Per farmi perdonare di aver suggerito nei mesi scorsi due libri che insieme contavano quasi ottocento pagine, propongo questa volta un libretto smilzo, ma succosissimo. È Tre modi di vedere il Sud, di Franco Cassano (Il Mulino, 10 €). Cassano è un sociologo (deputato per il Pd) nato ad Ancona, docente a Bari, noto soprattutto per il suo Il pensiero meridiano (tradotto in inglese, francese, tedesco e giapponese), il cui nucleo concettuale si ritrova nel volume qui presentato.
La lettura di questo saggio mi sembra tanto più utile – e forse urgente – perché il Governo italiano, notoriamente malato di “annuncite”, ha avuto una ricaduta: un Piano per il Sud, sbandierato – proprio mentre sto scrivendo – dal premier twittatore. Pagine e pagine, parole su parole, senza uno straccio di visione strategica, senza un’assunzione di responsabilità né per i “vincoli” che bloccano le caviglie del Mezzogiorno (criminalità, infrastrutture, trasporti ecc.) né per le potenzialità annidate nelle sue risorse. Cassano invece procede pacatamente, quasi con pazienza didascalica, e gli lascio volentieri la parola: “La confusione nella discussione sul Sud italiano in questi anni è stata sicuramente grande”, tanto da giungere a dichiarare la scomparsa della questione meridionale (come avvenne durante il Ventennio).
Il fatto è che “ci sono più modi di leggere il Sud e … le differenze non sono sfumature … perché il conflitto tra prospettive è un confronto … tra interessi spesso aspramente contrapposti”. Ma c’è di più: chi sta nella stanza dei bottoni riesce meglio a nascondere i limiti del proprio paradigma e a imporlo, tramite il generoso concorso di un sistema informativo addomesticato.
Dunque, tre modi. Il primo è la dipendenza/sfruttamento. Il secondo la modernizzazione/ritardo. Il terzo l’autonomia/risorsa critica.
Sintetizzando al massimo: il primo spiega lo stato del sud come destino ineluttabile dello sfruttamento capitalistico, che “necessita” della dipendenza di aree costrette alla perifericità. Di qui una strategia di scontro radicale. Teoria “sterile”, perché incapace di articolare il giudizio sul capitalismo e di riconoscere che aree un tempo periferiche oggi sono protagoniste (Cina, India), ma teoria utile a capire che “la strada dello sviluppo non solo non è libera ma è presidiata dai più forti”.
Il secondo modo, il più diffuso, vede il sud in ritardo sulla modernizzazione. L’assunto è che la modernizzazione (come si è realizzata) è il bene e chi non l’ha raggiunta sta ancora nel “male”. Due terapie furono (e sono) suggerite: a) intervento massiccio dello Stato (alias Cassa per il Mezzogiorno etsimilia); b) eliminazione dello Stato e affidamento del sud alle sue risorse, perché entri nella “competizione” (neo liberismo). Alla base dei problemi del sud ci sarebbe, secondo gli estremisti di questa terapia molto “padana”, il ritardo culturale-antropologico dei meridionali, che difettano del necessario “volonta- rismo morale”. Insomma “il mondo non è di tutti, ma di chi è capace di guadagnarselo: agli altri è giusto che spetti solo ciò che rimane”. Siamo nel gorgo del “fondamentalismo del mercato”: sfruttato non sarebbe il sud, costretto alla dipendenza, ma il nord, costretto alla sovvenzione perpetua. Questo non sarebbe vero solo per l’Italia, ma anche e soprattutto per le grandi istituzioni internazionali. Insomma un internazionalismo liberista-stalinista.
Il terzo modo, che è insieme una teoria, una suggestione e un auspicio, temendo di non saperlo ben sintetizzare, lo lascio spiegare a Cassano stesso: Dopo “l’eclisse della questione meridionale” essa potrebbe riemergere “con nuove caratteristiche, al di là della cornice nazionale, come un problema di lungo periodo dell’intero paese e di un’Europa capace di guardare oltre il suo cuore settentrionale … Può sembrare paradossale ma … l’unità del paese può essere salvata solo dal rilancio in grande dell’autonomia del Mezzogiorno e la questione meridionale può rinascere solo come il fulcro della questione mediterranea […] Non sono pochi quelli che ritengono la prospettiva mediterranea un’ utopia [e] sarebbe irragionevole nascondersi le difficoltà” ma quando Spinelli lanciò da Ventotene il Manifesto per un’Europa libera e unita, quasi tutti scossero il capo pessimisticamente”.
Ma, per esempio, chi ha preso in considerazione il libro proposto il mese scorso, Mediterraneo di F. Braudel, non pensa sia poi tutta un’utopia la proposta di Cassano. Ancora una volta, la storia può essere, in modo nuovo, “magistra vitae”.
Un sud italiano quindi che trovi la sua dimensione originale, ma non del tutto nuova, nel dialogo culturale-economico con il “mare nostrum” e i paesi che vi si affacciano, per un’Europa non solo carolingia e teutonica.
