cedere al compromesso nei confronti di un sistema di pensiero egoistico che, come una tempesta, tenta di distruggere gli ultimi barlumi di umanità.

Leggendo più a fondo il racconto del diluvio dobbiamo chiederci perché Noè ha costruito l’arca, verso quale futuro pensava di condurre le persone e gli animali che ha portato con sé. Seguendo l’ispirazione divina non pensava certo di dover abitare per sempre su quell’arca, ma essa era solo il mezzo necessario per giungere a un approdo, dove poi far rinascere un mondo non più fondato sulla violenza ma sul rispetto della dignità dell’uomo: quando Dio stipulerà l’alleanza con Noè, dopo il diluvio, imporrà come unica legge il divieto dell’omicidio, che, dopo l’uccisione di Abele, era diventato regola per l’umanità prediluviana (Gen 9,6). L’arca, quindi, non è semplicemente un aggregato di egoisti che decidono di unirsi per affrontare un’emergenza, ma la casa di una comunità che segue il sogno di poter far nascere una nuova società dalla quale siano bandite le vecchie logiche di contrapposizione omicida e, resa saggia dalla comune tragedia, viva la solidarietà.

L’arca che attraversa le acque del diluvio può aiutarci anche a leggere, nella storia italiana, ad esempio, il superamento della frammentazione della penisola durante il risorgimento, oppure l’unione di uomini e donne con idee diverse che hanno fatto rinascere l’Italia dopo la guerra, quando fu scritta la nostra costituzione, che ripudia la guerra e sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Continuando a leggere il racconto biblico ci si rende conto, tuttavia, che il progetto iniziale di Dio, affidato a Noè, non è stato pienamente realizzato, perché quando gli uomini, dopo il diluvio, si sono riuniti di nuovo, lo hanno fatto per costruire la torre di Babele, monumento agli interessi privati e al proprio narcisismo. Ed è quanto è avvenuto anche con l’unità d’Italia tanto celebrata, dove si è imposta la filosofia del Gattopardo, cioè il cambiamento di facciata che nasconde  la conservazione del potere e dello sfruttamento e, nonostante le più grandi speranze emerse dopo la seconda guerra mondiale, non sembra che si sia fatto molto di più in un paese dove le grandi ideologie hanno generato poi solo dei consumatori di pagnotte, e neppure in Europa, un’unione di stati che mette al primo posto gli interessi delle lobby economiche.

La storia ci insegna che non basta associarsi per superare i diluvi, ma bisogna sapere perché dobbiamo superarli, quale è il mondo che vogliamo costruire, perché l’unione sia una vera arca che conserva la vita e non una torre che produce morte. Nei cambiamenti a cui stiamo assistendo, con un sistema mondiale che sta sempre più mostrando la sua debolezza, siamo chiamati a scegliere tra il far finta di nulla, come quelli che vissero ai tempi di Noè, oppure il saper individuare quei valori essenziali da portare in salvo e farcene carico con delle scelte coerenti. Molti pensano di trovare la soluzione in nuovi mercati e investimenti, oppure nel difendere ad oltranza il proprio stile di vita. In realtà, vera arca di salvezza è, per esempio, la capacità di accogliere chi preme ai nostri confini per fuggire la fame e la disperazione, oppure unirsi per un progetto politico che tenga conto del bene comune e non dei soliti interessi di bottega. In un mondo ormai troppo piccolo per permettersi il lusso di chiudere gli occhi, solo il ritrovare quei valori che mettono al primo posto la vita umana può garantirci una vera salvezza nel crollo del vecchio sistema, perché se non sappiamo recuperare, mettendole in salvo, l’indignazione per la giustizia calpestata e la solidarietà con i disperati della terra, non ci sarà più nessuna terra ferma dove fare approdare l’arca dell’umanità, nessun mondo nuovo potrà emergere dal diluvio che incombe su di noi.   ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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