solidarietà per i migranti
17 Aprile 2010 Share

solidarietà per i migranti

 

Quando si affronta il tema dell’immigrazione, la riflessione che accompagna lo studio del fenomeno migratorio è in genere rivolto agli aspetti economici, politici, culturali e sociali di tale fenomeno. Quasi mai siamo soliti indugiare nella considerazione delle implicazioni psicologiche che comporta la decisione di abbandonare il proprio paese; quasi mai ci soffermiamo ad indagare le mille difficoltà, le frustrazioni che il migrante affronta e subisce dolorosamente: infatti, anche nel caso che il migrante conquisti successo, ricchezza, prestigio sociale nel paese che lo ospita, egli subisce una perdita insanabile, una ferita penosa e amara che colpiscono altresì coloro che egli ha lasciato nel paese d’origine.

L’emigrazione, infatti, è anche una perdita individuale per coloro che si allontanano tristemente e per quelli che restano, letteralmente frastornati dalla traumatica separazione.

Il migrante non si lamenta mai, non dà segno quasi mai del suo eventuale disagio personale ed interiore dinanzi a forme di comportamento o ad atteggiamenti oltraggiosi e superficiali nei suoi confronti.

Quando il migrante si ferma col suo carico poderoso ed ingombrante sotto un ombrellone sulla spiaggia o per strada, sorride ed invita all’acquisto del prodotto che egli porge: non reagisce nei confronti di chi non compra o di chi poco urbanamente lo invita a ritornare al suo paese. Se solo pensassimo che sotto la fronte del migrante imperlata di sudore si nasconde una persona che ha studiato nel suo paese, che è probabilmente laureata ma che in Italia veste i panni del “vu’ cumprà”, allora saremmo più generosi verso di lui e sicuramente più rispettosi della sua persona.

Il migrante, quindi,  è silenzioso, non reagisce ad affronti o a  dileggi se non con il sorriso o con una espressione che sul suo viso dipinge lo stupore incredulo di chi ha sentimenti autenticamente rispettosi e di chi non riesce a credere alla superficialità dei borghesi benestanti; egli ha una voce che tace, che è soffocata, che riesce a dissimulare le frustrazioni vissute o gli insulti ingiustificati; se agisce così, è per non deludere le attese di chi ha lasciato a casa, che in lui, emigrato infelice, crede molto e da lui molto si aspetta.

Non tutti i migranti hanno successo; i più continuano a vivere una vita grama, non migliore di quella lasciata nel paese d’origine.

Tuttavia, pur vivendo anche per lungo tempo in tale condizione di migrante che si è arenato, questi non si accascia, sapendo bene che la sofferenza e le rinunce sono un prezzo che tutti quelli che lasciano la propria terra debbono pagare. Di qui, la consapevolezza che non si può parlare di “migrante entusiasta” o semplicemente “dominato dallo spirito di avventura”; la figura del migrante spensierato è una pura creazione mentale del piccolo borghese. Infatti, la scelta migratoria ha sempre due facce: la ricerca desiderata e speranzosa di una condizione migliore, ma anche la dolorosa fuga da una situazione di disagio, di sofferenza, di povertà generalmente estrema.

Il taglio “ombelicale” dal proprio paese e dal “nido familiare” è sempre traumatico per chi forzatamente (perseguitato politico e rifugiato in altro paese) o spontaneamente (la molla economica  contraddistingue tale scelta di vita) si allontana dal paese dove vive e dove lascia “gli affetti di amorosi sensi”; in questo caso è differente  l’“attesa” nei confronti del paese ospitante (per esempio, il rifugiato politico pretende asilo politico, mentre il migrante che cerca lavoro troverà una serie infinita di ostacoli che vanno dalle norme che regolamentano il flusso migratorio a quelle del vissuto quotidiano prevalentemente condizionato da una visione razzistica del migrante, considerato delinquente e pericoloso, di “troppo” per la collettività che lo sta ospitando), ma identiche risulteranno le sensazioni di abbandono doloroso della casa, della famiglia, degli affetti, della paese.