Come dicevano i ragazzi del ’68? Siamo realisti, vogliamo l’impossibile.☺
Per farmi perdonare di aver suggerito nei mesi scorsi due libri che insieme contavano quasi ottocento pagine, propongo questa volta un libretto smilzo, ma succosissimo. È Tre modi di vedere il Sud, di Franco Cassano (Il Mulino, 10 €). Cassano è un sociologo (deputato per il Pd) nato ad Ancona, docente a Bari, noto soprattutto per il suo Il pensiero meridiano (tradotto in inglese, francese, tedesco e giapponese), il cui nucleo concettuale si ritrova nel volume qui presentato.
La lettura di questo saggio mi sembra tanto più utile – e forse urgente – perché il Governo italiano, notoriamente malato di “annuncite”, ha avuto una ricaduta: un Piano per il Sud, sbandierato – proprio mentre sto scrivendo – dal premier twittatore. Pagine e pagine, parole su parole, senza uno straccio di visione strategica, senza un’assunzione di responsabilità né per i “vincoli” che bloccano le caviglie del Mezzogiorno (criminalità, infrastrutture, trasporti ecc.) né per le potenzialità annidate nelle sue risorse. Cassano invece procede pacatamente, quasi con pazienza didascalica, e gli lascio volentieri la parola: “La confusione nella discussione sul Sud italiano in questi anni è stata sicuramente grande”, tanto da giungere a dichiarare la scomparsa della questione meridionale (come avvenne durante il Ventennio).
Il fatto è che “ci sono più modi di leggere il Sud e … le differenze non sono sfumature … perché il conflitto tra prospettive è un confronto … tra interessi spesso aspramente contrapposti”. Ma c’è di più: chi sta nella stanza dei bottoni riesce meglio a nascondere i limiti del proprio paradigma e a imporlo, tramite il generoso concorso di un sistema informativo addomesticato.
Dunque, tre modi. Il primo è la dipendenza/sfruttamento. Il secondo la modernizzazione/ritardo. Il terzo l’autonomia/risorsa critica.
Sintetizzando al massimo: il primo spiega lo stato del sud come destino ineluttabile dello sfruttamento capitalistico, che “necessita” della dipendenza di aree costrette alla perifericità. Di qui una strategia di scontro radicale. Teoria “sterile”, perché incapace di articolare il giudizio sul capitalismo e di riconoscere che aree un tempo periferiche oggi sono protagoniste (Cina, India), ma teoria utile a capire che “la strada dello sviluppo non solo non è libera ma è presidiata dai più forti”.
Il secondo modo, il più diffuso, vede il sud in ritardo sulla modernizzazione. L’assunto è che la modernizzazione (come si è realizzata) è il bene e chi non l’ha raggiunta sta ancora nel “male”. Due terapie furono (e sono) suggerite: a) intervento massiccio dello Stato (alias Cassa per il Mezzogiorno etsimilia); b) eliminazione dello Stato e affidamento del sud alle sue risorse, perché entri nella “competizione” (neo liberismo). Alla base dei problemi del sud ci sarebbe, secondo gli estremisti di questa terapia molto “padana”, il ritardo culturale-antropologico dei meridionali, che difettano del necessario “volonta- rismo morale”. Insomma “il mondo non è di tutti, ma di chi è capace di guadagnarselo: agli altri è giusto che spetti solo ciò che rimane”. Siamo nel gorgo del “fondamentalismo del mercato”: sfruttato non sarebbe il sud, costretto alla dipendenza, ma il nord, costretto alla sovvenzione perpetua. Questo non sarebbe vero solo per l’Italia, ma anche e soprattutto per le grandi istituzioni internazionali. Insomma un internazionalismo liberista-stalinista.
Il terzo modo, che è insieme una teoria, una suggestione e un auspicio, temendo di non saperlo ben sintetizzare, lo lascio spiegare a Cassano stesso: Dopo “l’eclisse della questione meridionale” essa potrebbe riemergere “con nuove caratteristiche, al di là della cornice nazionale, come un problema di lungo periodo dell’intero paese e di un’Europa capace di guardare oltre il suo cuore settentrionale … Può sembrare paradossale ma … l’unità del paese può essere salvata solo dal rilancio in grande dell’autonomia del Mezzogiorno e la questione meridionale può rinascere solo come il fulcro della questione mediterranea […] Non sono pochi quelli che ritengono la prospettiva mediterranea un’ utopia [e] sarebbe irragionevole nascondersi le difficoltà” ma quando Spinelli lanciò da Ventotene il Manifesto per un’Europa libera e unita, quasi tutti scossero il capo pessimisticamente”.
Ma, per esempio, chi ha preso in considerazione il libro proposto il mese scorso, Mediterraneo di F. Braudel, non pensa sia poi tutta un’utopia la proposta di Cassano. Ancora una volta, la storia può essere, in modo nuovo, “magistra vitae”.
Un sud italiano quindi che trovi la sua dimensione originale, ma non del tutto nuova, nel dialogo culturale-economico con il “mare nostrum” e i paesi che vi si affacciano, per un’Europa non solo carolingia e teutonica.
