Nel mese di marzo il Senato ha approvato con 151 voti favorevoli, 83 contrari e 5 astenuti, il ddl 1167-B che nei fatti mette a rischio l'efficacia dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Da parte sua il Presidente della Repubblica Napolitano ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione su una legge considerata complessa, eterogenea e problematica. La Cgil stessa, supportata dalla valutazione e dall’analisi di molti giuristi, ha ravvisato la presenza di elementi non in linea con i dettami costituzionali.
Il provvedimento contempla infatti la possibilità di inserire una clausola compromissoria nel contratto di lavoro che, nei fatti, rende obbligatorio l’arbitrato. Nello specifico, il datore di lavoro, all’atto dell’assunzione, può chiedere a un lavoratore di rinunciare a ricorrere alla magistratura per far valere i propri diritti. La pretesa lunghezza dei tempi del processo è stata acquisita come giustificazione per cancellare i principi del diritto del lavoro. Gli arbitri potranno addirittura giudicare “secondo equità”: si potrà insomma giudicare senza tenere in considerazione le norme di legge (l’art. 18 in primis) e i contratti collettivi nazionali di categoria. L’art. 32 obbliga inoltre a contestare il provvedimento assunto dal proprio datore di lavoro entro 60 giorni e non più entro un arco temporale di cinque anni. Il lavoratore, debole e ricattabile, soprattutto quando è in cerca di lavoro, verrà posto nella condizione di accettare un impiego rinunciando alla tutela giurisdizionale. Tale processo colpirà tutti colori che sono in cerca di lavoro e, in modo particolare, i giovani, i soggetti con le qualifiche medio-basse, i lavoratori precari, i contrattisti a progetto, i lavoratori a termine e l’insieme della più vasta categoria degli atipici. Come recita l’art. 24 della Costituzione “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
Da parte sua il Governo vuole avviare una contro-riforma tesa a destrutturare l’intera normativa gius-lavorista: “un diritto non esercitabile e non azionabile nei confronti del datore di lavoro per via giudiziaria non è, di per sé, un vero diritto, bensì un’inutile petizione di principio”. In tale ottica diviene “fondamentale verificare attentamente – come sottolineato dal Presidente della Repubblica – che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i principi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole. Entrambi questi principi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la "effettiva" volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale (…) Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro”.
L’attacco che si palesa ai diritti fondamentali dei cittadini impone una mobilitazione di tutte le forze sane e progressiste presenti nel Paese: si tratta soprattutto di costruire una mobilitazione che passi, in primo luogo, attraverso la conoscenza di un provvedimento che rischia di cancellare ogni forma di tutela e di rispetto dei diritti fondamentali delle persone.☺
a.miccoli@cgilmolise.it
Nel mese di marzo il Senato ha approvato con 151 voti favorevoli, 83 contrari e 5 astenuti, il ddl 1167-B che nei fatti mette a rischio l'efficacia dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Da parte sua il Presidente della Repubblica Napolitano ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione su una legge considerata complessa, eterogenea e problematica. La Cgil stessa, supportata dalla valutazione e dall’analisi di molti giuristi, ha ravvisato la presenza di elementi non in linea con i dettami costituzionali.
