mercato del lavoro
21 Marzo 2010 Share

mercato del lavoro

 

   Nella dichiarazione dei Diritti dell’uomo del 1948, all’ articolo 23 leggiamo:

«1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.

2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi».

Il contenuto di questo articolo è ulteriormente specificato dagli articoli 6, 7 e 8 del Patto sui diritti economici sociali e culturali del 1966/1973 per il quale gli stati firmatari si obbligano ad assumere ogni  misura «per dare piena attuazione a tale diritto».

I sistemi di governo devono riconoscere, promuovere, codificare, garantire e tutelare le reali manifestazioni dei bisogni vitali e la definizione delle opportunità necessarie alla persona umana: lo sviluppo culturale e giuridico della visione del lavoro va coniugato insieme allo sviluppo civile e politico delle democrazie e dei sistemi socio economici e culturali che rappresentano. Ne consegue una naturale interazione tra modello civile-politico e modello economico-sociale.

Il mondo uscito dalle due guerre mondiali ha conosciuto la rottura delle barriere dopo il 1989. Il crollo del muro di Berlino ha reso il mondo realmente unico, per il contesto civile e politico, mentre rimanevano tanti mondi diversi, a volte lontani, per quanto riguarda le dimensioni dello sviluppo economico sociale e culturale. Finita la stagione coloniale, negli anni sessanta, crollata la contrapposizione dei sistemi politici che divideva il mondo in est, ovest e paesi non allineati, si respirava l’attesa liberante di un nuovo mondo che avrebbe dovuto portare a pari dignità i  paesi che erano definiti, allora, “sviluppati, in via di sviluppo o sottosviluppati”. Bisognava mettere mano allo sviluppo planetario mentre doveva completarsi e perfezionarsi il cambiamento politico verso la libertà; la «visione comune» dei diritti avrebbe dovuto promuovere la realizzazione della «comune aspirazione» alla libertà, allo sviluppo, alla pace, alla dignità degli uomini e dei popoli.

Una società libera da barriere apre le frontiere alle persone, alle merci, alle imprese, ai capitali, pur nel gioco delle regolamentazioni nazionali e internazionali. Nel 1948, accanto alla presenza e all’opera dell’ONU, delle sue istituzioni e alla formulazione dei diritti, nascono in modo parallelo altre organizzazioni, in qualche modo private, che, a seconda dei governi membri partecipanti, assumono sempre più spessore e incidenza a livello mondiale: la banca mondiale, il fondo monetario internazionale, l’organizzazione della finanza mondiale, (accordi di Bretton Wood), l’organizzazione internazionale del commercio (GATT), la stessa Comunità Economica Europea, inizialmente  con 6 paesi,  diventata oggi Unione Europea di 27 paesi.

Il GATT nasce nel 1948 per fornire regole al commercio internazionale attraverso accordi (agreements) negoziati (round) e sottoscritti all’inizio da 23 paesi, divenuti 102 negli anni novanta. Nel contesto del nuovo mondo senza barriere si tiene il più lungo negoziato commerciale (1986-1994), quasi un decennio, denominato Uruguay Round, da parte di 123 paesi (ne sono quasi 200); assume un nuovo nome (WTO – World Trade Organization), culmina con la conferenza ministeriale del 1994 a Marrakech. Avviene, però, un cambiamento strutturale: mentre il GATT era un accordo provvisorio tra «contracting parties» (parti contraenti) mai ratificato dai parlamenti, il WTO rappresenta ormai una organizzazione stabile, permanente e parallela con basi legali e giuridiche perché gli accordi sono tutti ratificati dai parlamenti e diventano vincolanti come i trattati internazionali tra governi.

Il lavoro cambia denominazione e configurazione: da diritto della persona, fondamento della libertà personale e dello sviluppo personale, familiare e sociale, diventa semplice parte del «mercato del lavoro», valutato soprattutto in termini di «costo». Variano gli obiettivi dello sviluppo: il lavoro diventa costo/ostacolo allo sviluppo, mentre esso era fondamento e parte del costo sociale dello sviluppo. Anche in Europa il lavoro è stretto da due sponde: costi, profitti, mercato da una parte e diritto, sicurezza e valore sociale dall’altra. Mentre i diritti ammettono il costo sociale dello sviluppo della persona, il profitto e il mercato lo qualificano costo insostenibile al profitto d’impresa. Il lavoro deve divenire «flessibile» come il mercato: è l’unica definizione che trova accordo tra i potenti dell’economia. Si vorrebbero coniugare insieme «flessibilità» e «sicurezza»: «flexicurity» è l’ultimo termine coniato: la quadratura del cerchio in cui sono immerse le società sviluppate.

 La crisi narra, invece, che il doppio binario tra diritti dell’uomo e diritti del commercio, in cui l’uomo è solo parte del «mercato del lavoro», crea presunte «convergenze parallele» inconciliabili tra loro.☺

 

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