Penelope assennata e onesta, Penelope paziente, Penelope fedele e laboriosa, Penelope la sempre saggia regina di Itaca: è questa la vera sposa di Ulisse? La rilettura in tempi moderni del poema omerico dell’Odissea tenta una rivisitazione, questa volta femminile, del mito della sposa ancella fedele, custode indiscussa del focolare domestico, per prestare voce alla donna a torto esclusa per secoli dalla storia e dalla letteratura d’Occidente, che ha preferito scegliere Ulisse come seme patriarcale.
L’Occidente ha privilegiato Ulisse e con lui il viaggio, connotando quest’ultimo come conoscenza, ma interpretando la conoscenza non tanto come relazione intima con il creato, con il creare, con se stessi, bensì come possesso, distruzione, vittoria; ha preferito ignorare, l’Occidente, che accanto al vagare senza meta di Ulisse, Omero aveva posto il permanere di Penelope, sottolineando quella qualità del mondo femminile che contrappone al vuoto del tempo e dello spazio la concretezza del vivere.
Tesse e disfa Penelope la tela, nella ricerca della sua identità di donna, nella tensione continua di sapere chi è e non che cosa ha rappresentato nel sistema sociale che ha preteso di domarla.
Ripercorre la sua storia, partendo dall’infanzia vissuta nel terrore che il padre Icario, re di Sparta, reiterasse il tentativo di farla affogare; della madre, Peribea, ricorda appena l’indifferenza e l’estraneità ai suoi problemi di adolescente; e delle prime schermaglie amorose rammenta l’invidia provata per la cugina Elena, di lei molto più esperta nell’arte della seduzione. Al matrimonio poi è stata preparata come ad un contratto: scambiata insieme a beni, ricchezze e favori, per stringere alleanze e fornire la discendenza per futuri regni. Ma il periodo più cupo e tragico della sua vita coincide, ahimè, con lo scoppio della guerra di Troia, quando si ritrova nella solitudine di Itaca. Nel frattempo, dove è finito Ulisse? Passati i primi dieci anni a guerreggiare, ne impiega per tornare altri dieci. Quanto innaturale appare oggi pensare che al suo ritorno l’eroe dal multiforme ingegno trovi ad accoglierlo la sposa tutta gineceo e telaio!
E quanto più congeniale risulta invece attribuire alla tenace e forte Penelope l’atteggiamento risentito di chi chiede finalmente la resa dei conti. Per cui, dismesse le vesti della moglie devota, lei donna che dall’attesa ha acquistato sapienza, lei stanca infine di ostentare una tranquilla fedeltà e di tollerare la leggerezza e l’imperdonabile superficialità di un uomo che le ha imposto, appena sposa, un dramma vedovile, facendola ritrovare vuota dei diritti affettivi del suo stato coniugale e piena soltanto dei doveri legali della sorveglianza del regno, lei si rivolge in toni niente affatto effusivi al redivivo coniuge, ricordandogli tutte le distrazioni, le mancanze, le incoerenze di un viaggio durato troppo a lungo.
E’ il ribaltamento del mito classico, è il congedo di una donna stanca di essere confinata nell’ambito domestico, estromessa dalla sfera dei poteri e dei saperi.
E’ l’insurrezione di Penelope che pone fine al suo mitico mutismo e prorompe con decisa fierezza nei confronti di Ulisse.
A darle voce è la ricchezza linguistica di Rosaria Lo Russo, poetessa e saggista fiorentina tra le più affermate in Italia, che ne “Il lamento di Penelope” ci propone una inedita quanto mai sconosciuta regina di Itaca:
Da vent’anni velata pattuglio questa casa
ammogliata rimasuglio di sposa obnubilata
(….)
Ogni notte scaltra sarta mi consumo nel ricordo
sfilando i teleri di un racconto
cui mai appartenni ma zitta zitta come s’usa raggomitolo la trama del ricordo
livida e raccolta tramando il tuo ritorno
la tela di un racconto che non svolsi e che non svolgo
(….)
Ma se tu ritornassi sotto mentite spoglie di figlio divino viandante bisognoso
mi sa che giro il culo e me ne vado mi sa che non ti riconosco.
