A partire dai primi anni del 2000, sull’8 marzo era sceso in Italia un pietoso silenzio, innanzitutto da parte delle donne, stanche di prenotare tavoli in pizzerie sovraffollate; stanche di ricevere mimose che appassiscono in poche ore nei vasi domestici; stanche di festeggiare in chiassose comitive monogenere una ricorrenza di cui nessuno ricordava più l’origine; stanche della ennesima data sul calendario, divenuta, dagli anni ottanta in poi, occasione di consumo, al pari di San Valentino, la festa della mamma e del papà. Se guardiamo alla storia dell’ultimo mezzo secolo in Italia, è stato soltanto in un decennio – quello degli anni Settanta – che questo giorno ha avuto effettivamente modo di essere, come si diceva all’epoca, “un giorno di lotta rivoluzionaria”. Di rivoluzione effettivamente si trattava dal momento che le vere rivoluzioni sono quelle che sconvolgono la vita reale delle persone e mutano le abitudini più radicate creando nuova cultura, nuovi valori.
Intorno a quegli anni mutò radicalmente nel nostro paese l’universo intero delle relazioni tra uomini e donne, cambiarono le donne e cambiarono insieme gli uomini, certo con grandi sforzi e resistenze. Solo fino al decennio precedente, l’Italia era stato il paese dove il delitto “d’onore” riceveva pene ridotte; dove l’adulterio della donna era punito con la reclusione; dove il divorzio conosceva solamente la sua ipocrita versione “all’italiana”; dove la violenza sessuale era considerata un delitto contro la morale e non contro la persona; dove i figli nati al di fuori del matrimonio erano figli “illegittimi” e dove la donna che avesse voluto portare avanti una maternità da sola era sanzionata pesantemente dalla comunità; dove le donne morivano quotidianamente e dolorosamente a causa degli aborti clandestini. Furono dunque le donne, in prima persona, a cambiare la doppia morale dominante nella nostra cultura e a scalfire pian piano, ma con grande decisione, una concezione che prevedeva solo ruoli prefissati e destini segnati: madre o prostituta, mai soggetto libero di scegliere; figlia, sorella o moglie, mai cittadina autonoma. Così gli 8 marzo del 1972, ’73, ’74, e così via fino alla fine del decennio, furono veramente l’occasione per ritrovare, migliaia di donne che prendevano la parola su ciò che riguardava direttamente la loro vita, il loro corpo, la loro sessualità, la loro indipendenza di pensiero.
La società italiana cambiò tutta: la legge sul divorzio (1970), il nuovo diritto di famiglia (1975), la 194 per “la tutela della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza” (1978), le leggi a tutela delle lavoratrici madri (1971) ne furono il segno tangibile e l’effetto stabile. Le nuove norme contro la violenza sessuale arrivarono solo nel 1997. Nel frattempo, gli 8 marzo erano diventati però sempre più occasioni di consumo, trasformandosi spesso anche in goliardate. Forse, la fatica di arrivare alle conquiste civili era stata tanta e le donne adesso volevano un po’ riposare. Forse le nuove generazioni di donne davano per scontate libertà e civiltà, portando nel loro Dna le conquiste di madri e nonne: mai dare nulla per scontato! Perché il tempo è “grande scultore”, come diceva Marguerite Yourcenar, ma nel tempo la memoria rischia di perdersi e ciò che alle donne è toccato in Italia negli ultimi vent’anni è stata una lenta ma pervicace erosione della dignità pubblica e dell’autonomia. ☺
ninive@aliceposta.it
A partire dai primi anni del 2000, sull’8 marzo era sceso in Italia un pietoso silenzio, innanzitutto da parte delle donne, stanche di prenotare tavoli in pizzerie sovraffollate; stanche di ricevere mimose che appassiscono in poche ore nei vasi domestici; stanche di festeggiare in chiassose comitive monogenere una ricorrenza di cui nessuno ricordava più l’origine; stanche della ennesima data sul calendario, divenuta, dagli anni ottanta in poi, occasione di consumo, al pari di San Valentino, la festa della mamma e del papà. Se guardiamo alla storia dell’ultimo mezzo secolo in Italia, è stato soltanto in un decennio – quello degli anni Settanta – che questo giorno ha avuto effettivamente modo di essere, come si diceva all’epoca, “un giorno di lotta rivoluzionaria”. Di rivoluzione effettivamente si trattava dal momento che le vere rivoluzioni sono quelle che sconvolgono la vita reale delle persone e mutano le abitudini più radicate creando nuova cultura, nuovi valori.
