È festa grande qui all’Olimpo. Afrodite ha suggerito a Zeus di indire una gara canora, con tanto di giuria, spettatori e naturalmente cantori; l’equivalente del festival di Sanremo dei tempi nostri.
Sono pronti ad esibirsi i migliori talenti, divinità e semplici mortali, ma sono ammessi anche i dilettanti; di loro c’è sempre bisogno, se non altro per farsi beffe di chi si illude di far poesia con un semplice giro di frase.
Per l’occasione il re degli dei ha impartito ordini speciali: che venga servito “il meglio” vino, ma soprattutto che di acqua non vi sia neanche l’ombra. Lo sfarzo supera ogni aspettativa: le dee sfoggiano i loro monili più belli, si lanciano occhiate furtive e sorrisi compiacenti, mentre spettegolano sugli amplessi di questa e di quella.
Anche gli dei son tutti qui assiepati, vogliosi di abbacchio e annoiati di nettare. Non vedono l’ora di metter da parte le beghe personali per addentare le prelibatezze della tavola; smaniano -come dire – dalla voglia di umanizzarsi, di cogliere l’avventuretta amorosa con la mortale di passaggio.
Ed ecco giungere finalmente anche i concorrenti, accompagnati dall’instancabile Ermes, fedele portavoce del re dell’Olimpo. Riconosciamo, tra gli altri, Trigeo, detto anche Ugola d’oro, Melampo, il duo Samia e Mirrine.
All’ingresso della sala vediamo ora accalcarsi le Ninfe esultanti di gioia per il nuovo arrivato; applausi corali, ghirlande di fiori lanciate in aria. Tra la calca si fa largo il musico con il quale ognuno teme il confronto, quello che ammalia, con la dolcezza e l’armonia del suo canto, uomini e belve: Orfeo. La sorpresa è grande; nessuno si sarebbe aspettato di vederlo qui tra noi, reduce com’è dalla perdita della sua sposa Euridice. Converrà ricordare a quanti seguono questa cronaca che il dolore di Orfeo ha inizio nel giorno più felice della sua vita: il morso letale di una vipera gli sottrae la sposa proprio durante la festa di nozze. La disperazione del giovane è smisurata, tanto che gli dei gli concedono di raggiungere l’amata nel regno dei morti. Qui il suo dolcissimo canto commuove anche la regina degli Inferi, Persefone, che gli promette, scherzo da dea, la liberazione della fanciulla: “Riprenditi Euridice, Orfeo, col mio permesso ti seguirà fino all’uscita dagli Inferi. Bada solo di non voltarti a guardarla prima di giungere alla luce”. Come se fosse facile! Sarà stato il desiderio, l’impazienza, la voglia di accertarsi che fosse proprio lei, Euridice, a seguirlo, fatto sta che Orfeo si è voltato e l’ha persa per sempre.
Ora è a Sanremo, pardon, sull’Olimpo, Orfeo, ed ha tutti gli sguardi puntati su di lui. Zeus ha un attimo di esitazione, teme che la tristezza del cantore possa essere contagiosa e guastargli la festa. Perciò usa tutte le sue arti per blandirlo, per commiserarlo, per fargli intendere che gli concede di allontanarsi, data la situazione. Ma ad Orfeo i conti non tornano più, è stanco di assecondare il volere e il disvolere degli dei. Vuole prendersi una rivincita, prima di congedarsi da loro per sempre. Ed usa non più il canto, ma parole: “Ipocriti! Risparmiatemi il vostro compianto, che accarezza mentre vorrebbe tagliare come una lama; siete solo otri gonfiati, opportunisti e meschini. Non sono venuto sin qui per elemosinare la pietà di chi si fa gioco dei destini umani e con essi si trastulla capricciosamente, ma per rivendicare l’autonomia della mia arte. Non sarò più il cantore dei vostri banchetti né il poeta ufficiale delle vostre cerimonie. Ignorerò il vostro cinismo e la vostra indifferenza e non vi sarà più menzione di voi nel mio canto!” .
Tace momentaneamente la sala, mentre il Nostro si allontana. Poi la festa riprende… più rumorosa di prima.
