Tumpie: sfaccettature di una venere
8 Febbraio 2022
laFonteTV (3191 articles)
Share

Tumpie: sfaccettature di una venere

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

Cantante, ballerina, icona della Parigi degli anni folli, collaboratrice dei servizi segreti francesi nella lotta contro i nazisti durante l’occupazione, Josephine Baker recentemente è entrata al Pantheon di Parigi con gli onori dovuti a chi ha fatto della sua vita pubblica e privata una bandiera di libertà. Così il presidente francese, Emmanuel Macron: “La sua causa era l’universalismo, l’unità del genere umano, l’uguaglianza di tutti davanti all’identità di ciascuno, l’accogliere tutte le differenze unite dalla stessa volontà, la stessa dignità, l’emancipazione contro l’affettazione”.

Josephin. Baker, detta Tumpie, nasce il 3 giugno del 1906 a Saint Louis, nel Missouri. La madre Carrie è una lavandaia, figlia di una delle ultime schiave prima dell’abolizionismo. Del padre si sa poco, tranne del fatto che fosse bianco per il colore della pelle latte e caffè di Josephine. Date le condizioni molto precarie della famiglia, comincia a lavorare da piccola, come servetta nelle case borghesi. Racconta la leggenda che raccolga i primi risparmi per comprare un biglietto per andare a vedere gli spettacoli in un teatrino riservato esclusivamente alla gente nera. Da quel momento la piccola non fa altro che ballare e cantare e organizza spettacoli improvvisati per la famiglia, per il vicinato. Una cosa è certa, ha solo 13 anni quando si presenta al Boxer Washington Theatre. Il direttore la prende per fare il Cupido alato su una fila di ballerine. Tumpie con occhi acuti copia tutti i passi di danza, le sfumature delle voci tanto che quando una ballerina si ammala, lei la sostituisce e conquista subito: lasciando tutti a bocca aperta per la bravura, ma non solo per la bravura e per la preparazione, ma anche per il fatto che ha un non so che di esplosivo che la rende sexy ed ironica.

Nel 1925 viene scritturata per fare parte di un gruppo di colore che si esibirà a Parigi nell’autunno di quell’anno, al Théâtre des Champs-Élysées, in uno spettacolo che diventerà fondamentale per la cultura francese negli anni ’20: La Revue Nègre. In seguito, pur viaggiando in tutti i teatri d’Europa, tornerà sempre nell’amata capitale francese a rinnovare i suoi successi. Joséphine conquista il pubblico con le sue “orrende” smorfie. Proprio lì svilupperà uno stile e una personalità uniche: a volte danza completamente nuda, oppure col suo famoso costume composto di orecchini, collana e braccialetti in pietre barbare e un gonnellino di vere banane o di coloratissime piume che le cingono i fianchi. Segue il ritmo musicale contorcendosi con movimenti che imitano le pantere o i serpenti. Entra in scena con la pelle dipinta color banana, le labbra nere e i capelli cortissimi appiccicati alla testa. Impara a cantare davvero: il suo forte timbro vocale spazia dai toni bassi ai toni alti, dai gorgheggi a note stridule. Successivamente arriva al “Casino de Paris” come attrazione principale e, nel 1930, lancia la bellissima canzone J’ai deux amours che resterà per sempre legata alla sua immagine. È proprio a Parigi quindi che ottiene la consacrazione a vedette internazionale.

Lei ironicamente scrive: “La bellezza? È solo una questione di fortuna. Io sono nata con belle gambe. Per il resto no; ma divertente sì”.

Il successo è strabiliante: Baker come la chiameranno tutti quanti, d’ora in poi, diventa la Venere nera, la regina della danza selvaggia, colei che fa subire il suo fascino a tutti. Ma lei si sente libera, soprattutto in Francia, libera e con la gioia di vivere che non ha avuto certamente in America dove spesso nei ristoranti deve andare in quelli riservati alla gente di colore,

Ma Josephine, con la sua intelligenza e la sua grinta, non si spaventa. E per questo ritiene una propria missione sempre il rivendicare la propria esistenza, il proprio colore. Scrive: “Sono stata il simbolo della libertà ritrovata, della scoperta dell’arte negra, del jazz. Ho rappresentato la libertà di tagliarmi i capelli, di passeggiare nuda, di mandare al diavolo tutte le camicie di forza, corsetto compreso”.

E anche nella vita privata si diverte a creare scalpore, come con George Simenon che sarà il suo compagno di una lunga, intensa relazione che lei troncherà solo quando scoprirà che era da tempo sposato. La Francia però non le basta più e intraprende tournée che però vengono spesso bloccate in quanto considerate scandalose, come a Monaco e a Vienna, dove scompiglierà il gioco presentandosi con un lungo vestito nero accollato ed eseguendo una struggente sequenza di brani blues. Nel luglio del 1939 torna nella sua amata Parigi, dopo una trionfale tournée brasiliana; intanto le tempeste della guerra si stanno avvicinando. Baker fa spettacoli in ogni angolo dove vi sono truppe. Lei sente la Francia come propria patria, “i parigini mi hanno dato tutto”, scrive, “soprattutto il loro cuore e io gli ho regalato il mio e oggi sono pronta a offrire anche la mia vita”. Ma non è solo questo. Sappiamo da documenti che Josephine, al di là di questo suo lavoro di facciata, approfitterà dei suoi lasciapassare per essere uno dei nodi vitali della resistenza, nascondendo documenti fra gli spartiti dell’orchestra, nella fodera del cappotto e partecipando alle lotte di liberazione del paese che lei ama. Così la Venere in gonnellino di banane vince le barriere del nemico senza che nessuno la scopra.

Baker sembra avere proprio conquistato tutto, ma porta avanti un suo segreto, ma fortissimo desiderio: sa che non può avere figli e compra un castello nella Dordogna, lo vuole riordinare, risistemare per adottare insieme con il nuovo marito che è anche il suo direttore d’orchestra, Jo Bouillon, almeno una decina di figli. La ristrutturazione prosciuga tutti quanti i suoi soldi. Lei non si scoraggia e continua di nuovo, recuperando piume dalla soffitta, a cantare, a ballare in ogni angolo della terra per racimolare i soldi che le servono. E intanto da ogni tournée torna con un bambino e con quella che lei chiama con affetto “la sua tribù arcobaleno” costruisce un progetto familiare enorme. Questo non le impedisce  di partecipare politicamente a situazioni o eventi quali la marcia su Washington a sostegno dei diritti degli afroamericani, il 28 agosto del 1963, insieme con Martin Luther King, dove rilascia una dichiarazione nettissima: “smettiamola di dire, americani bianchi – americani neri: una volta per tutte, possiamo dire americani. Lasciamo che gli esseri umani siano uguali alla terra, così come lo sono in cielo”.

Muore il 12 Aprile del 1975.☺

 

laFonteTV

laFonteTV