Intorno a quegli anni mutò radicalmente nel nostro paese l’universo intero delle relazioni tra uomini e donne, cambiarono le donne e cambiarono insieme gli uomini, certo con grandi sforzi e resistenze. Solo fino al decennio precedente, l’Italia era stato il paese dove il delitto “d’onore” riceveva pene ridotte; dove l’adulterio della donna era punito con la reclusione; dove il divorzio conosceva solamente la sua ipocrita versione “all’italiana”; dove la violenza sessuale era considerata un delitto contro la morale e non contro la persona; dove i figli nati al di fuori del matrimonio erano figli “illegittimi” e dove la donna che avesse voluto portare avanti una maternità da sola era sanzionata pesantemente dalla comunità; dove le donne morivano quotidianamente e dolorosamente a causa degli aborti clandestini. Furono dunque le donne, in prima persona, a cambiare la doppia morale dominante nella nostra cultura e a scalfire pian piano, ma con grande decisione, una concezione che prevedeva solo ruoli prefissati e destini segnati: madre o prostituta, mai soggetto libero di scegliere; figlia, sorella o moglie, mai cittadina autonoma. Così gli 8 marzo del 1972, ’73, ’74, e così via fino alla fine del decennio, furono veramente l’occasione per ritrovare, migliaia di donne che prendevano la parola su ciò che riguardava direttamente la loro vita, il loro corpo, la loro sessualità, la loro indipendenza di pensiero.
La società italiana cambiò tutta: la legge sul divorzio (1970), il nuovo diritto di famiglia (1975), la 194 per “la tutela della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza” (1978), le leggi a tutela delle lavoratrici madri (1971) ne furono il segno tangibile e l’effetto stabile. Le nuove norme contro la violenza sessuale arrivarono solo nel 1997. Nel frattempo, gli 8 marzo erano diventati però sempre più occasioni di consumo, trasformandosi spesso anche in goliardate. Forse, la fatica di arrivare alle conquiste civili era stata tanta e le donne adesso volevano un po’ riposare. Forse le nuove generazioni di donne davano per scontate libertà e civiltà, portando nel loro Dna le conquiste di madri e nonne: mai dare nulla per scontato! Perché il tempo è “grande scultore”, come diceva Marguerite Yourcenar, ma nel tempo la memoria rischia di perdersi e ciò che alle donne è toccato in Italia negli ultimi vent’anni è stata una lenta ma pervicace erosione della dignità pubblica e dell’autonomia. ☺
A partire dai primi anni del 2000, sull’8 marzo era sceso in Italia un pietoso silenzio, innanzitutto da parte delle donne, stanche di prenotare tavoli in pizzerie sovraffollate; stanche di ricevere mimose che appassiscono in poche ore nei vasi domestici; stanche di festeggiare in chiassose comitive monogenere una ricorrenza di cui nessuno ricordava più l’origine; stanche della ennesima data sul calendario, divenuta, dagli anni ottanta in poi, occasione di consumo, al pari di San Valentino, la festa della mamma e del papà. Se guardiamo alla storia dell’ultimo mezzo secolo in Italia, è stato soltanto in un decennio – quello degli anni Settanta – che questo giorno ha avuto effettivamente modo di essere, come si diceva all’epoca, “un giorno di lotta rivoluzionaria”. Di rivoluzione effettivamente si trattava dal momento che le vere rivoluzioni sono quelle che sconvolgono la vita reale delle persone e mutano le abitudini più radicate creando nuova cultura, nuovi valori.
Intorno a quegli anni mutò radicalmente nel nostro paese l’universo intero delle relazioni tra uomini e donne, cambiarono le donne e cambiarono insieme gli uomini, certo con grandi sforzi e resistenze. Solo fino al decennio precedente, l’Italia era stato il paese dove il delitto “d’onore” riceveva pene ridotte; dove l’adulterio della donna era punito con la reclusione; dove il divorzio conosceva solamente la sua ipocrita versione “all’italiana”; dove la violenza sessuale era considerata un delitto contro la morale e non contro la persona; dove i figli nati al di fuori del matrimonio erano figli “illegittimi” e dove la donna che avesse voluto portare avanti una maternità da sola era sanzionata pesantemente dalla comunità; dove le donne morivano quotidianamente e dolorosamente a causa degli aborti clandestini. Furono dunque le donne, in prima persona, a cambiare la doppia morale dominante nella nostra cultura e a scalfire pian piano, ma con grande decisione, una concezione che prevedeva solo ruoli prefissati e destini segnati: madre o prostituta, mai soggetto libero di scegliere; figlia, sorella o moglie, mai cittadina autonoma. Così gli 8 marzo del 1972, ’73, ’74, e così via fino alla fine del decennio, furono veramente l’occasione per ritrovare, migliaia di donne che prendevano la parola su ciò che riguardava direttamente la loro vita, il loro corpo, la loro sessualità, la loro indipendenza di pensiero.
La società italiana cambiò tutta: la legge sul divorzio (1970), il nuovo diritto di famiglia (1975), la 194 per “la tutela della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza” (1978), le leggi a tutela delle lavoratrici madri (1971) ne furono il segno tangibile e l’effetto stabile. Le nuove norme contro la violenza sessuale arrivarono solo nel 1997. Nel frattempo, gli 8 marzo erano diventati però sempre più occasioni di consumo, trasformandosi spesso anche in goliardate. Forse, la fatica di arrivare alle conquiste civili era stata tanta e le donne adesso volevano un po’ riposare. Forse le nuove generazioni di donne davano per scontate libertà e civiltà, portando nel loro Dna le conquiste di madri e nonne: mai dare nulla per scontato! Perché il tempo è “grande scultore”, come diceva Marguerite Yourcenar, ma nel tempo la memoria rischia di perdersi e ciò che alle donne è toccato in Italia negli ultimi vent’anni è stata una lenta ma pervicace erosione della dignità pubblica e dell’autonomia. ☺
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