Come dicevano i ragazzi del ’68? Siamo realisti, vogliamo l’impossibile.☺
Per farmi perdonare di aver suggerito nei mesi scorsi due libri che insieme contavano quasi ottocento pagine, propongo questa volta un libretto smilzo, ma succosissimo. È Tre modi di vedere il Sud, di Franco Cassano (Il Mulino, 10 €). Cassano è un sociologo (deputato per il Pd) nato ad Ancona, docente a Bari, noto soprattutto per il suo Il pensiero meridiano (tradotto in inglese, francese, tedesco e giapponese), il cui nucleo concettuale si ritrova nel volume qui presentato.
La lettura di questo saggio mi sembra tanto più utile – e forse urgente – perché il Governo italiano, notoriamente malato di “annuncite”, ha avuto una ricaduta: un Piano per il Sud, sbandierato – proprio mentre sto scrivendo – dal premier twittatore. Pagine e pagine, parole su parole, senza uno straccio di visione strategica, senza un’assunzione di responsabilità né per i “vincoli” che bloccano le caviglie del Mezzogiorno (criminalità, infrastrutture, trasporti ecc.) né per le potenzialità annidate nelle sue risorse. Cassano invece procede pacatamente, quasi con pazienza didascalica, e gli lascio volentieri la parola: “La confusione nella discussione sul Sud italiano in questi anni è stata sicuramente grande”, tanto da giungere a dichiarare la scomparsa della questione meridionale (come avvenne durante il Ventennio).
Il fatto è che “ci sono più modi di leggere il Sud e … le differenze non sono sfumature … perché il conflitto tra prospettive è un confronto … tra interessi spesso aspramente contrapposti”. Ma c’è di più: chi sta nella stanza dei bottoni riesce meglio a nascondere i limiti del proprio paradigma e a imporlo, tramite il generoso concorso di un sistema informativo addomesticato.
Dunque, tre modi. Il primo è la dipendenza/sfruttamento. Il secondo la modernizzazione/ritardo. Il terzo l’autonomia/risorsa critica.
Sintetizzando al massimo: il primo spiega lo stato del sud come destino ineluttabile dello sfruttamento capitalistico, che “necessita” della dipendenza di aree costrette alla perifericità. Di qui una strategia di scontro radicale. Teoria “sterile”, perché incapace di articolare il giudizio sul capitalismo e di riconoscere che aree un tempo periferiche oggi sono protagoniste (Cina, India), ma teoria utile a capire che “la strada dello sviluppo non solo non è libera ma è presidiata dai più forti”.
Il secondo modo, il più diffuso, vede il sud in ritardo sulla modernizzazione. L’assunto è che la modernizzazione (come si è realizzata) è il bene e chi non l’ha raggiunta sta ancora nel “male”. Due terapie furono (e sono) suggerite: a) intervento massiccio dello Stato (alias Cassa per il Mezzogiorno etsimilia); b) eliminazione dello Stato e affidamento del sud alle sue risorse, perché entri nella “competizione” (neo liberismo). Alla base dei problemi del sud ci sarebbe, secondo gli estremisti di questa terapia molto “padana”, il ritardo culturale-antropologico dei meridionali, che difettano del necessario “volonta- rismo morale”. Insomma “il mondo non è di tutti, ma di chi è capace di guadagnarselo: agli altri è giusto che spetti solo ciò che rimane”. Siamo nel gorgo del “fondamentalismo del mercato”: sfruttato non sarebbe il sud, costretto alla dipendenza, ma il nord, costretto alla sovvenzione perpetua. Questo non sarebbe vero solo per l’Italia, ma anche e soprattutto per le grandi istituzioni internazionali. Insomma un internazionalismo liberista-stalinista.
Il terzo modo, che è insieme una teoria, una suggestione e un auspicio, temendo di non saperlo ben sintetizzare, lo lascio spiegare a Cassano stesso: Dopo “l’eclisse della questione meridionale” essa potrebbe riemergere “con nuove caratteristiche, al di là della cornice nazionale, come un problema di lungo periodo dell’intero paese e di un’Europa capace di guardare oltre il suo cuore settentrionale … Può sembrare paradossale ma … l’unità del paese può essere salvata solo dal rilancio in grande dell’autonomia del Mezzogiorno e la questione meridionale può rinascere solo come il fulcro della questione mediterranea […] Non sono pochi quelli che ritengono la prospettiva mediterranea un’ utopia [e] sarebbe irragionevole nascondersi le difficoltà” ma quando Spinelli lanciò da Ventotene il Manifesto per un’Europa libera e unita, quasi tutti scossero il capo pessimisticamente”.
Ma, per esempio, chi ha preso in considerazione il libro proposto il mese scorso, Mediterraneo di F. Braudel, non pensa sia poi tutta un’utopia la proposta di Cassano. Ancora una volta, la storia può essere, in modo nuovo, “magistra vitae”.
Un sud italiano quindi che trovi la sua dimensione originale, ma non del tutto nuova, nel dialogo culturale-economico con il “mare nostrum” e i paesi che vi si affacciano, per un’Europa non solo carolingia e teutonica.
Come dicevano i ragazzi del ’68? Siamo realisti, vogliamo l’impossibile.☺
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