un esercito di comunicatori
18 Aprile 2010 Share

un esercito di comunicatori

 

E’ opinione assai diffusa considerare la pura attività di vendita come attività lavorativa di rango inferiore. Questo perché spesso si sorvola su quanto sono importanti, in ogni settore, le competenze tecniche tanto per conquistare i clienti nel breve termine quanto per fidelizzarli nel lungo periodo. Ma molto spesso sia il breve termine ed ancor di più il lungo periodo lasciano entrambi il passo alla necessità delle imprese di “fare risultati nell’immediato”. Ed è proprio in questa frequente circostanza che le aziende si rifugiano nelle mani di “abili venditori” che sanno ben mascherare, con una pronta dialettica, le loro carenti conoscenze tecniche: il tutto a discapito della tanto inneggiata centralità del cliente. Per queste ed altre motivazioni, i lavoratori in genere ambiscono a ruoli più tranquilli come quelli di pianificazione, amministrazione, controllo e nonostante la consapevolezza dell’importanza che una rete di vendita ha all’interno di ciascun complesso aziendale, sperano sempre di non farne attivamente parte. Ma se da un lato quei ruoli manageriali, nel loro essere puri “centri di costo”, sono ben circoscritti a poche teste, da un altro lato la produttività aziendale viene riposta a pieno titolo nelle mani di un “esercito di venditori” che, per non sentirsi professionalmente sviliti, vengono ribattezzati “consulenti di vendita” o più semplicemente “commerciali”.

Per quanto accennato finora, accade spesso che nelle trattative di vendita ci siano  delle asimmetrie informative tra venditori e compratori e che alla fine il problema tocca anche valori quali etica e coscienza. Questi sono valori che l’uomo occidentale europeo ha sviluppato e maturato in tempi lunghi, secondo una linea di progresso graduale e meditata caratterizzata tanto dall’agire quanto dal pensare. D’altro canto, nei paesi più moderni quali gli Stati Uniti, la necessità di doversi adattare subito ad un contesto nuovo e veloce ha fatto sì che l’esser “bravi venditori” è sempre stato un motivo di grande vanto professionale. Secondo un’ottica Darwiniana, ci dobbiamo infatti calare in una società multietnica figlia dell’istinto di sopravvivenza che ha spinto gli emigrati a partire per l’ignoto e a costruire, con o senza regole, quel nuovo mondo che ora vediamo. In analoghe circostanze appare evidente che c’è poco da pensare, c’è poco da scegliere un lavoro. C’è solo da fare e qualche manager direbbe “c’è solo da vendere!”.

Vendere per soddisfare i bisogni altrui. Ma la parola d’ordine è da tempo diventata “comunicare”, per creare nuovi bisogni e sollecitare nuovi modelli di consumo, quindi per vendere ancora di più e soprattutto al più presto. E in questo la tecnologia, sempre più diffusa e a portata di tutti, consente al produttore di “parlare” al consumatore in tempi sempre più ridotti e marginali. Siamo ormai circondati da un “esercito di comunicatori” che ci attacca da tutti i fronti: ci distoglie dalla guida con display luminosi appesi sui palazzi, ci martella con slogan e filastrocche alla radio, ci intasa di volantini la cassetta della posta (per non parlare delle email in posta elettronica!), ci entra direttamente dentro casa con tv ed internet. Ma se la comunicazione, come attività propedeutica, corre velocissima sul filo della tecnologia, la vendita resta invece più lenta in quanto ancorata a tempi di produzione di beni o erogazione di servizi (si pensi alla ben pubblicizzata adsl la cui copertura è ancora inefficiente su parte del territorio nazionale). D’altro canto la comunicazione, sia per la generalità intrinseca dei suoi messaggi sia per voler sempre trasmettere perfezione, può lasciare ampi spazi all’immaginazione e fomentare nei consumatori attese sovradimensionate. Il rischio in questo caso diventa quello di creare bisogni che restano “aspettative insoddisfatte” per un consumatore oggi più attento ed esigente. Quindi affinché il binomio comunicare-vendere sia fattore di successo è necessario che l’azienda sia in grado di assicurare una fruizione adeguata e tempestiva di ogni sua produzione, altrimenti si finisce per comunicare quello che poi sarà un mancato prodotto o un prevedibile disservizio. Queste inefficienze si rivelano un puro disagio-costo per il consumatore, un rinnegare quel principio fondamentale della soddisfazione del cliente da cui il marketing parte e ritorna sempre.

Ma se “comunicare per vendere” è ormai un imperativo per chi produce, in modo del tutto complementare “informarsi per comprare” è determinante per chi acquista, e non solo. Sfruttare al massimo l’informazione disponibile sul mercato per effettuare scelte efficienti è elemento critico per un sistema economico di matrice monetarista quale quello europeo. Infatti i Governatori Centrali vedono nel contenimento dei prezzi (controllo dell’inflazione) l’elemento cardine per il raggiungimento di obiettivi macroeconomici e di benessere sociale: più concorrenza equivale a più competizione, a riduzione dei prezzi in favore dei consumatori, della domanda interna e della stessa crescita europea. In questa impostazione i Governi Nazionali non sono più “attori principali” ma soltanto degli “scenografi” che delineano una cornice di regole ed incentivi (anti-trust, liberalizzazioni ecc.) entro cui i singoli agenti economici, produttori e consumatori, sono poi chiamati a muoversi. E se questi ultimi non fossero adeguatamente incentivati? E soprattutto se fattori, quali crisi ed incertezza, frenassero ed inibissero il loro agire? In queste condizioni, non sempre estranee alle congiunture economiche, è evidente che un sistema concorrenziale, tanto auspicato e lento da costruire, può rimanere una bellissima cornice senza quadro, un modello teorico-perfetto solo da studiare. Quindi, comunicare per vendere e ancor di più informarsi per comprare. Provare per credere. ☺

 

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