Classici alla gogna?
18 Aprile 2023
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Classici alla gogna?

Il linguaggio – quello costituito dalle parole – è una delle prerogative del genere umano, la più elevata e preziosa. Le parole sono importanti, vanno utilizzate con consapevolezza e riferimento appropriato allo scopo comunicativo. Quando, poi, si tratta di testi scritti, produzioni letterarie, narrazioni, la scelta delle parole appartiene all’autore/autrice. E come tale andrebbe rispettata!

Nello scorso mese di febbraio la stampa riferiva di una grossa polemica originatasi nel Regno Unito: “stanno riscrivendo i libri di Roald Dahl. La casa editrice britannica Puffin sta espellendo da WillyWonka e la fabbrica di cioccolato, da Le Streghe, da Matilda e dagli altri titoli dello scrittore tutte le espressioni che stonano con il politicamente corretto. Nessun personaggio sarà più “grasso”, nessuno sarà più “brutto”, i termini “madre” e “padre” saranno sostituiti dalla parola “genitori”, le streghe dovranno essere trattate con rispetto perché sono donne a cui non si devono riferire espressioni sessiste. È solo l’ultimo caso di una tendenza culturale che imperversa soprattutto nel mondo anglofono, ma che rischia di contagiare anche noi. Paradossale la volontà di “ripulire” le favole, che per loro natura sono piene di orchi, streghe, bambini abbandonati nei boschi o cucinati nel forno, principi azzurri e cenerentole con scarpette allusive” (G. Barbacetto).

Sembrerebbe che l’“attentato” alla prosa di Roald Dahl, stimato autore di narrativa per l’infanzia, sia stato sventato; ma ciò che è accaduto non appare come un evento isolato, quanto piuttosto uno dei vari tentativi di “quel fenomeno nato negli Stati Uniti, prepotentemente esploso negli anni più vicini a noi e conosciuto perlopiù sotto l’etichetta di cancel culture [pronuncia: cansel calciur]: un movimento che spesso prende a bersaglio proprio i classici greci e latini, per giustificare la richiesta di rimuoverne lo studio […] dai piani didattici degli atenei o, sempre più spesso, dai curricula delle scuole superiori” (Mario Lentano, Classici alla gogna). L’avversione che il prof. Lentano evidenzia fa riferimento alla scelta che alcune università americane stanno attuando: eliminare lo studio del greco e del latino dal corso di laurea in classics – come negli U.S.A. si definisce una laurea in Lettere classiche; e la ragione è presto detta: “‘creare un programma più inclusivo ed egualitario’ e chiarire che tale sforzo era divenuto urgente dopo ‘gli eventi di carattere razzista’ avvenuti nell’estate dell’anno precedente [anno 2020, ndr]”.

Cosa c’entra il razzismo con lo studio del greco e del latino? – verrebbe da chiedersi. Mario Lentano sostiene in prima battuta che per gli studiosi americani “le lingue antiche non solo rappresentino uno spiacevole intoppo, colpevole di ridurre il numero di iscritti ai corsi di antichistica, ma costituiscano addirittura un pericolo, potenzialmente in grado di determinare effetti distorsivi sulle giovani menti che con esse entrino troppo precocemente in relazione”. In secondo luogo, i classici latini e greci sono stati presi di mira dai nuovi censori della cancel culture – ed è questa la tesi che Classici alla gogna tenta di confutare – per “aver praticato in modo sistematico e su larga scala forme di discriminazione fondate sul genere, sulla posizione sociale o sull’etnia di appartenenza. Per questa via, Greci e Romani avrebbero posto le premesse della perdurante influenza di simili forme nella cultura dell’Occidente sino ai giorni nostri”.

Alla base della cancel culture (letteralmente “cultura della cancellazione”) vi è “la puerile pretesa di rimuovere tutto ciò che non si conforma […] ai valori e ai modelli del presente, pagando il pedaggio a una dittatura dell’oggi assunto a letto di Procuste sul quale misurare […] tutta la cultura del passato”. Una estremizzazione del ‘politica- mente corretto’, tristemente solo di facciata. Infatti esempi di cancel culture sono riscontrabili non soltanto nel modo di parlare o di scrivere, ma anche in altri settori, in nome di princìpi che, seppur rispettabili, non devono risolversi in forme di negazionismo o revisionismo. Non si dimentichi che il presupposto di questo fenomeno è “l’idea che l’umanità sia composta per la stragrande maggioranza da individui emotivamente fragili e culturalmente inermi, incapaci di pensare in modo autonomo e inclini a lasciarsi manipolare dai libri che leggono, dai film che guardano, dalle immagini che cadono sotto i loro occhi e così via”.

Quella che viviamo è una realtà complessa che va osservata e valutata con ponderazione, misura ed equilibrio, non con approssimazione! Leggere il nostro contemporaneo – e scriverne con accuratezza – è il compito che ci attende. E non dobbiamo avere timore nell’adoperare le parole giuste. Nel film Mine vaganti, il regista Ferzan Ozpetek fa dire al personaggio della nonna – una insuperabile Ilaria Occhini -, che apostrofa il figlio di mentalità ottusa il quale ha repulsione nel pronunciare o sentire il vocabolo che definisce le persone di orientamento sessuale ‘diverso’: “È una parola come un’altra. È meglio che ti abitui”.☺

 

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