Il provvedimento contempla infatti la possibilità di inserire una clausola compromissoria nel contratto di lavoro che, nei fatti, rende obbligatorio l’arbitrato. Nello specifico, il datore di lavoro, all’atto dell’assunzione, può chiedere a un lavoratore di rinunciare a ricorrere alla magistratura per far valere i propri diritti. La pretesa lunghezza dei tempi del processo è stata acquisita come giustificazione per cancellare i principi del diritto del lavoro. Gli arbitri potranno addirittura giudicare “secondo equità”: si potrà insomma giudicare senza tenere in considerazione le norme di legge (l’art. 18 in primis) e i contratti collettivi nazionali di categoria. L’art. 32 obbliga inoltre a contestare il provvedimento assunto dal proprio datore di lavoro entro 60 giorni e non più entro un arco temporale di cinque anni. Il lavoratore, debole e ricattabile, soprattutto quando è in cerca di lavoro, verrà posto nella condizione di accettare un impiego rinunciando alla tutela giurisdizionale. Tale processo colpirà tutti colori che sono in cerca di lavoro e, in modo particolare, i giovani, i soggetti con le qualifiche medio-basse, i lavoratori precari, i contrattisti a progetto, i lavoratori a termine e l’insieme della più vasta categoria degli atipici. Come recita l’art. 24 della Costituzione “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
Da parte sua il Governo vuole avviare una contro-riforma tesa a destrutturare l’intera normativa gius-lavorista: “un diritto non esercitabile e non azionabile nei confronti del datore di lavoro per via giudiziaria non è, di per sé, un vero diritto, bensì un’inutile petizione di principio”. In tale ottica diviene “fondamentale verificare attentamente – come sottolineato dal Presidente della Repubblica – che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i principi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole. Entrambi questi principi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la "effettiva" volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale (…) Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro”.
L’attacco che si palesa ai diritti fondamentali dei cittadini impone una mobilitazione di tutte le forze sane e progressiste presenti nel Paese: si tratta soprattutto di costruire una mobilitazione che passi, in primo luogo, attraverso la conoscenza di un provvedimento che rischia di cancellare ogni forma di tutela e di rispetto dei diritti fondamentali delle persone.☺
Nel mese di marzo il Senato ha approvato con 151 voti favorevoli, 83 contrari e 5 astenuti, il ddl 1167-B che nei fatti mette a rischio l'efficacia dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Da parte sua il Presidente della Repubblica Napolitano ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione su una legge considerata complessa, eterogenea e problematica. La Cgil stessa, supportata dalla valutazione e dall’analisi di molti giuristi, ha ravvisato la presenza di elementi non in linea con i dettami costituzionali.
Il provvedimento contempla infatti la possibilità di inserire una clausola compromissoria nel contratto di lavoro che, nei fatti, rende obbligatorio l’arbitrato. Nello specifico, il datore di lavoro, all’atto dell’assunzione, può chiedere a un lavoratore di rinunciare a ricorrere alla magistratura per far valere i propri diritti. La pretesa lunghezza dei tempi del processo è stata acquisita come giustificazione per cancellare i principi del diritto del lavoro. Gli arbitri potranno addirittura giudicare “secondo equità”: si potrà insomma giudicare senza tenere in considerazione le norme di legge (l’art. 18 in primis) e i contratti collettivi nazionali di categoria. L’art. 32 obbliga inoltre a contestare il provvedimento assunto dal proprio datore di lavoro entro 60 giorni e non più entro un arco temporale di cinque anni. Il lavoratore, debole e ricattabile, soprattutto quando è in cerca di lavoro, verrà posto nella condizione di accettare un impiego rinunciando alla tutela giurisdizionale. Tale processo colpirà tutti colori che sono in cerca di lavoro e, in modo particolare, i giovani, i soggetti con le qualifiche medio-basse, i lavoratori precari, i contrattisti a progetto, i lavoratori a termine e l’insieme della più vasta categoria degli atipici. Come recita l’art. 24 della Costituzione “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
Da parte sua il Governo vuole avviare una contro-riforma tesa a destrutturare l’intera normativa gius-lavorista: “un diritto non esercitabile e non azionabile nei confronti del datore di lavoro per via giudiziaria non è, di per sé, un vero diritto, bensì un’inutile petizione di principio”. In tale ottica diviene “fondamentale verificare attentamente – come sottolineato dal Presidente della Repubblica – che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i principi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole. Entrambi questi principi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la "effettiva" volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale (…) Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro”.
L’attacco che si palesa ai diritti fondamentali dei cittadini impone una mobilitazione di tutte le forze sane e progressiste presenti nel Paese: si tratta soprattutto di costruire una mobilitazione che passi, in primo luogo, attraverso la conoscenza di un provvedimento che rischia di cancellare ogni forma di tutela e di rispetto dei diritti fondamentali delle persone.☺
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