Post scriptum: ogni riferimento a fatti, persone e circostanze è puramente voluto!☺
annama.mastropietro@tiscali.it
È festa grande qui all’Olimpo. Afrodite ha suggerito a Zeus di indire una gara canora, con tanto di giuria, spettatori e naturalmente cantori; l’equivalente del festival di Sanremo dei tempi nostri.
Sono pronti ad esibirsi i migliori talenti, divinità e semplici mortali, ma sono ammessi anche i dilettanti; di loro c’è sempre bisogno, se non altro per farsi beffe di chi si illude di far poesia con un semplice giro di frase.
Per l’occasione il re degli dei ha impartito ordini speciali: che venga servito “il meglio” vino, ma soprattutto che di acqua non vi sia neanche l’ombra. Lo sfarzo supera ogni aspettativa: le dee sfoggiano i loro monili più belli, si lanciano occhiate furtive e sorrisi compiacenti, mentre spettegolano sugli amplessi di questa e di quella.
Anche gli dei son tutti qui assiepati, vogliosi di abbacchio e annoiati di nettare. Non vedono l’ora di metter da parte le beghe personali per addentare le prelibatezze della tavola; smaniano -come dire – dalla voglia di umanizzarsi, di cogliere l’avventuretta amorosa con la mortale di passaggio.
Ed ecco giungere finalmente anche i concorrenti, accompagnati dall’instancabile Ermes, fedele portavoce del re dell’Olimpo. Riconosciamo, tra gli altri, Trigeo, detto anche Ugola d’oro, Melampo, il duo Samia e Mirrine.
All’ingresso della sala vediamo ora accalcarsi le Ninfe esultanti di gioia per il nuovo arrivato; applausi corali, ghirlande di fiori lanciate in aria. Tra la calca si fa largo il musico con il quale ognuno teme il confronto, quello che ammalia, con la dolcezza e l’armonia del suo canto, uomini e belve: Orfeo. La sorpresa è grande; nessuno si sarebbe aspettato di vederlo qui tra noi, reduce com’è dalla perdita della sua sposa Euridice. Converrà ricordare a quanti seguono questa cronaca che il dolore di Orfeo ha inizio nel giorno più felice della sua vita: il morso letale di una vipera gli sottrae la sposa proprio durante la festa di nozze. La disperazione del giovane è smisurata, tanto che gli dei gli concedono di raggiungere l’amata nel regno dei morti. Qui il suo dolcissimo canto commuove anche la regina degli Inferi, Persefone, che gli promette, scherzo da dea, la liberazione della fanciulla: “Riprenditi Euridice, Orfeo, col mio permesso ti seguirà fino all’uscita dagli Inferi. Bada solo di non voltarti a guardarla prima di giungere alla luce”. Come se fosse facile! Sarà stato il desiderio, l’impazienza, la voglia di accertarsi che fosse proprio lei, Euridice, a seguirlo, fatto sta che Orfeo si è voltato e l’ha persa per sempre.
Ora è a Sanremo, pardon, sull’Olimpo, Orfeo, ed ha tutti gli sguardi puntati su di lui. Zeus ha un attimo di esitazione, teme che la tristezza del cantore possa essere contagiosa e guastargli la festa. Perciò usa tutte le sue arti per blandirlo, per commiserarlo, per fargli intendere che gli concede di allontanarsi, data la situazione. Ma ad Orfeo i conti non tornano più, è stanco di assecondare il volere e il disvolere degli dei. Vuole prendersi una rivincita, prima di congedarsi da loro per sempre. Ed usa non più il canto, ma parole: “Ipocriti! Risparmiatemi il vostro compianto, che accarezza mentre vorrebbe tagliare come una lama; siete solo otri gonfiati, opportunisti e meschini. Non sono venuto sin qui per elemosinare la pietà di chi si fa gioco dei destini umani e con essi si trastulla capricciosamente, ma per rivendicare l’autonomia della mia arte. Non sarò più il cantore dei vostri banchetti né il poeta ufficiale delle vostre cerimonie. Ignorerò il vostro cinismo e la vostra indifferenza e non vi sarà più menzione di voi nel mio canto!” .
Tace momentaneamente la sala, mentre il Nostro si allontana. Poi la festa riprende… più rumorosa di prima.