Penelope assennata e onesta, Penelope paziente, Penelope fedele e laboriosa, Penelope la sempre saggia regina di Itaca: è questa la vera sposa di Ulisse? La rilettura in tempi moderni del poema omerico dell’Odissea tenta una rivisitazione, questa volta femminile, del mito della sposa ancella fedele, custode indiscussa del focolare domestico, per prestare voce alla donna a torto esclusa per secoli dalla storia e dalla letteratura d’Occidente, che ha preferito scegliere Ulisse come seme patriarcale.
L’Occidente ha privilegiato Ulisse e con lui il viaggio, connotando quest’ultimo come conoscenza, ma interpretando la conoscenza non tanto come relazione intima con il creato, con il creare, con se stessi, bensì come possesso, distruzione, vittoria; ha preferito ignorare, l’Occidente, che accanto al vagare senza meta di Ulisse, Omero aveva posto il permanere di Penelope, sottolineando quella qualità del mondo femminile che contrappone al vuoto del tempo e dello spazio la concretezza del vivere.
Tesse e disfa Penelope la tela, nella ricerca della sua identità di donna, nella tensione continua di sapere chi è e non che cosa ha rappresentato nel sistema sociale che ha preteso di domarla.
Ripercorre la sua storia, partendo dall’infanzia vissuta nel terrore che il padre Icario, re di Sparta, reiterasse il tentativo di farla affogare; della madre, Peribea, ricorda appena l’indifferenza e l’estraneità ai suoi problemi di adolescente; e delle prime schermaglie amorose rammenta l’invidia provata per la cugina Elena, di lei molto più esperta nell’arte della seduzione. Al matrimonio poi è stata preparata come ad un contratto: scambiata insieme a beni, ricchezze e favori, per stringere alleanze e fornire la discendenza per futuri regni. Ma il periodo più cupo e tragico della sua vita coincide, ahimè, con lo scoppio della guerra di Troia, quando si ritrova nella solitudine di Itaca. Nel frattempo, dove è finito Ulisse? Passati i primi dieci anni a guerreggiare, ne impiega per tornare altri dieci. Quanto innaturale appare oggi pensare che al suo ritorno l’eroe dal multiforme ingegno trovi ad accoglierlo la sposa tutta gineceo e telaio!
E quanto più congeniale risulta invece attribuire alla tenace e forte Penelope l’atteggiamento risentito di chi chiede finalmente la resa dei conti. Per cui, dismesse le vesti della moglie devota, lei donna che dall’attesa ha acquistato sapienza, lei stanca infine di ostentare una tranquilla fedeltà e di tollerare la leggerezza e l’imperdonabile superficialità di un uomo che le ha imposto, appena sposa, un dramma vedovile, facendola ritrovare vuota dei diritti affettivi del suo stato coniugale e piena soltanto dei doveri legali della sorveglianza del regno, lei si rivolge in toni niente affatto effusivi al redivivo coniuge, ricordandogli tutte le distrazioni, le mancanze, le incoerenze di un viaggio durato troppo a lungo.
E’ il ribaltamento del mito classico, è il congedo di una donna stanca di essere confinata nell’ambito domestico, estromessa dalla sfera dei poteri e dei saperi.
E’ l’insurrezione di Penelope che pone fine al suo mitico mutismo e prorompe con decisa fierezza nei confronti di Ulisse.
A darle voce è la ricchezza linguistica di Rosaria Lo Russo, poetessa e saggista fiorentina tra le più affermate in Italia, che ne “Il lamento di Penelope” ci propone una inedita quanto mai sconosciuta regina di Itaca:
Da vent’anni velata pattuglio questa casa
ammogliata rimasuglio di sposa obnubilata
(….)
Ogni notte scaltra sarta mi consumo nel ricordo
sfilando i teleri di un racconto
cui mai appartenni ma zitta zitta come s’usa raggomitolo la trama del ricordo
livida e raccolta tramando il tuo ritorno
la tela di un racconto che non svolsi e che non svolgo
(….)
Ma se tu ritornassi sotto mentite spoglie di figlio divino viandante bisognoso
mi sa che giro il culo e me ne vado mi sa che non ti riconosco.