Nell’ambito letterario uno dei poeti che ha conosciuto la penosa e triste prova dell’emigrazione “forzata” (“esilio” politico) è Dante che descrive in modo drammaticamente chiaro il momento in cui il “navicante” dice addio alla sua gente, alla sua terra e parte sconsolato: “Era già l’ora che volge il disio/ ai navicanti e ‘ntenerisce il core/ lo dì c’han detto ai dolci amici addio;/ e che lo novo peregrin d’amore/ punge, se ode squilla di lontano/ che paia il giorno pianger che si more;/ quand’io incominciai a render vano/ l’udire e a mirare una de l’alme/ surta che l’ascoltar chiedea con mano…” , canto VIII, Purgatorio, Dante Alighieri). Anche Dino Campana,  lo vediamo dai suoi “Canti orfici”,  ha sperimentato amaramente il disagio profondo nel momento dell’abbandono della sua terra.

Inoltre, che dire, ma sorvolo rapidamente su tale questione, delle persecuzioni politiche del XX secolo, degli ostracismi e dei patimenti subiti da milioni di uomini nell’Europa fascistizzata, nell’est europeo comunista ed ex-comunista, nella Cina maoista, e,  perché non, anche in quella attuale, dove  le persecuzioni  e i tormenti sono stati (e sono) quotidianamente ossessivi ed ingiusti? 

Una considerazione amara ma oggettiva va fatta: oggi all’interno del mondo globalizzato sembra non esserci più spazio per l’uomo,  per i suoi sentimenti, per i suoi sogni, le sue speranze, le sue utopie. Questi ultimi – sogni, speranze, utopie – costituiscono per la cultura vittoriosa della globalizzazione “pesi”, “zavorra”, e vengono sostituiti dalla filosofia capitalistica con altri modelli del comportamento e dell’essere, ossia quelli dell’“edoné”, ossia del piacere smodato di contare, di essere i “primi”, gli “unici”, dell’arricchimento sfrenato individuale, della perdita di tutte le conquiste sociali che intere generazioni di giovani e non, di studenti, operai, lavoratori in genere, donne, intellettuali e gruppi di aggregazione politico-sindacale hanno conseguito.  Oggi gli uomini sono considerati non persone ma “merce”, cioè un semplice strumento nelle mani dell’imprenditoria, delle multinazionali, delle  imprese che appaiono come dei “moloch” terribili e senza volto.

Quali atteggiamenti e quali risposte pensiamo che si debbano predisporre? 

Sono ancora valide le analisi marxiste relative all’economia, alla lotta di classe, all’aggregazione politica degli emarginati, degli sfruttati, degli “ultimi” che sognano un “mondo diverso”, fondato sui principi di eguaglianza, di libertà, di giustizia, di rispetto della multiculturalità,  pur all’interno di una realtà post-moderna nella quale tutti i diritti vengono calpestati e tornano ad affacciarsi alla ribalta della cronaca quotidiana forme di disumano sfruttamento che sconfina nello schiavismo, negazione di ogni forma di umanità? risultano ancora attuali ed operative le strategie di Gandhi, di Capitini, ossia quelle forme non violente di aggregazione sociale e politica?

Sono, inoltre, ancora pertinenti ed essenziali le culture tradizionalmente capaci di valorizzare l’uomo e le sue doti creative? e la dottrina sociale della Chiesa cattolica nonché tutte le dottrine che provengono dalle molteplici confessioni religiose sono ancora credibili nel loro cammino parenetico ed escatologico? oppure siamo costretti meccanicisticamente, e direi, fatalisticamente ad accettare tale deriva ideologica di stampo minimalista e materialistico che si fonda sulla negazione valoriale delle utopie collettive, dei sogni individuali, che in fondo scrivono le pagine più belle della storia dell’uomo?

Proprio l’esperienza dolorosa del migrante oggi ci dà le risposte, ossia la convinzione di essere ancora capaci di ri-modellare una nuova stagione di umanesimo che consideri l’uomo necessario, indispensabile nel processo di conseguimento di quel clima culturale che si fondi sull’estremo rispetto dell’altro, di ciò che “l’altro” rappresenta per tutti, tenendo presente che, proprio grazie a ciò,  un mondo diverso è possibile…

Gli strumenti necessari per la risoluzione di tali presupposti sono sicuramente la scuola (dall’asilo nido all’università),  le comunicazioni di massa, le esperienze di volontariato nella convinzione profonda che questi  importanti segmenti della società sono essenziali ed unici per liberare il mondo e l’uomo dalle pastoie dei modelli neo-liberisti ossessivamente fondati sull’egoismo sfrenato e sul convincimento che chi crea ricchezza sia un soggetto eccezionale,  superomico, da imitare, costi quel che costi… ☺

bar.novelli@micso.net

 

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