Viaggio nel tempo 4
15 Giugno 2019
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Viaggio nel tempo 4

Ho riletto la terza puntata di questo viaggio nel tempo e ho capito come è vera la frase che dice che “tutto è relativo”. Parlavo del servizio segreto della DDR e della paura dei politici di trovare nelle manifestazioni da loro organizzate manifesti o lenzuola esibite da oppositori, ed oggi, rileggendo quello che avevo scritto, mi viene quasi da ridere. Fra la DDR di ieri e l’Italia di oggi, fra la Stasi e la Digos, non vedo più tanta differenza. Anzi, vedo che anche la democrazia è relativa… Ma devo arrivare alla quarta tappa del mio viaggio, quella del mese di giugno. Questa è la tappa più dolorosa per me.

Giugno 1989. Verso il 10 del mese vado a Stoccarda, ospite nella casa degli scrittori mentre faccio la mia ricerca biografica sulla fotografa Hansel Mieth, nata vicino Stoccarda nei primi anni del ‘900 e morta vicino a Los Angeles alla fine di quel secolo. Il 27 del mese mi deve raggiungere Dario, da Berlino: vogliamo andare in Italia da Stoccarda per visitare i suoi genitori. Prima del 27 Dario mi chiama quasi ogni giorno per dirmi le cose da fare … in agosto o settembre! Io non capisco perche me lo dice in quel momento, ma non do troppa importanza a quel comportamento un po’ strano.

La sera del 27 vado alla stazione per aspettare il treno che porterà Dario: il treno arriva, ma Dario non scende. Non me lo so spiegare, se c’è stato qualche imprevisto a Berlino, mi avrebbe chiamato. Forse mi chiama questa notte, forse viene domani, forse dobbiamo cambiare i nostri progetti… Non troppo preoccupata ritorno alla casa degli scrittori, nella mattinata del 28 chiamo io casa mia a Berlino, ma non risponde nessuno. Allora prendo il pullman e vado in quel paesino vicino a Stoccarda dove sto facendo le ricerche nell’archivio del comune. Verso le due del pomeriggio la segretaria del sindaco viene verso di me correndo: hanno chiamato da Stoccarda, devo ritornare il più presto possibile, è successo qualcosa…

L’unica cosa che mi viene in mente è la sigaretta che ho fumato dopo la prima colazione. Sarà che non l’ho spenta bene? Sarà che ho bruciato la vecchia casa degli scrittori, costruita nel medioevo?

Mi riceve Hanna, la donna che gestisce la casa degli ospiti, diventata un’amica. Viene verso di me e mi prende fra le braccia, e vedo dietro di lei un poliziotto che mi dice: “Mi dispiace signora, abbiamo trovato suo marito in un albergo qua a Stoccarda, morto”.

Il resto di quel giorno, e le tre, quattro giornate seguenti, sono nascosti, fino ad oggi, in una specie di nebbia che mi permette di vedere solo piccoli pezzi di realtà: mia figlia Jasmina che viene con il figlio di cinque settimane, da Colonia, per riconoscere la salma e per essermi vicina; la sorella ed il fratello di Dario che vengono dall’Italia e non possono credere che il loro fratello si sia tolto la vita. Quel foglio di carta che Dario ha lasciato sul tavolo della sua stanza di albergo a Stoccarda e dove chiede perdono a parenti ed amici e spiega che il suo gesto è il risultato della conclusione filosofica alla quale lui è arrivato… (In quel momento io ancora non so che a Berlino mi aspetta un libro che Dario ha scritto di nascosto e nel quale spiega quali sono queste conclusioni).

La cosa strana è che non mi sorprende molto quel suicidio di un combattente. Di pronto ho l’impressione di aver saputo da sempre che quest’uomo non poteva continuare a vivere in un mondo dove gli esseri umani distruggono tutto: la convivenza fra i popoli, la natura, gli animali, i deboli, i sognatori…

Due settimane più tardi sono di ritorno a Berlino, e mia figlia mi chiama e mi dice che Dario, prima di andare nel suo albergo per chiudere un’ultima volta la porta dietro di sé, deve essere entrato in un negozio che vendeva manifesti ed altri articoli di ricordo. Mio nipote Jonas aveva ricevuto da Stoccarda, per posta, un manifesto con un dipinto che mostrava un lupo e una pecora, e il dipinto era anche servito, tempo fa, per la copertina del libro Utopia, di Thomas Morus.

Dario sapeva che è praticamente impossibile che il lupo e la pecora diventino amici, che quel mondo di pace, armonia e amicizia – e di accoglienza dell’altro – non è vicino. In questi tempi per me è quasi un conforto sapere che Dario non ha dovuto vedere né l’Italia di oggi né il suo amato Brasile con un presidente che vuole introdurre nel paese una festa nazionale per festeggiare la dittatura militare nata nel 1964, dittatura che ha distrutto, fra tante altre vite, anche la vita di Dario.☺

 

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