un intrico di vissuto      di Luciana Zingaro
28 Febbraio 2012 Share

un intrico di vissuto di Luciana Zingaro

 

“Il regionale Campobasso-Termoli delle ore 6.48 è in partenza dal primo binario”. Recita una voce calda ma impostata, dizione toscaneggiante, perfetta. I passeggeri sulla banchina, pochi, sempre gli stessi, intorpiditi dal sonno strizzano gli occhi: e, voilà, il treno non c’è.

Scene di ordinario pendolarismo su e giù per le ferrovie del Molise.

Ad maiora, se pare: “Si avvisano i signori viaggiatori che il treno regionale Campobasso-Termoli delle ore 6.48 è in ritardo di un ritardo indefinito”. Gulp! I soliti passeggeri, di nuovo intontiti, si scrutano a vicenda e zitti stavolta drizzano le orecchie. Un dettato così impeccabile ad incorniciare un messaggio tanto dissennato: certo colpa dei signori viaggiatori, essendo ancora assopita la loro capacità di attribuire significati congrui alle parole. Invece no, tant’è. L’adagio si ripete, ad ascoltare meglio lievemente stizzoso, nonché sobrio come d’uso, e il ritardo è invariabilmente “un ritardo indefinito”, tale lo slancio della fantasia di Leopardi. Peccato si tratti di  ferrovie, vagoni e locomotrici, ovvero per costituzione di partenze e arrivi fondati su coincidenze ed orari, in cui anche la casualità dell’imprevisto andrebbe cronometrata. Eppure. Poi sicuro, si dà che tra scongiuri e sospiri di sollievo dei signori viaggiatori il treno parta puntuale, proceda presto e lesto, arrivi all’orario previsto, felici e contenti tutti, mal che vada intirizziti, perché il riscaldamento non ne ha voluto sapere; e si può dare che il treno parta puntuale, proceda presto e lesto, fino alla fatidica stazione di coincidenza col treno proveniente da direzione opposta, e la macchina si arresta. L’attesa è variabile: dieci, quindici, venti minuti, un’ora e mezza, poco importa. Il ferroviere di turno si affaccia dalla cabina di guida, annuncia il contrattempo ad occhi bassi e, tra il pudico e il timoroso, richiude velocemente dietro di sé la porta, onde evitare l’assalto dell’utenza ormai accanita, vede bene lui.

Perché la tristezza dello sfascio della ferrovia molisana – ma la cronaca dice lo stesso di molte delle ferrovie regionali italiane – è che, oltre al resto, scatena un’inutile guerra tra poveri: i pendolari, morsi dall’ansia di arrivare tardi sul lavoro o dall’angoscia di non arrivare più a casa, e i ferrovieri, manovalanza esecutrice di una dirigenza metafisica, magari colpevoli di un certo laissez-faire, ma ligi al dovere e buttati lì a fronteggiare con un’alchimia improbabile di impegno, competenza e carrozze rotte il cattivo funzionamento di un sistema ferroviario alla deriva e ad imbastire per la clientela esigua quanto fedele una serie di giustificazioni campate in aria per un disservizio che loro mai vorrebbero. Guai comunque a contattare il dirigente ingegnere incaricato: lui biascia sintagmi confusi, si dice ignaro di ogni che, si innervosisce fuor di misura e sbatte altero il telefono in faccia, o rimanda a vertici di responsabilità ancor più alti che se medesimo, puta caso il comandante in capo della stazione ferroviaria di Bari, cui ormai da qualche anno è stata differita la gestione delle linee ferroviarie molisane.

La rovina delle ferrovie molisane è per ogni dove, nulla cambia se ci si muove in direzione Roma o, manco a dirlo, Napoli: pochi, sempre meno, gli utenti e disastroso il servizio, un cane che si morde la coda, datosi che l’utenza, frequentandolo, migliora il servizio e il servizio ben fatto nutre l’utenza, la moltiplica.

