l’umorismo di dio
22 Aprile 2010 Share

l’umorismo di dio

 

Quando si pensa al carnevale, viene in mente generalmente l’irriverenza verso il sistema e le istituzioni che lo reggono e, tra esse, vi è certamente, per tradizione, la religione, sebbene il proverbio metta in guardia dal passare il limite: “scherza con i fanti ma lascia stare i santi”. Tuttavia proprio nella Bibbia l’irriverenza è di casa; anzi, Dio stesso sta al gioco, in alcune situazioni in cui gli uomini vorrebbero “canzonarlo”, mentre è Lui che li prende sonoramente in giro, mostrando una vena ironica che non ci si aspetterebbe da un dio moralizzatore di costumi…

Forse la condizione del popolo ebraico, spesso oppresso e dileggiato dai potenti di turno ha alimentato quella capacità di ridicolizzare tutte le pretese boriose del potere. Vi è tutto un catalogo di ironiche prese in giro: il culto della forza in Sansone che riesce a vincere uomini e bestie ma cede alle moine di una donna, il paragone del potere con il rovo, pianta sterile e inutile, rispetto alla vite e al fico che hanno qualche utilità, come ci viene raccontato sempre nel libro dei Giudici; la presa in giro della forza militare nel delizioso racconto di Giudici 7, in cui Gedeone sceglie i soldati in base a come bevono al fiume, così come la presa in giro della virilità maschile, quando Dio fa vincere il popolo grazie a una donna, Giaele.

Al di fuori di questo libro vi sono infinite altre allusioni, come, ad esempio, l’asina di Balaam, in Numeri 22, che riesce a vedere l’angelo del Signore, mentre il suo padrone, un profeta, non ci riesce (divertente il dialogo tra questo profeta e l’asina parlante!); fino ad arrivare a Sara ed Abramo che, dopo aver riso di Dio che prometteva un figlio a due vecchi sterili (Gen 17,17; 18,12), riconoscono che sono stati ripagati con indulgenza per la loro mancanza di fiducia in Dio quando chiamano il loro figlio Isacco, che significa proprio “Il Signore ha sorriso”: segno di capacità di stare allo scherzo.

Si potrebbe arrivare fino al Nuovo Testamento, in cui l’ironia non solo è ben espressa sul piano letterario, come ad esempio nel vangelo di Giovanni, ma è l’annuncio di Cristo in sé ad essere fortemente ironico, pur se espresso con delle venature drammatiche: il messia è colui che è stato crocifisso, il potere appartiene allo sconfitto. Addirittura nell’Apocalisse si crea un vero effetto shock quando viene annunciato l’arrivo del leone di Giuda e appare un agnello immolato (Ap 5, 5-6). 

La Bibbia ci insegna anche che la perdita del senso ironico e della capacità di ridere può produrre gravi danni: ce lo dice Eliseo, che non accetta la sua calvizie e quando è preso in giro da un gruppo di ragazzi, li maledice a morte (2 Re 2,23-25); ce lo dice la stessa Sara che, dopo aver riconosciuto lo scherzo di Dio nel suo figlio, non accetta l’atro “scherzo”, il figlio della schiava Agar, Ismaele. Infatti, dopo aver sorriso con Dio per la nascita di Isacco, Sara non accetta di far condividere la stessa vita famigliare ai due fratelli e caccia Ismaele con la madre. Per fortuna Dio, nonostante la meschinità che a volte anche i grandi manifestano, continua ad agire ironicamente nelle pieghe della storia: anche per Ismaele aveva infatti annunciato un futuro simile a quello di Isacco: “Anche riguardo a Ismaele ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici principi egli genererà e di lui farò una grande nazione” (Gen 17,20) e ancora: “Ma io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole” (Gen 21,13). La leggenda vuole che Ismaele sia il capostipite della stirpe araba, all’interno della quale, secoli dopo, nacque Maometto, che ha portato interi popoli alla fede nell’unico Dio, del quale Abramo è riconosciuto nel Corano come un grande servitore. Sarebbe interessante pensare che l’ironia di Dio non si sia fermata entro i confini della Bibbia ma abbia in qualche modo voluto, anche attraverso la rivelazione coranica, continuare a smascherare l’uomo quando si prende troppo sul serio, non comprendendo che, per stare al mondo, è necessario avere lo sguardo indulgente di chi sa che comunque è Dio a guidare la storia. Sapranno i discendenti di Abramo (ebrei, cristiani e musulmani) ritrovare quel sense of humour con cui Dio si è rivelato all’inizio delle proprie vicende? ☺

 

 

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