Ospiti e custodi
3 Aprile 2016
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Ospiti e custodi

“La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,20-22). A questo testo fa riferimento il papa all’inizio dell’enciclica Laudato si’ che riflette sull’ ambiente chiamato “casa comune” dell’ umanità. Il gemito della creazione, ci fa capire Paolo, è causato da chi l’ha corrotta, che non è ovviamente Dio ma l’uomo stesso che era stato posto a sua custodia e invece l’ha depredata. Nel racconto della creazione, infatti, dell’uomo si dice che deve governare e assoggettare la terra, che può significare anche prendersi cura (nel linguaggio contadino si dice che gli animali vengono “governa- ti” cioè curati e nutriti) e controllare la natura. Ma purtroppo l’interpretazione prevalente ha dato il permesso all’uomo occidentale, che si rifà alla bibbia e che ha dato inizio all’ accelerazione del progresso tecnologico, di violentare la terra a proprio uso e consumo, impoverendola e inquinandola. È questo il primo atto di pentimento che siamo chiamati a fare innanzitutto come cristiani e come chiese nella misura in cui abbiamo avallato l’avidità dell’uomo, anche con la percezione distorta che ciò che importa nella fede è l’anima e non il corpo.

Il racconto della creazione prosegue con quello del peccato, che ha come conseguenza l’esilio dell’umanità dall’eden e la dispersione nel caos desertico fuori del giardino. Il racconto può essere letto come una metafora di cosa è questo nostro mondo e di quanto sia fragile il suo equilibrio: l’eden è in realtà il nostro intero pianeta che, visto dallo spazio non è altro che un’isola blu in un deserto nero infinito dove non c’è vita. L’uso distorto che l’uomo ha fatto del mondo (comportarsi da “dio” nel senso di avere la pretesa del diritto di vita o di morte sul suo habitat), non ha fatto cacciare l’uomo dalla terra, ma ha fatto entrare la non-vita sulla terra, rendendo il nostro pianeta sempre più simile alla sterilità del cosmo che ci avvolge. Il recinto di cui è circondato il paradiso terrestre è il simbolo dei limiti posti all’umanità perché possa convivere con il suo ambiente. La cacciata dal giardino non è altro che la metafora del superamento del limite, che rende quello stesso giardino una steppa difficile da coltivare. Quando si dice che l’uomo che trarrà il cibo dalla terra con il sudore della fronte, non dobbiamo pensare alla punizione di un Dio giustiziere, ma all’effetto del superare il proprio limite quale parte di un sistema. Una volta prodotto il danno, il mondo non resta più quello di prima e per ottenere di nuovo l’equilibrio è necessario impegnarsi molto di più.

Il racconto delle origini ci dice anche che può arrivare un punto di non ritorno, rappresentato dal diluvio, che riporta di nuovo il mondo al caos primordiale, quando c’era solo buio e un oceano senza vita. Quello che era semplicemente un mito di creazione, letto con la consapevolezza di oggi quando stiamo assistendo alla distruzione del nostro habitat/giardino infinitamente piccolo, possiamo apprezzare la drammatica profezia di quel racconto, dove il peccato è identificabile con la stupidità umana nel pretendere di superare limiti invalicabili. Noi non dominiamo il mondo come si illudevano gli antichi che pensavano la terra al centro di tutto (proiezione del proprio ego spropositato elevato ad idolo) ma siamo ospiti di un piccolo recinto che, se “governato” male si trasformerà (e si sta già trasformando) in deserto sterile e inquinato.

La riflessione che Paolo fa nella lettera ai Romani parte dal confronto tra Adamo e Gesù: la scelta del primo ha innescato la corruzione di cui l’umanità fa esperienza (il peccato originale si avverte, in questa prospettiva, proprio nella mancanza di sintonia tra l’uomo e il suo ambiente, sia in senso sociale che naturale), mentre la scelta del secondo di non cadere nella spirale della sete di dominio, scegliendo la strada del servizio, ha fatto intravedere la possibile via d’uscita da questo caos. La resurrezione di Gesù è il primo frutto positivo (Paolo la chiama primizia della nuova creazione) di questa inversione di rotta. Paolo fa della vicenda di Gesù un evento cosmico: per l’uomo moderno non più religioso può sembrare un’esagerazione, ma se leggiamo la vita di Gesù sullo sfondo del racconto delle origini, comprendiamo la sua portata universale: oggi che le nostre quotidiane e banali disattenzioni contribuiscono ad aumentare sempre più l’ inquinamento del mondo e quindi ad accelerare il suo sconvolgimento, possiamo comprendere l’importanza di scelte piccole e apparentemente insignificanti sul piano dei grandi eventi ma che se fatte proprie da tanti (che cosa sono i discepoli di Gesù se non coloro che vivono le sue scelte di servizio?) possono effettivamente cambiare il mondo.☺

 

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