Penelope assennata e onesta, Penelope paziente, Penelope fedele e laboriosa, Penelope la sempre saggia regina di Itaca: è questa la vera sposa di Ulisse? La rilettura in tempi moderni del poema omerico dell’Odissea tenta una rivisitazione, questa volta femminile, del mito della sposa ancella fedele, custode indiscussa del focolare domestico, per prestare voce alla donna a torto esclusa per secoli dalla storia e dalla letteratura d’Occidente, che ha preferito scegliere Ulisse come seme patriarcale.
L’Occidente ha privilegiato Ulisse e con lui il viaggio, connotando quest’ultimo come conoscenza, ma interpretando la conoscenza non tanto come relazione intima con il creato, con il creare, con se stessi, bensì come possesso, distruzione, vittoria; ha preferito ignorare, l’Occidente, che accanto al vagare senza meta di Ulisse, Omero aveva posto il permanere di Penelope, sottolineando quella qualità del mondo femminile che contrappone al vuoto del tempo e dello spazio la concretezza del vivere.
Tesse e disfa Penelope la tela, nella ricerca della sua identità di donna, nella tensione continua di sapere chi è e non che cosa ha rappresentato nel sistema sociale che ha preteso di domarla.
Ripercorre la sua storia, partendo dall’infanzia vissuta nel terrore che il padre Icario, re di Sparta, reiterasse il tentativo di farla affogare; della madre, Peribea, ricorda appena l’indifferenza e l’estraneità ai suoi problemi di adolescente; e delle prime schermaglie amorose rammenta l’invidia provata per la cugina Elena, di lei molto più esperta nell’arte della seduzione. Al matrimonio poi è stata preparata come ad un contratto: scambiata insieme a beni, ricchezze e favori, per stringere alleanze e fornire la discendenza per futuri regni. Ma il periodo più cupo e tragico della sua vita coincide, ahimè, con lo scoppio della guerra di Troia, quando si ritrova nella solitudine di Itaca. Nel frattempo, dove è finito Ulisse? Passati i primi dieci anni a guerreggiare, ne impiega per tornare altri dieci. Quanto innaturale appare oggi pensare che al suo ritorno l’eroe dal multiforme ingegno trovi ad accoglierlo la sposa tutta gineceo e telaio!
E quanto più congeniale risulta invece attribuire alla tenace e forte Penelope l’atteggiamento risentito di chi chiede finalmente la resa dei conti. Per cui, dismesse le vesti della moglie devota, lei donna che dall’attesa ha acquistato sapienza, lei stanca infine di ostentare una tranquilla fedeltà e di tollerare la leggerezza e l’imperdonabile superficialità di un uomo che le ha imposto, appena sposa, un dramma vedovile, facendola ritrovare vuota dei diritti affettivi del suo stato coniugale e piena soltanto dei doveri legali della sorveglianza del regno, lei si rivolge in toni niente affatto effusivi al redivivo coniuge, ricordandogli tutte le distrazioni, le mancanze, le incoerenze di un viaggio durato troppo a lungo.
E’ il ribaltamento del mito classico, è il congedo di una donna stanca di essere confinata nell’ambito domestico, estromessa dalla sfera dei poteri e dei saperi.
E’ l’insurrezione di Penelope che pone fine al suo mitico mutismo e prorompe con decisa fierezza nei confronti di Ulisse.
A darle voce è la ricchezza linguistica di Rosaria Lo Russo, poetessa e saggista fiorentina tra le più affermate in Italia, che ne “Il lamento di Penelope” ci propone una inedita quanto mai sconosciuta regina di Itaca:
Da vent’anni velata pattuglio questa casa
ammogliata rimasuglio di sposa obnubilata
(….)
Ogni notte scaltra sarta mi consumo nel ricordo
sfilando i teleri di un racconto
cui mai appartenni ma zitta zitta come s’usa raggomitolo la trama del ricordo
livida e raccolta tramando il tuo ritorno
la tela di un racconto che non svolsi e che non svolgo
(….)
Ma se tu ritornassi sotto mentite spoglie di figlio divino viandante bisognoso
mi sa che giro il culo e me ne vado mi sa che non ti riconosco.
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