dall’indignazione alla rabbia
30 Maggio 2016
La Fonte (351 articles)
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dall’indignazione alla rabbia

Non è un passaggio difficile quello che dall’indignazione (risentimento vivo) porta alla rabbia (che è una irritazione violenta e dolorosa prodotta dal senso della propria personale e/o collettiva impotenza). Dunque, l’irritazione amara e penosa viene provocata da un fatto traumatico che nel campo sociale e politico può essere un inaspettato insuccesso elettorale o una profonda delusione, scaturita da una sconfitta “culturale”, come nel caso del referendum No Triv. A causa dell’insuccesso del referendum No Triv la rabbia si accompagna ad una irrefrenabile delusione che ha spinto molti di noi a spegnere la Tv e a non ascoltare i commenti di quegli opinionisti che trovi in tutti i programmi giornalieri. Ma quello che ha ferito la nostra personale sensibilità è stato il commento a caldo del signorotto di palazzo Chigi, che, neppure un quarto d’ora dopo la chiusura dei seggi, ha sproloquiato sul referendum e sulla sua – personale – visione strategica di rapporto col territorio, in tal modo ingraziandosi ancora di più le lobby petrolifere e i suoi servi.

Ma chi sono questi servi dei petrolieri? Innanzitutto l’informazione, cartacea e radio-televisiva, che non ha fornito ragguagli specifici o comparazioni pertinenti e necessarie, e così offrire un contributo all’ approfondimento del significato socio-culturale del referendum del 17 aprile scorso. Poi, sono stati influenti e decisivi l’invito del partito di governo, pd, i suoi apparati filo-governativi, il presidente del consiglio, il governo e, infine, il due volte presidente della repubblica, autentico regista della deriva antidemocratica dell’ attuale governo delle autocrazie bancarie, qualche anno fa anche autore della defenestrazione illegittima di Berlusconi. Ebbene, tutti questi elementi, messi insieme, hanno costituito un autentico ostacolo, un insormontabile muro rispetto al referendum di qualche giorno fa.

Tuttavia, dobbiamo riconoscere anche l’insufficiente partecipazione popolare a questo referendum, considerato, a torto, lontano dalle problematiche quotidiane o comunque ritenuto estraneo a qualsiasi concezione del territorio, del mare, delle acque fluviali o lacustri, come “bene comune”. Questo, purtroppo, è il punto: oggi i cittadini si muovono solo se ritengono di essere penalizzati in qualcosa che sacrifichi o modifichi la quotidianità fatta di abitudini e di monotona ripetitività, che vada anche in un certo senso a demolire le certezze della propria vita, della propria esistenza. L’acqua lo è stata, ma né la sanità, né la scuola, né il territorio sono considerati “beni comuni”. La partecipazione popolare diventa insufficiente e, di conseguenza, prepara essa stessa la sua sconfitta, che è politica ma sicuramente anche culturale.

Un altro tassello, che ha acuito il profondo disagio in questi ultimi mesi e che è divenuto membrana dell’irritazione violenta, sono state le affermazioni di alcuni economisti ortodossi, legati al fondo monetario internazionale, che hanno esplicitamente ammesso il fallimento della politica finanziaria           dell’ austerity, che ha determinato una radicale riduzione della democrazia nei paesi della Ue nonché l’odiato fiscal compact, radice di tanti malumori e di profonde angosce popolari. L’affievolimento del peso dei sindacati e lo smantellamento delle regole, che in questi ultimi quarant’anni hanno protetto e valorizzato il lavoro, al posto di far esplodere lo spirito imprenditoriale e di consentire la famosa “flessibilità” agli imprenditori e agli industriali, sono invece apparsi strumenti che hanno consentito l’allargamento pericolosissimo del- le diseguaglianze sociali ed economiche, dimostrando in maniera inequivocabile come tale scelta strategica della finanza internazionale sia stata soltanto fallimentare. E, nonostante ciò, il Fmi, la Bce, la Banca mondiale, continuano nel perseverare negli errori.

Passiamo a considerare per un attimo soltanto la strategia sull’immigrazione della comunità europea nel suo insieme. Il 18 marzo scorso è stato firmato l’accordo tra la Ue e la Turchia sul rimpatrio dei migranti, cosiddetti irregolari, che hanno riempito in particolare l’isola greca di Lesbo. In realtà, questo accordo legittima e dà avvio alla deportazione di massa dei migranti irregolari, bambini compresi, che dal 20 marzo scorso sono approdati nelle isole greche, provenendo dalla Turchia, paese che viola i più elementari diritti civili, come la libertà di stampa e di opinione, e che non ha alcuna intenzione di riconoscere né di dare inizio ad una rilettura critica di quello che è stato il primo genocidio della storia del XX secolo, ai danni del popolo Armeno, negato dalle autorità turche e dai suoi principali alleati, gli USA e Israele.

Siamo sopraffatti dalla rabbia perché questo accordo non serve a scoraggiare l’esodo verso l’Europa, ma costringe moltitudini di migranti a intraprendere viaggi sempre più rischiosi. L’assurda anomalia è che è la Grecia socialista di Tsipras e di Syriza, sempre in odore di “grexit”, a mettere in pratica gli accordi fra l’Ue e la Turchia. Pertanto, verifichiamo con dolore e con sdegno furioso l’abbandono, da parte dei paesi della comunità europea, dei più antichi ed elementari principi di solidarietà, di ospitalità e di inclusione dello straniero/migrante, che sono stati il seme della civiltà e della cultura democratica dei paesi del Sud dell’Europa, bagnati e resi floridi un tempo dalle acque del Mar Mediterraneo.

Ma c’è un altro anello della catena che vogliamo prendere in considerazione ed è la dichiarazione del governatore molisano, Frattura, che, pur avendo sottoscritto la richiesta referendaria No triv a suo tempo insieme agli altri 8 governatori regionali, qualche giorno prima del voto, ha dichiarato che avrebbe votato “No” dentro l’urna referendaria.

Ma c’è sempre una via d’uscita rispetto alle profonde delusioni ed è la consapevolezza che più di 13 milioni di elettori che hanno votato “si” il 17 aprile rappresentano cittadini che si sono contrapposti alla politica del governo. Se costoro non sono chiaramente tutti di sinistra, tuttavia, votando, hanno espresso una consapevole contrapposizione alle linee governative. In fondo, è una parte consistente della società italiana che si è avvalsa del voto, esprimendo così la propria volontà a cambiare rotta. Renzi e i “fantasmi” delle lobby bancarie sono avvisati: c’è un fronte consistente, antagonista al governo e alle politiche dell’austerità imposte dalle banche, che indica già un possibile cambiamento di direzione. Sarebbe, però, opportuno abbattere gli steccati fra gruppi, soprattutto a sinistra, ed accordarsi su alcuni punti programmatici, andando a rappresentare le istanze sociali più compromesse dalla politica governativa. In fondo il Sud il 17 aprile ha dimostrato che un’altra visione della vita, dell’economia, della storia ce l’ha e può essere vincente. Lavoriamo in questa direzione: la Basilicata con Matera e Potenza l’ha dimostrato! ☺

 

 

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