Post scriptum: ogni riferimento a fatti, persone e circostanze è puramente voluto!☺
È festa grande qui all’Olimpo. Afrodite ha suggerito a Zeus di indire una gara canora, con tanto di giuria, spettatori e naturalmente cantori; l’equivalente del festival di Sanremo dei tempi nostri.
Sono pronti ad esibirsi i migliori talenti, divinità e semplici mortali, ma sono ammessi anche i dilettanti; di loro c’è sempre bisogno, se non altro per farsi beffe di chi si illude di far poesia con un semplice giro di frase.
Per l’occasione il re degli dei ha impartito ordini speciali: che venga servito “il meglio” vino, ma soprattutto che di acqua non vi sia neanche l’ombra. Lo sfarzo supera ogni aspettativa: le dee sfoggiano i loro monili più belli, si lanciano occhiate furtive e sorrisi compiacenti, mentre spettegolano sugli amplessi di questa e di quella.
Anche gli dei son tutti qui assiepati, vogliosi di abbacchio e annoiati di nettare. Non vedono l’ora di metter da parte le beghe personali per addentare le prelibatezze della tavola; smaniano -come dire – dalla voglia di umanizzarsi, di cogliere l’avventuretta amorosa con la mortale di passaggio.
Ed ecco giungere finalmente anche i concorrenti, accompagnati dall’instancabile Ermes, fedele portavoce del re dell’Olimpo. Riconosciamo, tra gli altri, Trigeo, detto anche Ugola d’oro, Melampo, il duo Samia e Mirrine.
All’ingresso della sala vediamo ora accalcarsi le Ninfe esultanti di gioia per il nuovo arrivato; applausi corali, ghirlande di fiori lanciate in aria. Tra la calca si fa largo il musico con il quale ognuno teme il confronto, quello che ammalia, con la dolcezza e l’armonia del suo canto, uomini e belve: Orfeo. La sorpresa è grande; nessuno si sarebbe aspettato di vederlo qui tra noi, reduce com’è dalla perdita della sua sposa Euridice. Converrà ricordare a quanti seguono questa cronaca che il dolore di Orfeo ha inizio nel giorno più felice della sua vita: il morso letale di una vipera gli sottrae la sposa proprio durante la festa di nozze. La disperazione del giovane è smisurata, tanto che gli dei gli concedono di raggiungere l’amata nel regno dei morti. Qui il suo dolcissimo canto commuove anche la regina degli Inferi, Persefone, che gli promette, scherzo da dea, la liberazione della fanciulla: “Riprenditi Euridice, Orfeo, col mio permesso ti seguirà fino all’uscita dagli Inferi. Bada solo di non voltarti a guardarla prima di giungere alla luce”. Come se fosse facile! Sarà stato il desiderio, l’impazienza, la voglia di accertarsi che fosse proprio lei, Euridice, a seguirlo, fatto sta che Orfeo si è voltato e l’ha persa per sempre.
Ora è a Sanremo, pardon, sull’Olimpo, Orfeo, ed ha tutti gli sguardi puntati su di lui. Zeus ha un attimo di esitazione, teme che la tristezza del cantore possa essere contagiosa e guastargli la festa. Perciò usa tutte le sue arti per blandirlo, per commiserarlo, per fargli intendere che gli concede di allontanarsi, data la situazione. Ma ad Orfeo i conti non tornano più, è stanco di assecondare il volere e il disvolere degli dei. Vuole prendersi una rivincita, prima di congedarsi da loro per sempre. Ed usa non più il canto, ma parole: “Ipocriti! Risparmiatemi il vostro compianto, che accarezza mentre vorrebbe tagliare come una lama; siete solo otri gonfiati, opportunisti e meschini. Non sono venuto sin qui per elemosinare la pietà di chi si fa gioco dei destini umani e con essi si trastulla capricciosamente, ma per rivendicare l’autonomia della mia arte. Non sarò più il cantore dei vostri banchetti né il poeta ufficiale delle vostre cerimonie. Ignorerò il vostro cinismo e la vostra indifferenza e non vi sarà più menzione di voi nel mio canto!” .
Tace momentaneamente la sala, mentre il Nostro si allontana. Poi la festa riprende… più rumorosa di prima.
Post scriptum: ogni riferimento a fatti, persone e circostanze è puramente voluto!☺
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