Chiaro che è una rovina programmata e perseguita con tenacia: mentre si descrivono mirabolanti TAV e si studiano treni e tratte ad alta velocità sulla rete nazionale e meglio internazionale, tanto costose da essere accessibili ad un minimo di cittadini, le ferrovie regionali sono delegate alle rispettive amministrazioni, come gli sciagurati che si trovino costretti ad usarne. Qui in Molise nella fattispecie contro ogni valutazione di tipo ambientalista ed ecologista, contro ogni attitudine alla solidarietà sociale, contro ogni logica economica che si fondi sulla parsimonia ed il rigore borghese, anziché sullo sperpero bizantino, si è deciso che la ferrovia no: perché non consuma ad oltranza benzina, quindi poveri i cartelli del monopolio di carburante, cui si deve essere lacchè; perché non deturpa il paesaggio quanto una autostrada, quindi poveri gli amici dell’imprenditoria edile e gli addetti allo sfascio di colli e crinali; perché trasporterebbe efficacemente uomini e merci, quindi povera la consorteria delle autolinee private; perché i lavoratori, considerato il rapporto costo-servizio vi si troverebbero molto bene, quindi poveri i vip, che loro al festival della zampogna a Scapoli ci vanno in auto blu (visto coi miei occhi) e un domani, chissà, potrebbero arrivarci via TAV previo breve tour della Provenza o a mezzo di apposita aerolinea in partenza da Campochiaro con sosta panoramica in volo sulle vette del Matese.

Mi dispiace cogliere anche nel caso delle ferrovie il declino della nostra regione che, forse gli amministratori e politici attuali non sanno o preferiscono ignorare, se ha accennato uno sviluppo culturale e una visibilità economica, lo ha potuto anche grazie al contributo della rete ferroviaria regionale, voluta da conterranei illustri e lungimiranti. Mi dispiace ancor più per via di un sentimento affatto personale, perché ho sempre amato i treni, quei vagoni vagamente ondeggianti dove siedi sereno e disimpegnato e ora guardi dal finestrino per scoprire  il paesaggio, ora leggi, ora chiacchieri col dirimpettaio, e poi mi fanno simpatia i ferrovieri con quel loro berretto rigido, burberi e servizievoli, e, ancora, per me il treno è un intrico di vissuto, di ricordi, di affetti: dalle traversate dell’Adria- tica sul diretto Lecce-Milano su strapuntini striminziti a mangiare panini al prosciutto salatissimi, che la sete me la portavo fino a Milano Centrale, ai viaggi di ritorno da Roma ai tempi dell’università, quando a vedere dal finestrino il Matese e quei paesini abbarbicati lungo le falde dei monti mi sentivo finalmente a casa, alle prime esperienze da pendolare lungo la linea Campobasso-Termoli, mentre mi incantavo attraversando la distesa di natura incontaminata e struggente che è tra Matrice e Casacalenda, e tuttora mi succede ogni giorno.

Una chicca di ironia, così per sdrammatizzare, dal Giornalino di Giamburrasca, lettura indimenticabile; Giannino, deciso a fuggire di casa e a rifugiarsi dalla zia Bettina, va alla stazione per prender il treno, fa il suo bel biglietto, quindi, rapito da una delle consuete idee birbone, decide di salire nella garitta dei frenatori anziché nel vagone viaggiatori; il capostazione che lo scopre, arrabbiatissimo, gli ingiunge il pagamento di tre biglietti di terza classe e la trasgressione per aver viaggiato in una garetta riservata al personale e Giannino di rimando tra sé: “Io avrei voluto rispondere che questa era una ladronería bella e buona. Come! Mentre le ferrovie avrebbero dovuto per giustizia rifare un tanto a me che mi ero adattato a viaggiare peggio delle bestie, che almeno viaggiano al coperto, mi si faceva invece pagare per tre?”. Che grandi talora i bambini!

A presto. ☺

LucianaZingaro@libero.it

 

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