sui contratti a termine
20 Febbraio 2010 Share

sui contratti a termine

Con una importante sentenza (n. 214 del 14 luglio 2009) la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di costituzionalità di una norma, introdotta con la legge 112 del 2008. Quest’ultima normativa, da applicare a tutte le cause pendenti e ai rapporti in corso alla data di entrata in vigore del decreto, in sostanza, liberalizzava la facoltà dei datori di lavoro di stipulare contratti a termine, rendendo irrisorie le sanzioni in caso di violazione dei relativi requisiti. In particolare prevedeva – in caso di accertata illegittimità dell’apposizione del termine – il pagamento di una indennità compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità a favore del lavoratore.

Ebbene, non solo la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima tale norma, ripristinando le più gravi sanzioni previste in precedenza (cioè la conversione del rapporto a tempo indeterminato nonché il risarcimento del danno), ma ha dettato un’interpretazione piuttosto rigida dei casi in cui il contratto a termine è in astratto valido.

In particolare, ci si riferisce al caso – molto frequente – in cui la causale della previsione del termine (che deve essere sempre espressa per iscritto perché il termine sia valido) è costituita da “ragioni sostitutive” (ferie, malattia, maternità, ecc.) di personale assente.

In tali casi la Corte, oltre a ribadire che l’apposizione del termine al contratto di lavoro è consentita a fronte di ragioni – oltre che di carattere tecnico, organizzativo e produttivo – anche sostitutivo (art. 1, comma 1, D.Lgs. 268/2001), ha stabilito che la norma deve essere applicata in stretta relazione con la disposizione prevedente l’inefficacia (nullità) dell’apposizione del termine qualora non siano specificate tali ragioni per iscritto (art. 1, comma 2, del decreto citato).

Ciò sta a significare che, quando un’azienda fa un contratto a tempo determinato inserendo come causale la sostituzione di lavoratori assenti, deve obbligatoriamente indicare, fin da subito, il nome del singolo lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Questo perché, afferma la Corte, solo in tal modo si può “assicurare la trasparenza e la veridicità della causale dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto di lavoro”.

L’interpretazione resa dalla Consulta con la citata sentenza non solo ha notevole importanza perché contraddice l’interpretazione sino ad ora data di questa norma dai giudici in molte sentenze, ma perché il principio è applicabile anche ai lavoratori assunti con contratto di lavoro in somministrazione.

In pratica tale pronuncia avrà ripercussioni su tutte le cause in essere e su tutti i contratti ad oggi già sottoscritti secondo il precedente orientamento nel senso che, senza l’indicazione specifica del nominativo del lavoratore da sostituire, la conseguenza sarà quella di vedersi trasformato il proprio contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato nonché a vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data di scadenza del contratto sino all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro.

Senza alcun dubbio questa è una sentenza che inevitabilmente andrà ad incidere direttamente sulla vita dei tanti lavoratori “precari” e, di riflesso, sulle loro famiglie che potranno contare, in futuro, sulla stabilità del proprio rapporto di lavoro.

Questa è la buona notizia.☺

marx73@virgilio.it

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