Le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia ci invitano ad un approfondimento delle ragioni e delle stagioni dell’evento unitario. Non si avverte un grande entusiasmo attorno alla ricorrenza. Il movimento leghista continua a contestarne il valore, nel rifiuto tenace dei simboli e dell’inno nazionale, mentre non nasconde di caldeggiare l’attesa della secessione, minacciata con le armi, ma tenacemente perseguita con il progetto federale. Risulta paradossale che l’Italia sia stata unita con armi, imponendo sanguinose ed inutili stragi a quanti vi si ribellarono e si prepari, oggi, ad essere separata per leggi, concepite da chi nel federalismo vede solo la tutela di sé e dei propri interessi economici.
Le celebrazioni ufficiali si snodano animate e caldeggiate soprattutto dai presidenti della Repubblica, mentre i governi, presi dalla rincorsa delle strettoie di una economia speculativa che detta l’agenda alla politica ed impone la rimessa in discussione delle cosiddette conquiste civili, legislative, istituzionali, sono in tutt’altre faccende affaccendati. Sembra che dal livello locale a quello regionale e nazionale occorra difendersi dalla politica perché in essa non si intravvede la spinta propulsiva verso un futuro possibile che non sia solo per pochi. La fatica del presente storico non induce l’animo a celebrazioni trionfalistiche. Il dibattito, invece, verte molto sul declino e sulla decadenza dell’Italia per cui ci si interroga: celebrare che cosa? Il linguaggio ricorrente composto da parole negative come “tagliare, ridurre, eliminare” ecc. si vorrebbe che producesse, miracolosamente, un effetto positivo senza però rimettere in cantiere anche le parole positive quali “tutelare, promuovere, valorizzare, sostenere, aiutare” ecc.
Una stagione di nuovi studi storici, soprattutto nell’ultimo ventennio, scava a ritroso le ragioni dell’unità e il modo con cui essa avvenne, rivisitando la narrazione della storia risorgimentale. Generata da una guerra è rimasta la narrazione dei vincitori che giudicano i vinti. Ritorna alla luce un passato “omesso” dalla storiografia ufficiale che restituisce dignità alla memoria dei vinti, fino a suggerire uno spirito di rivalsa che si interroga se convenga al sud rimanere in un’Italia unita in tal modo da un secolo e mezzo.
Il contesto più ampio, europeo e mondiale, ci offre la sensazione di un triplice declino in cui sono collocate quelle aree geografiche, popoli e nazioni racchiusi nel cosiddetto mondo occidentale: un declino cosmico, economico, religioso.
Declino cosmico, nel senso di un mondo invecchiato, a rischio di distruzione o comunque di incapacità di futuro, per le sue popolazioni. Con più consapevolezza di ieri si scoprono le radici ingiuste o comunque insostenibili, per gli uomini e per la terra, del modello di sviluppo fino ad oggi vissuto. Cambiare rotta richiede coraggio, virtù oggi molto disprezzata.
Declino economico, divenuto una vera ossessione in quanto avvertito solo nella dimensione della paura, del timore delle economie emergenti dei paesi del sud la cui crescita è ormai avvertita come minaccia al nostro benessere e alla nostra stessa esistenza. Emerge con limpidezza la ipocrisia dei vari G8 o G20 chiusi in autotutela, incapaci di negoziare un comune cammino con i nuovi soggetti.
Declino religioso, tema così presente nel dibattito risorgimentale, tanto come contrasto laico al potere della chiesa cattolica in Italia, quanto come ragione profonda dello stesso risorgimento. Prima che fosse compiuta l’unità d’Italia essa fu una vera religione profonda delle élite minoritarie, movimentiste e prevalentemente laiche che animarono il risorgimento. Una stagione di atei devoti all’interno del circuito religioso o di idolatri nel circuito laico e religioso ha cancellato la passione per ciò che è speranza comune rinserrando il piccolo recinto degli interessi individuali.
L’Italia, uno dei paesi capitalisti avanzati, risulta oggi uno dei più diseguali per distribuzione della mole della ricchezza. Qualunque repubblica democratica trova in questo un criterio di valutazione cruciale; il disagio della nazione è proporzionale a tale divario.
