Un altro passo indietro
29 Febbraio 2016
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Un altro passo indietro

Renzi ha già annunciato che in caso di sconfitta nel referendum andrebbe a casa e in molti a sinistra e in una vasta area di giuristi democratici considerano la vittoria di Renzi come una “caporetto” della democrazia. Sarà quindi difficile stare fuori da questo scontro e recitare la parte degli osservatori delle Nazione Unite. Pur tuttavia, prima di entrare nel vivo del contenzioso politico-istituzionale, vorrei evidenziare le ragioni che mi fanno guardare con una certa perplessità e scetticismo ai primi passi di questo che si annuncia come uno scontro finale.

L’Italia ha infiniti problemi sul terreno economico-sociale, su questioni serie come le diseguaglianze, le povertà, il degrado ambientale, ma  vi è una questione che domina su tutte le altre, che è premessa decisiva per affrontare tutti i problemi aperti, ovvero la natura della nostra democrazia. Sino ai primi anni ‘80 il nostro paese era considerato un’anomalia interessante nel contesto europeo, non solo perché vi era il più grande partito comunista d’occidente, ma proprio per il suo vitale e diffuso tessuto  democratico. Poi abbiamo avuto il collasso politico e morale della Prima Repubblica ed oggi l’Italia continua ad essere una anomalia, ma con un significato radicalmente diverso.

Siamo il paese più decadente e più compromesso proprio nella architettura istituzionale, politica e sociale della sua democrazia. Zagrebelsky, uno dei leader della campagna per il no alla modifica costituzionale renziana, ha più volte ripetuto che da trent’anni è in corso un’involuzione che ha rovesciato la piramide della democrazia. I cittadini contano sempre meno e sempre di più contano i vertici, che siano dei partiti o delle istituzioni. Conclude Zagrebelsky, “questa involuzione si chiama tecnicamente passaggio dalla democrazia all’oligarchia”. È una affermazione ampiamente condivisibile che deve essere, però, arricchita e meglio esplicitata. In Italia i partiti come soggetti collettivi e democratici che si nutrono della partecipazione attiva dei cittadini e dei lavoratori di fatto non esistono più. Questa è la più dannosa eredità che il berlusconismo ci ha lasciato. I partiti sono contenitori di interessi più o meno limpidi, strutturati per comitati elettorali, per cordate, per amicizie, per famiglie, nella sostanza un magma liquido e gassoso nel quale gli inquinatori si possono muovere come pesci nell’acqua. La mafia capitolina e i camorristi di Quarto sono solo gli ultimi testimoni di un più generale degrado morale del nostro sistema politico.

Il sindacato sino all’inizio degli anni 2000, ricorderete la fiammata Cofferatiana, ha avuto un protagonismo democratico reale; poi, per diverse ragioni, ha perso di peso specifico e appare sempre più marginale nella società e nel mondo del lavoro. Il sindacato, che insieme ai partiti è stato uno degli architravi della nostra storia democratica, oggi non solo viene ignorato da chi governa, ma viene visto da gran parte del popolo e dei lavoratori  con distacco, se non con diffidenza.

Gli ottimisti, pur condividendo questa analisi sulla crisi dei grandi soggetti politici e sociali, ci consolano con la ricchezza e la vitalità della società civile (associazioni, comitati, centri sociali etc). Noi siamo ben consapevoli del valore di queste esperienze, ma non ci sfuggono i limiti seri. In primo luogo la difficoltà forte ad incidere sulle scelte della Politica e il rischio serio della testimonianza. Ancora, la possibilità di cooptazione nell’orbita del potere e dei suoi finanziamenti. Infine, ed è questione decisiva, la grave decadenza del sentimento civico della nostra società che ben riflette la crisi dell’intero sistema dei valori e il vuoto di un nuovo che tarda a venire.

Collasso dei partiti, declino del sindacato, decadenza della società civile, snaturamento degli strumenti istituzionali del governo locale sono le ragioni prime della crisi, sono i tumori che hanno compromesso il sistema, la vera radice marcia della democrazia. Se la battaglia referendaria dovesse risolversi in una dotta discussione su senato sì o senato no, sulla legge elettorale e le sue varianti, non solo avremmo perso un’occasione, ma avremmo fatto un altro passo indietro.

Temo un confronto ed uno scontro molto aspri, ma incomprensibili e  lontani dai problemi reali che alimentano autoritarismo e populismi. Mi viene alla mente l’immagine di quel garbato film di diversi anni fa che ben riassume la situazione attuale: “sotto il vestito niente”.☺

 

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