sussurri e grida
19 Aprile 2010 Share

sussurri e grida

 

Ti svegli una mattina  e ti accorgi di essere un giocattolo in disuso; la bambola mite, buona e anaggressiva del rude maschio guerriero ha subìto un fiero colpo, stritolata dalla violenza quotidiana di un sistema che cambia bandiera ma non sostanza, esibita nei salotti televisivi, messa all’angolo in questo precipitare verso una società dove si impone con le armi lo stile del più forte, riducendo il debole a mero mercato.

Ti svegli una mattina e prendi coscienza che la mercificazione della vita frantuma gli equilibri; a nulla è valso dunque coltivare nel tempo, nel cuore degli uomini radici profonde di benessere e di serenità? Inutile è stato combattere per il riconoscimento della “differenza” come valore e non come causa di emarginazione? Vano è stato impegnarsi nel distinguo tra “parità” e adeguamento agli stereotipi maschili?

Ti svegli una mattina e percepisci che il femminismo non è più una pratica di modificazione di sé e del mondo. E ti interroghi sul suo inspiegabile silenzio a proposito di questioni come la legge sulla fecondazione assistita, l’aumento della violenza sulle donne, l’invecchiamento, la malattia, la morte, la condizione delle donne straniere che vivono nelle nostre case.

E ti chiedi allora: Esiste oggi fuori dalla fiction e dalla fiaba la diversità femminile?

Dov’è finita la forza, la tenacia, la creatività, la capacità di resistenza delle donne? Di quelle donne che non hanno avuto timore di  trasformare e metabolizzare l’immagine antica di angelo del focolare per incontrarsi con la sconosciuta nuova donna forte, capace anche di felicità autonoma?  Di quelle che hanno lottato per il riconoscimento dei loro diritti? Di quelle che non si sono lasciate irretire nell’idea di dover limitarsi alla casa e alla famiglia, avulse dalla realtà, dal resto del mondo, come se il mondo non influisse su tali dimensioni e da quei luoghi esse non influissero sul mondo?

Che ne è di quelle donne libere dalla necessità prettamente maschile di stabilire gerarchie, di distinguere tra vecchie e giovani, belle e brutte, ricche e povere, di quelle donne fluide come l’acqua in gabbia: “acqua nell’acqua” sostenevano le femministe degli anni ’80?

Quanto lontana appare allora dal concetto di differenza la nostra cultura occidentale, tuttora incapace di accogliere, oltre la diversità fisica tra maschile e femminile, anche la differenza di identità nel modo di percepire l’esistenza! Quanto rimane tipico della cultura maschile l’imporre la presenza del diverso senza mai accompagnarla all’apprezzamento della diversità e al confronto con essa! Da sempre i “diversi” hanno costituito una minaccia, perché considerati negativi e portatori di caratteristiche da nascondere, sottomettere, eliminare. E tra i diversi: le donne. La storia e la cultura hanno ostacolato e ostacolano ancora oggi lo specifico femminile, negando valore alla positività delle differenze.

Eppure quanta forza nella leggendaria marcia delle madri di Plaza de Maio! La lotta per loro ha inizio quando i figli cominciano a sparire. Diventano una presenza eloquente, una protesta silenziosa e perseverante, il segnale  dell’assenza dell’etica nella vita pubblica. Quanto più il regime le considera una “scomoda” presenza, tanto più esse scendono in piazza a testimoniare che l’etica supera il discorso e si fa vita. Il loro monito è riaffermare che è possibile partecipare al  cambiamento della società valorizzando proprio la differenza di genere, rifiutando ogni discriminazione e subalternità.

Le madri dagli occhi stanchi di piangere comprendono di essere portatrici di un potere speciale: quello della determinazione per raggiungere un risultato, quello di lottare contro le avversità per mantenere vivi i propri valori.

 Las locas, le pazze, le chiamò il potere; sono le madri che si riappropriarono della  vita per svolgere un lavoro politico di un’incredibile lucidità, concretezza, efficacia, capace di generare  un’etica della responsabilità nella quale poter sperimentare il passaggio da soggetto passivo a soggetto attivo della storia.

Le madri scendono in piazza anche oggi: chiedono che i loro figli possano frequentare scuole sicure, che al termine degli studi sia loro consentito di accedere ad un lavoro dignitoso, alzano la voce per denunciare e dimostrano con la loro azione di non voler essere complici, di non essere disposte a mentire, di non voler restare cieche. In un’attualità così inquieta e difficile il contributo femminile appare una ricchezza forse decisiva per ricostituire un tessuto sociale smagliato, una società da umanizzare nelle sue trame di reciprocità, di dialogo, di solidarietà. ☺

 

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