La chiamavano mineralità
10 Marzo 2022
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La chiamavano mineralità

Tra i vari profumi e sentori che tanti commentatori e sommelier di vino amano proclamare, specie di fronte a grandi bianchi, c’è il fantomatico descrittore “minera- lità”. E forse non è un caso che i vini asciutti, freschi con note speziate, affumicate e gessose siano i più richiesti dal mercato in questo momento. Fa tanta sensazione rammentarla, ma che cosa realmente intendiamo per mineralità in un vino? E soprattutto, ha davvero qualche collegamento con il luogo e il terreno di produzione oppure è un falso mito? Faccio una breve digressione tecnica, al solo fine di farmi capire meglio.

Quando un som- melier caccia il naso nel bicchiere e ne estrae aromi inimmaginabili ad un normale essere umano, non sta bleffando, molti sì in realtà, ma molti seri sommelier non bleffano: ciò che narrano è davvero ciò che sentono. Questo avviene perché durante la fermentazione alcune molecole si scompongono e ricompongono in forme diverse e molto somiglianti a molecole odorose di altre sostanze, il fieno, i fiori, la frutta, etc. Altri aromi ancora, i terziari, sono ceduti al vino dal contenitore di affinamento, legno ad esempio, o anche solo dalle trasformazioni che avvengono nel vino stesso nei lunghi anni di invecchiamento. Ecco perché un dibattito sulla mineralità, elemento molto caratterizzante dei vini, bianchi in particolare, attrae così tanti addetti ai lavori.

Ebbene la prima questione è se la mineralità esista o meno. La seconda è, concesso che esista, se sia una sensazione olfattiva, cioè captata dal naso, oppure una sensazione tattile, ossia captata dalle papille gustative, dalla bocca. Nel mio piccolo e con la mia piccola esperienza (di produttore e degustatore) esprimo il mio parere. Darei per certo che la mineralità del vino sia una sensazione olfattiva, alcune note di quelle descritte sono ben evidenziabili al naso, mentre in bocca è percepita la sapidità, il salato, che certo dipende anch’esso dai sali minerali disciolti nel vino, che sono gli stessi che possono dare sensazioni di mineralità olfattiva, però in bocca si percepiscono il salato, non gli aromi. Detta così sarebbe scontato dedurne che la mineralità debba esistere. Invece non ne sono così sicura perché a negarla, accantonando percezioni e suggestioni delle sommellerie, è la  scienza nuda e cruda. Diversi esperimenti di fisiologia vegetale sulla vite hanno infatti dimostrato che la presenza di alcuni minerali in concentrazioni anche alte nel suolo può portare certo ad una assunzione maggiore da parte delle radici delle piante, ma ciò non implica che i minerali siano trasferiti negli acini e nelle parti della pianta direttamente collegate alla formazione degli aromi. E anche se riuscissero a entrare nel vino direttamente, resta il fatto che di per sé i minerali, a meno che non contengano zolfo, non hanno profumi particolari. Quindi la maggior parte dei cosiddetti aromi “minerali”, come quello di grafite, di calcare e altri sono suggestioni legate molto probabilmente alla nota leggermente affumicata dovuta alla riduzione del vino stesso. Parliamo in altre parole del fenomeno chimico che interviene sui profumi dei vini bianchi. I quali, in genere, vengono tenuti il più possibile lontani dall’ossigeno che ne brucerebbe profumi e aromi freschi e fruttati. Si può parlare di vini, con sentori minerali propriamente detti, solo nel caso ci siano dei suoli vulcanici, e in Italia ne abbiamo parecchi – dal Soave nel Veneto all’Etna in Sicilia -, altri che abbiano zolfo nel sottosuolo (come nel caso del Greco di Tufo e altri vini dall’ Irpinia), alcuni che riportano sensazioni iodate derivanti dall’aerosol marino e, infine, alcuni che abbiano le note di idrocarburo nel profilo aromatico dell’uva (come il Riesling, soprattutto tedesco). Negli altri casi usare il termine minerale è un’esagerazione. E sia.

Se emeriti professori, molto seri nelle loro ricerche, mi dicono che ciò che ho sempre chiamato mineralità non deriva da una particella di origine minerale e pertanto non va chiamata con quel nome, io alzo le braccia e dico che hanno ragione. Però, perché c’è un però, va detto anche questo: una degustazione è una descrizione secondo parametri prefissati e secondo un vocabolario prefissato, l’importante non è chiamare mineralità qualcosa che non è esattamente derivante dal mondo minerale: l’importante è chiamare mineralità quelle sensazioni che anche altri sommelier o appassionati chiamano allo stesso modo, perché sensazioni a loro conosciute e da sempre identificate con quel nome. E allora continuiamo pure a utilizzare il termine minerale per descrivere alcuni aspetti gusto-olfattivi che avvertiamo in un vino, ma con la consapevolezza che non esiste un rapporto diretto tra presenza di sali minerali nel vino e sensazioni avvertite; e probabilmente che non esiste neanche correlazione diretta tra caratteristiche dei suoli e “mineralità” di un vino. È il caso di dirlo nel calice, sotto questo profilo: sbagliando non si impara! ☺

 

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