Come è avvenuta, quali le ragioni dell’unità ancora valide per il futuro, quali le paure da superare ma anche quali le vie da intraprendere, sono alcune delle domande che vorremmo percorrere perché il celebrare non sia inutile e sterile rito, ma rinnovata scoperta delle ragioni, forse anche tradite, che l’unità avrebbe potuto e potrà ancora offrire. ☺
Le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia ci invitano ad un approfondimento delle ragioni e delle stagioni dell’evento unitario. Non si avverte un grande entusiasmo attorno alla ricorrenza. Il movimento leghista continua a contestarne il valore, nel rifiuto tenace dei simboli e dell’inno nazionale, mentre non nasconde di caldeggiare l’attesa della secessione, minacciata con le armi, ma tenacemente perseguita con il progetto federale. Risulta paradossale che l’Italia sia stata unita con armi, imponendo sanguinose ed inutili stragi a quanti vi si ribellarono e si prepari, oggi, ad essere separata per leggi, concepite da chi nel federalismo vede solo la tutela di sé e dei propri interessi economici.
Le celebrazioni ufficiali si snodano animate e caldeggiate soprattutto dai presidenti della Repubblica, mentre i governi, presi dalla rincorsa delle strettoie di una economia speculativa che detta l’agenda alla politica ed impone la rimessa in discussione delle cosiddette conquiste civili, legislative, istituzionali, sono in tutt’altre faccende affaccendati. Sembra che dal livello locale a quello regionale e nazionale occorra difendersi dalla politica perché in essa non si intravvede la spinta propulsiva verso un futuro possibile che non sia solo per pochi. La fatica del presente storico non induce l’animo a celebrazioni trionfalistiche. Il dibattito, invece, verte molto sul declino e sulla decadenza dell’Italia per cui ci si interroga: celebrare che cosa? Il linguaggio ricorrente composto da parole negative come “tagliare, ridurre, eliminare” ecc. si vorrebbe che producesse, miracolosamente, un effetto positivo senza però rimettere in cantiere anche le parole positive quali “tutelare, promuovere, valorizzare, sostenere, aiutare” ecc.
Una stagione di nuovi studi storici, soprattutto nell’ultimo ventennio, scava a ritroso le ragioni dell’unità e il modo con cui essa avvenne, rivisitando la narrazione della storia risorgimentale. Generata da una guerra è rimasta la narrazione dei vincitori che giudicano i vinti. Ritorna alla luce un passato “omesso” dalla storiografia ufficiale che restituisce dignità alla memoria dei vinti, fino a suggerire uno spirito di rivalsa che si interroga se convenga al sud rimanere in un’Italia unita in tal modo da un secolo e mezzo.
Il contesto più ampio, europeo e mondiale, ci offre la sensazione di un triplice declino in cui sono collocate quelle aree geografiche, popoli e nazioni racchiusi nel cosiddetto mondo occidentale: un declino cosmico, economico, religioso.
Declino cosmico, nel senso di un mondo invecchiato, a rischio di distruzione o comunque di incapacità di futuro, per le sue popolazioni. Con più consapevolezza di ieri si scoprono le radici ingiuste o comunque insostenibili, per gli uomini e per la terra, del modello di sviluppo fino ad oggi vissuto. Cambiare rotta richiede coraggio, virtù oggi molto disprezzata.
Declino economico, divenuto una vera ossessione in quanto avvertito solo nella dimensione della paura, del timore delle economie emergenti dei paesi del sud la cui crescita è ormai avvertita come minaccia al nostro benessere e alla nostra stessa esistenza. Emerge con limpidezza la ipocrisia dei vari G8 o G20 chiusi in autotutela, incapaci di negoziare un comune cammino con i nuovi soggetti.
Declino religioso, tema così presente nel dibattito risorgimentale, tanto come contrasto laico al potere della chiesa cattolica in Italia, quanto come ragione profonda dello stesso risorgimento. Prima che fosse compiuta l’unità d’Italia essa fu una vera religione profonda delle élite minoritarie, movimentiste e prevalentemente laiche che animarono il risorgimento. Una stagione di atei devoti all’interno del circuito religioso o di idolatri nel circuito laico e religioso ha cancellato la passione per ciò che è speranza comune rinserrando il piccolo recinto degli interessi individuali.
L’Italia, uno dei paesi capitalisti avanzati, risulta oggi uno dei più diseguali per distribuzione della mole della ricchezza. Qualunque repubblica democratica trova in questo un criterio di valutazione cruciale; il disagio della nazione è proporzionale a tale divario.
