le ragioni degli altri
26 Febbraio 2010 Share

le ragioni degli altri

 

Sono affidabili, discreti, non inveiscono mai.

Porgono le loro ragioni con ferma pacatezza e sono ottimisti.

Di solito li si sceglie come referente privilegiato perchè sanno ascoltare.

Di solito è un equivoco, non ascoltano, esercitano la propria attitudine alla tolleranza: i “bravi ragazzi” di sinistra rifuggono dagli eccessi e non amano i massimalismi.

Prevedono una soluzione dei problemi tracciata su sentieri battuti da tempo, consolidati e rassicuranti.

Sono i militanti di base e coloro che con questa base si confrontano costantemente.

Forti di un solido sentimento di appartenenza hanno mantenuto tessera e abitudine al voto.

Hanno votato sempre in questi lunghissimi e buissimi anni, lo hanno fatto quando dovevano procurare un seggio ad un ex democristiano, quando si entrava in guerra, quando iniziava la deregulation in materia di lavoro, quando non si affrontava il pericolo delle incompatibilità istituzionali, quando si lasciavano invalidare referendum quali quelli sull'articolo 18 e sulla fecondazione assistita, quando cadeva un governo perchè non si rispettavano gli accordi.

Sono eccessivi, passionali, arrabbiati.

In questi lunghissimi buissimi anni hanno votato solo per i referendum del 2003 e del 2005. Pensano che andare a votare per una sinistra muta, imbelle e senza sogni produca le catastrofi che ci tengono in ginocchio. Pensano che la sinistra debba riconquistare autorevolezza, che debba schierarsi e lavorare sui bisogni sempre più urgenti e sempre più muti.

Pensano che non serva a nulla governare a costo di perdere identità, che il lavoro e la crescita debbano avvenire in senso orizzontale, non verticale. Pensano che bisogna accogliere bisogni e produrre consapevolezza.

Un tempo li definivano “cani sciolti”, qualunquisti proprio no.

Vorrei riproporre qui un breve invito alla lettura di “Saggio sulla lucidità” di Saramago per Einaudi che inviai anni fa ad un blog letterario, l'argomento mi sembra pertinente.

“Saggio sulla lucidità” è un libro doloroso che non concede speranza alla speranza, nessun buonismo né spiragli per possibili cambiamenti. Il potere (i) è lì, granitico, inattaccabile. Inattaccabile? Forse ci si può riflettere su.

Intanto ricominciare a ragionare tutti sicuramente mette in crisi ciò che del potere è più visibile e più risibile: la politica (quella con l'iniziale in minuscolo).

Intanto protestare la propria etica, fare un passo di lato per uscire dalla fila, “favorire la propria cultura” vivendola e non consumandola, sicuramente destabilizzerà degli equilibri.

E il fastidio sarà tale da rendere necessario l'annientamento della minaccia.

Questo il romanzo, e la realtà?

Mi piace pensare che, come nel romanzo, ci sia anche per noi un testimone, uno che ha letto e compreso l'ordito della macchinazione omicida e che si stia interrogando sul che fare. ☺

 

 

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