terremoto e recessione
13 Aprile 2010 Share

terremoto e recessione

 

La crisi finanziaria che affligge tutti i “mercati” del mondo avrà riflessi, nei prossimi mesi, sul sistema economico dei paesi sviluppati, provocando un cambiamento epocale di cui si sconosce l’esito: questo in sintesi è ciò che affermano tutti gli esperti del settore. Recessione è il termine più evocato in questi giorni, che tradotto in pratica significa meno consumi, meno crescita, meno lavoro: in abbondanza avremo solo la povertà. Questo è quanto accadde anche all’inizio del secolo scorso con una situazione economica simile a quella attuale; oltre alla fame, non dimentichiamolo, portò anche la guerra.

Il capitalismo senza regole è sostanzialmente finito e la finanza creativa, quella che trasformava i debiti in crediti, è demonizzata anche da chi ieri ne aveva profetizzato i vantaggi e oggi scrive libri contro la globalizzazione. Lo stesso Presidente del Consiglio, noto per il suo ottimismo, non parla più di deregulation; scopre solo oggi il valore e la forza dello Stato, fino a ieri considerato fardello, intralcio alla realizzazione del “paradiso” in terra; il suo modello economico è saltato in aria e lui, invece di ritirarsi in convento a meditare, si incarica di curare il fallimento con terapie che ha sempre disprezzato: l’intervento dello Stato nella cura dell’economia.

Dov’è finito il progetto politico della destra? Dove sono finiti quelli che gridavano “meno Stato e più mercato”?

Dopo essere intervenuto a favore dei banchieri con lauti aiuti e scarsi risultati, nei prossimi giorni il “nostro” dovrà necessariamente rivolgersi a quelli che di soldi non ne hanno, ma che sono la vera ricchezza del Paese, ai lavoratori che già navigavano nella nebbia fitta, per chiedere loro ulteriori sacrifici: con quali credenziali? La legge Biagi? Il lodo Alfano? Il decreto Gelmini? La mozione sulle classi separate per gli alunni stranieri?

Un Paese così diviso non è nelle condizioni di risolvere problemi piccoli, figuriamoci poi se chi ci chiede di stringere la cinghia è uno che naviga nell’oro.

A detta di molti economisti, situazioni cosi gravi vanno affrontate aumentando il debito pubblico con massicci interventi dello Stato nell’economia così da sostenere occupazione e consumi con conseguente aumento delle entrate fiscali, in mancanza delle quali il debito crescerebbe ugualmente senza alcun giovamento.

Nella nostra regione intanto si fa giusto il contrario: si aumenta la spesa pubblica non per investire in opere pubbliche o private, ma semplicemente per sistemare amici e compari nel consiglio regionale. Oggi, più che mai, sarebbe il caso di finanziare la ricostruzione pubblica e privata nelle zone terremotate, oltre che intervenire con maggiori risorse nell’economia dell’intera regione, appunto per aiutare la crescita, l’occupazione e i consumi non degli amici ma di tutti i cittadini molisani.

È di qualche giorno fa la notizia che i Sindaci del cratere si accingono a chiedere al governo centrale, per il tramite del Commissario Iorio, provvedimenti atti all’abbattimento di tributi e contributi non versati allo Stato, pur essendo consapevoli che detti provvedimenti sono del tutto insufficienti a sostenere l’attuale situazione. Il nodo è arrivato al pettine, l’interlocutore più vicino al cittadino è il Sindaco che non se la può cavare con un semplice “c’è la recessione e il cavaliere non ci da i soldi per ricostruire” perché è l’esatto contrario. Se per i banchieri si sono trovati 40 miliardi di euro, e non 40 miliardi di anni di carcere, come sarebbe stato giusto, perché per le persone oneste non si trova un centesimo di euro, considerato che nei prossimi anni ci saranno 15 milioni di poveri a causa dell’arcinota finanza creativa?

È noto ormai a tutti che se il governo non finanzierà gli interventi di ricostruzione, avviata solo dopo sei anni dall’evento, molte imprese porteranno i libri contabili in Tribunale e moltissimi lavoratori rimarranno senza lavoro. Altro che recessione: qui ci sarà il deserto. ☺

 

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