Come è avvenuta, quali le ragioni dell’unità ancora valide per il futuro, quali le paure da superare ma anche quali le vie da intraprendere, sono alcune delle domande che vorremmo percorrere perché il celebrare non sia inutile e sterile rito, ma rinnovata scoperta delle ragioni, forse anche tradite, che l’unità avrebbe potuto e potrà ancora offrire. ☺
Le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia ci invitano ad un approfondimento delle ragioni e delle stagioni dell’evento unitario. Non si avverte un grande entusiasmo attorno alla ricorrenza. Il movimento leghista continua a contestarne il valore, nel rifiuto tenace dei simboli e dell’inno nazionale, mentre non nasconde di caldeggiare l’attesa della secessione, minacciata con le armi, ma tenacemente perseguita con il progetto federale. Risulta paradossale che l’Italia sia stata unita con armi, imponendo sanguinose ed inutili stragi a quanti vi si ribellarono e si prepari, oggi, ad essere separata per leggi, concepite da chi nel federalismo vede solo la tutela di sé e dei propri interessi economici.
Le celebrazioni ufficiali si snodano animate e caldeggiate soprattutto dai presidenti della Repubblica, mentre i governi, presi dalla rincorsa delle strettoie di una economia speculativa che detta l’agenda alla politica ed impone la rimessa in discussione delle cosiddette conquiste civili, legislative, istituzionali, sono in tutt’altre faccende affaccendati. Sembra che dal livello locale a quello regionale e nazionale occorra difendersi dalla politica perché in essa non si intravvede la spinta propulsiva verso un futuro possibile che non sia solo per pochi. La fatica del presente storico non induce l’animo a celebrazioni trionfalistiche. Il dibattito, invece, verte molto sul declino e sulla decadenza dell’Italia per cui ci si interroga: celebrare che cosa? Il linguaggio ricorrente composto da parole negative come “tagliare, ridurre, eliminare” ecc. si vorrebbe che producesse, miracolosamente, un effetto positivo senza però rimettere in cantiere anche le parole positive quali “tutelare, promuovere, valorizzare, sostenere, aiutare” ecc.
Una stagione di nuovi studi storici, soprattutto nell’ultimo ventennio, scava a ritroso le ragioni dell’unità e il modo con cui essa avvenne, rivisitando la narrazione della storia risorgimentale. Generata da una guerra è rimasta la narrazione dei vincitori che giudicano i vinti. Ritorna alla luce un passato “omesso” dalla storiografia ufficiale che restituisce dignità alla memoria dei vinti, fino a suggerire uno spirito di rivalsa che si interroga se convenga al sud rimanere in un’Italia unita in tal modo da un secolo e mezzo.
Il contesto più ampio, europeo e mondiale, ci offre la sensazione di un triplice declino in cui sono collocate quelle aree geografiche, popoli e nazioni racchiusi nel cosiddetto mondo occidentale: un declino cosmico, economico, religioso.
Declino cosmico, nel senso di un mondo invecchiato, a rischio di distruzione o comunque di incapacità di futuro, per le sue popolazioni. Con più consapevolezza di ieri si scoprono le radici ingiuste o comunque insostenibili, per gli uomini e per la terra, del modello di sviluppo fino ad oggi vissuto. Cambiare rotta richiede coraggio, virtù oggi molto disprezzata.
Declino economico, divenuto una vera ossessione in quanto avvertito solo nella dimensione della paura, del timore delle economie emergenti dei paesi del sud la cui crescita è ormai avvertita come minaccia al nostro benessere e alla nostra stessa esistenza. Emerge con limpidezza la ipocrisia dei vari G8 o G20 chiusi in autotutela, incapaci di negoziare un comune cammino con i nuovi soggetti.
Declino religioso, tema così presente nel dibattito risorgimentale, tanto come contrasto laico al potere della chiesa cattolica in Italia, quanto come ragione profonda dello stesso risorgimento. Prima che fosse compiuta l’unità d’Italia essa fu una vera religione profonda delle élite minoritarie, movimentiste e prevalentemente laiche che animarono il risorgimento. Una stagione di atei devoti all’interno del circuito religioso o di idolatri nel circuito laico e religioso ha cancellato la passione per ciò che è speranza comune rinserrando il piccolo recinto degli interessi individuali.
L’Italia, uno dei paesi capitalisti avanzati, risulta oggi uno dei più diseguali per distribuzione della mole della ricchezza. Qualunque repubblica democratica trova in questo un criterio di valutazione cruciale; il disagio della nazione è proporzionale a tale divario.
Come è avvenuta, quali le ragioni dell’unità ancora valide per il futuro, quali le paure da superare ma anche quali le vie da intraprendere, sono alcune delle domande che vorremmo percorrere perché il celebrare non sia inutile e sterile rito, ma rinnovata scoperta delle ragioni, forse anche tradite, che l’unità avrebbe potuto e potrà ancora offrire. ☺
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